sábado, 14 de maio de 2011

Third Rome Summorum Pontificum Conference Draws Large Numbers. De Mattei: latino e Chiesa cattolica, binomio inscindibile. Suor Maria Francesca FFI: l'eternità della Messa tradizionale. Mons. Bux: relazione sul rito tradizionale dell'ordinazione . Mons. Pozzo (Ecclesia Dei) spiega (bene!) la nuova Istruzione sul motu proprio Universae Ecclesiae. Mons. Schneider: verso un motu proprio che ristabilisca gli ordini minori e li riservi agli uomini. Card. Koch: la liturgia cattolica riformata è la sola che dia le spalle a Dio.

Third Rome Summorum Pontificum Conference Is Biggest Yet








Under the patronage of Our Lady of Fatima. Grazie, Padre Vincenzo!

Third Rome Summorum Pontificum Conference Hosted at Pontifical University of St. Thomas Aquinas


















Opening Mass this morning inside Rome's Dominican Church of Sts. Dominic and Sixtus celebrated by Fr. Vincnezo Nuara, O.P.

 http://orbiscatholicussecundus.blogspot.com/

 

De Mattei: latino e Chiesa cattolica, binomio inscindibile.

Il prof. de Mattei ha affrontato un argomento che, potremmo dire, è coessenziale al nome stesso del nostro blog: Il latino, lingua liturica della Chiesa e della Cattolicità.

La tesi dello storico, sostenuta con dovizia di riferimenti documentali  che qui, ovviamente, non possiamo riportare, è che la lingua latina sia costitutiva della stessa liturgia cristiana: non, quindi, elemento accidentale che può essere tranquillamente abrogato o modificato.

E' vero che la prima liturgia cristiana fu espressa nel greco della koiné, ma fin dai primi secoli a Roma l'utilizzo del latino si diffonde, secondo quanto possiamo ricostruire dai resti epigrafici.

Papa San Damaso, nel IV secolo, benché spagnolo di nascita, rafforzò la romanità, nelle sue due articolazioni: da un lato la petrinitas, cioè il primato del romano pontefice, dall'altro la latinitas, ossia la romanità della Chiesa . A lui si deve l'adozione della lingua latina come lingua universale della Chiesa, che esprime una rinnovata Weltanschauung della Chiesa.

Quando Teodosio il Grande vinse la battaglia del Frigido contro i pagani barbari, si saldò definitivamente l'unione tra il romano impero e la Fede cristiana. Fino alla riforma liturgica, si continuò quindi a pregare per il romanus imperator, anche se il Sacro Romano Impero era stato dissolto nel 1806 e la stessa casa di Asburgo, che aveva per secoli cinto il serto imperiale, era decaduta nel 1918.

La liturgia della Chiesa non nasce nel IV-V secolo, ma in quel tempo essa fu codificata in stretta aderenza al traditum: in un rescritto del 416 Innocenzo I attesta come la Liturgia romana rappresentava l'antico costume fedelmente conservato. E' la tradizione di sempre, però romanamente sfrondata delle ampollosità che in Oriente ebbero tanto successo.

Il latino arrivò con la fede là dove le legioni romane non misero mai piede, come in Irlanda: ecco la risposta migliore contro chi crede che la Fede si sia inculturata nella latinità, e non viceversa. Le genti irlandesi non parlavano affatto il latino, e l'evangelizzazione avvenne in gaelico, ma accolsero la liturgia nella sua pura forma latina, la fecero propria e la difesero nei secoli contro le più dure persecuzioni.

Lungi dall'inculturarsi nella (inesistente) latinità irlandese, la Fede trapiantò la latinità nell'Irlanda e da là, grazie ai 40 benedettini irlandesi, si diffuse alla Scozia e pure in Inghilterra a sud del Vallo di Adriano, dove era quasi estinto perfino il ricordo dell'Impero romano. Da lì, ulteriormente, in Germania, altro territorio ove le legioni erano state fermate nella selva di Teutoburgo e la latinità romana non era prima pervenuta.

Il greco ambì a divenire come il latino lingua universale, a causa del nazionalismo del patriarcato di Costantinopoli. Il patriarca ambiva a soppiantare il Papa, sul rilievo del primato politico della Seconda Roma (Costantinopoli) rispetto alla decaduta Roma che non aveva più imperatori. Ma in Oriente il Patriarca era soggetto al cesaropapismo imperiale e non valeva molto di un funzionario imperiale. Il greco scomparve gradualmente, poi, per effetto delle invasioni musulmane.

Quando l'Impero romano rinacque con Carlo Magno, la latinitas riassunse anche un ruolo politico di unificazione; e quando nel Basso Medioevo iniziarono a diffondersi le lingue nazionali, l'uso del latino non declinò, e restò la lingua internazionale fino al XVIII secolo, la lingua della Chiesa, della scienza, della diplomazia.

Vi è una necessità, sia pure storia e non metafisica, di relazione tra il cattolicesimo e la lingua latina. Quel binomio che il padre Chénu, alla vigilia del Concilio, si proponeva di spezzare eliminando il latino dalla vita della Chiesa. Il movimento liturgico pure auspicava un rinnovamento in tal senso in nome di una maggior partecipazione dei fedeli alla liturgia. Ma a questi aneliti rispondeva Giovanni XXIII con la Veterum Sapientia, promulgata con la massima solennità (il giorno della Cattedra di Pietro, in San Pietro, davanti a numerosi cardinali e vescovi), che alla vigilia del Concilio, e come ad orientarne gli esiti, chiedeva non solo di conservare l'uso del latino, ma di incrementarne e restaurarne l'utilizzo. Il documento riconosce che la Chiesa ha necessità di una sua lingua propria, non nazionale ma universale, sacra e non ordinaria e volgare, e dal significato univoco e non mutevole nel tempo, per trasmettere la medesima dottrina: unica, per il suo governo, e sacra, per il suo rito. La Chiesa, ontologicamente immutabile, non può affidare alla fluttuazione linguistica la trasmissione delle sue Verità.

E' significativo che anche il codice canonico per le chiese orientali sia sempre stato in lingua latina.

Nessun'altra lingua al mondo possiede del latino le caratteristiche di universalità e, al tempo stesso, di essere aliena ai nazionalismi. La massoneria internazionale da sempre ricerca una società perfetta che parli un'unica lingua ed ha escogitato l'esperanto, però miseramente fallito; mai ha pensato di utilizzare allo stesso fine il latino, per odio alla Chiesa.

L'uso della lingua volgare è una caratteristica di tutte le eresie di questo millennio, a cominciare da quella catara.

L'intervento del prof. de Mattei è stato interrotto a questo punto dall'arrivo dal card. Castrillòn Hoyos, che è stato accolto da un calorosissimo applauso.

Ricorda la Genesi che la divisione delle lingue è conseguenza del peccato degli uomini. Gli Apostoli necessariamente evangelizzarono in tutte le lingue, ma il giorno di Pentecoste lo Spirito riportò tutti alla compresione unitaria delle lingue: logico quindi che la Chiesa di Dio si serva di un'unica lingua per tutti. La lingua latina, ricordava Giovanni XXIII, fu scelta dalla Provvidenza come lingua della Chiesa, portata ovunque dalle antiche vie consolari. L'unità linguistica resta un modello e un ideale; e se nella predicazione è giocoforza utilizzare la lingua vernacola, il rito e la liturgia richiedono l'unica lingua sacra. Fu un grave errore del postconcilio che la Chiesa si facesse immanente al mondo rinunziando alla sua lingua, proprio quando l'incipiente mondializzazione avrebbe richiesto un gesto in senso esattamente contrario.

Oggi la Chiesa dovrebbe riaffermare la sua romanitas e latinitas; e in esse trova pieno spazio il rito romano antico riportato alla Chiesa dal motu proprio Summorum Pontificum. Ricordando che Pio XII scriveva che il sacerdote che misconoscesse il latino era afflitto da una "deplorevole miseria intellettuale".

Lunga standing ovation finale.

Suor Maria Francesca FFI: l'eternità della Messa tradizionale

Suor Maria Grazia ha letto l'intervento di suor Maria Francesca (suora di clausura), entrambe dell’Immacolata – dei benemeriti Francescani dell’Immacolata - ed ha tenuto l’intervento  “Le origini apostolico-patristiche della ‘Messa Tridentina’” dove ha spiegato – in maniera  analitica – l’antichità della Messa Tridentina che ha origini precedenti non solo a S. Gregorio Magno, ma addirittura apostoliche. L’eresia antiliturgica – portata avanti dai novatores che si sono succeduti nei secoli -  ha sempre cercato di attaccare i libri liturgici tradizionali. Ricordiamo che la Tradizione è anteriore alla parte neotestamentaria della S. Scrittura.

La creazione di nuova liturgica può indebolire la fede e la  dottrina.
Gesù – come dice l’Aquinate – è stato lui stesso il vero artefice della liturgia cattolica, con le sue modalità, pronunciando la formula eucaristiche e chiedendo che tutto ciò venisse ripetuto. Gli Atti degli Apostoli inoltre osservano che Gesù apparve agli apostoli molte volte e la tradizione dei Padri ci dice che insegnò agli stessi molte azioni liturgiche durante queste apparizioni.
S. Basilio scrive che molti atti liturgica (preghiera verso oriente, benedizione dell’acqua, etc.) hanno origine apostolica come riferisce, inter alia, S. Giustino.
Ha analizzato inoltre  il ruolo di S. Pietro nell’elaborazione della prima liturgia romana come suggerisce anche Dom Gueranger.
Hia nel III secola la Messa aveva acquisito una forma definita.
La grande codifica della Sacra Liturgia avvenne da parte di  S. Gregorio Magno. Che inserì alcune innovazioni, come la recita del Pater appena prima della S. Comunione. C’è una tradizione costante che indica  S. Gregorio come l’ultimo che intervenne a modificare il Canone.
L’intervento di S. Pio V fu solo una codifica di questa Messa antichissima. Nessuno propose un Novus Ordo Missae, cosa ritenuta scandalosa.
Nel 1969 entra nella storia della Chiesa il Novus Ordo Missae che i cardinali Bacci e Ottaviani non esitarono a manifestare dubbi sulla sua opportunità  e la definizione di “liturgia costruita a tavolino “ è del card. Ratzinger.
L’intervento di suor Maria è stato lungamente applaudito.
 

Mons. Bux: relazione sul rito tradizionale dell'ordinazione

E' ora la volta al convegno sul motu proprio della relazione di mons. Nicola Bux, il teologo-litugista che è uno dei principali testimonial del recupero, al centro nevralgico della Chiesa, della tradizione liturgica (cosa che gli vale un cordiale astio da parte di tutti i teorici del modernismo liturgico).

La sua relazione odierna ha un contenuto particolarmente tecnico: Il sacramento dell'Ordine sacro nel Pontificale Romanum (editio typica del 1961-1961). Una riflessione di teologia liturgica. Il tema, dicevo, è molto tecnico e non è quindi particolarmente sunteggiabile per un articolo di blog; lasciate però aggiungere al vostro cronista che colpisce che Bux abbia scelto proprio questo tema apparentemente anodino, proprio allorché l'Istruzione sul motu proprio ha decretato che questo "sacramento dell'Ordine sacro nel Pontificale Romanum" non deve applicarsi, se non dietro i cancelli e le mura di pochi istituti e comunità religiose...

Ma torniamo a Bux: rinvio alla lettura degli atti la parte dottrinale dell'intervento e riporto la parte più, come dire, più discorsiva (e interrotta da applausi). Ecco alcuni aforismi:

- La Liturgia richiede purezza di cuore e profonda umiltà. No quindi ad attitudini gigionesche e di spettacolarizzazione. 

- Dove c'è abuso della liturgia, quasi certamente vi sono gravi distorsioni morali

- Solo vescovo e presbitero esercitano il sacerdozio, non il diacono. Cos'è il sacerdozio? La mediazione tra uomo e Dio, funzione di fronte alla quale i sacerdoti, se se ne rendessero conto appieno, tremerebbero.

- Dobbiamo rendere a Dio il giusto culto: questo diritto di Dio non è disponibile per nessuno.

- San Paolo a Tito scrive: dottrina pura, dottrina sana, dottrina sicura. Questi sono i criteri per discernere la dottrina vera da quella falsa. E tutto questo è ricordata nel rito antico dell'Ordinazione: quanto è vera dunque la regola di Prospero d'Aquitania: lex orandi, lex credendi.

Enrico

Mons. Pozzo (Ecclesia Dei) spiega (bene!) la nuova Istruzione sul motu proprio Universae Ecclesiae


Il Segretario della Pontificia Commissione Ecclesia Dei ha svolto al terzo convegno sul motu proprio Summorum Pontificum la relazione più attesa, poiché suo è il compito di spiegare all'uditorio la freschissima Istruzione Universae Ecclesiae sul motu proprio pubblicata appena ieri.

Gli antecedenti di questa Istruzione, ha spiegato, sono le relazioni e i resoconti inviati dall'episcopato mondiale dopo i tre anni dall'entrata in vigore del motu proprio. Da essi, e anche dalle comunicazioni dei gruppi interessati, si evince che il motu proprio ha già prodotto fruttuosi effetti. Certamente, ha aggiunto, in modo ineguale tra varie chiese locali. Sarebbe inoltre ingenuo negare che ancora esistono resistenze e ostilità sia da parte del clero che dei vescovi.

Ma la reticenza dev'essere dissipata proprio dalla precisa osservanza delle disposizioni pontificie, che invitano a riconoscere da una parte la liturgia riformata, depurata da abusi, malintesi e grossolani travisamenti, e dall'altra la grandezza della viva Tradizione della Chiesa.

Scopo della Istruzione Universae Ecclesiae è di far applicare il Summorum Pontificum .

Non c'è dubbio che oggi è in gioco addirittura la Fede, che in vaste zone della terra è in pericolo di spegnersi come una fiamma non alimentata, come ha deplorato il Papa nella lettera ai vescovi per la revoca della scomunica ai 4 vescovi della FSSPX. La priorità è quindi riportare le genti a Dio; non a qualsiasi dio, ma a quel Dio che ha parlato a Mosé sul Sinai, e si è incarnato nel seno di Maria. Ora, chi si oppone alla liturgia antica, non svolge attività pastorale che va nel senso dovuto ed anzi nega di fatto la continuità della Chiesa.

L'Istruzione ora chiarisce ulteriormente che il motu proprio è legge per tutta la Chiesa, per giunta speciale, ossia che (n. 28) deroga alle norme incompatibili emanate dal 1962 in avanti. Il motu proprio non è quindi un indulto o una concessione, ma un provvedimento fondamentale e generale sulla liturgia.

L'Istruzione Universae Ecclesiae ricorda al n. 8 che il motu proprio vuole concedere a TUTTI i fedeli il tesoro della liturgia antica, non a gruppi specifici o 'nostalgici', come ancora si sente dire in certi ambienti. Il motu proprio va inteso in senso favorevole ai fedeli legati alla liturgia antica. Ai vescovi sta il compito di favorire queste legittime aspirazioni, evitando la marginalizzazione dei fedeli tradizionali, i quali peraltro devono evitare forme di contestazione della nuova liturgia.

La Commissione Ecclesia Dei riceve piena competenza per dirimere le controversie. Sono anche precisate le competenze degli ordinari diocesani, che devono vigilare affinché tutto si svolga nella serenità, ma sempre nella mente del romano pontefice, come espressa dal motu proprio.

Ci sono anche i diritti e i doveri dei fedeli laici. Un coetus fidelium è stabile se alcune persone si sono riunite, anche dopo il motu proprio (togliendo quindi l'argomento ostile che dovesse trattarsi di gruppo preesistente) e può costituirsi tra fedeli anche di diverse parrocchie o perfino diocesi.

Non è stabilito un numero; ma d'altronde anche per celebrazioni ordinarie accade che i fedeli presenti siano pochi.

Per i sacerdoti, si richiede una conoscenza basica della lingua latina: non un esperto latinista. A questo proposito, si stabilisce che in seminario devesi insegnare il latino, come d'altronde imponeva il documento conciliare Optatam totius: che chi si appella al Concilio, cominci ad applicare davvero (e in tutto)!
Sulle ordinazioni, di cui il motu proprio non parlava, l'Istruzione ha ritenuto di intervenire con una precisazione: su richiesta di alcuni presuli che temevano vie parallele e non armonizzate nella formazione sacerdotale, viene stabilito che gli ordini minori e l'ordinazione secondo l'antico rito sia applicata sono negli istituti Ecclesia Dei. E' anche precisato che solo con il diaconato si assume lo stato clericale.

L'Istruzione ha un compito circoscritto, data anche la natura solo applicativa di tale documento. E' comunque uno strumento affidato in primis alla responsabilità di vescovi e sacerdoti, con animo di carità e sollecitudine pastorale. Ma al tempo stesso, è uno strumento al servizio della celebrazione del Culto divino. Il motu proprio non è un passo indietro, ma guarda al futuro della Chiesa, che non potrà mai rinnegare le proprie radici, così come non potrà mai chiudersi ad un rinnovamento ancorato nella Tradizione della Chiesa.
 

Mons. Schneider: verso un motu proprio che ristabilisca gli ordini minori e li riservi agli uomini

Il vescovo germano-kazaco Athanasius Schneider è intervenuto al terzo convegno sul motu proprio con una relazione liturgica di tipo assai tecnico su Gli ordini minori e il santo servizio all'Altare.

Ha esordito ricordando come la tripartizione ebraica tra sommo sacerdote, sacerdote e levita, è stata ripresa dal cristianesimo negli ordini dell'episcopato, presbiterato e diaconato. A ciascuno sono affidati gerarchicamente i distinti servizi liturgici.

Papa Clemente I nel I secolo definiva i leviti con l'espressione di diacono. Un parallelismo tra la tripartizione dell'antico Testamento e quella della Chiesa è presente nel rito pontificale tradizionale, con riferimento ad Aronne (nell'ordinazione episcopale), ai settanta uomini anziani (per i presbiteri) e più volte ai leviti (nell'ordinazione diaconale).

S. Tommaso d'Aquino spiegava che il diacono non ha la facoltà di insegnare, il modus docendi che competono a vescovo e presbitero, ma può solo catechizzare (modus cathechizandi).

I diaconi non sono sacerdoti, non sono sacrificatores: preparano, assistono, servono l'azione liturgica ma secondo la tradizione orientale e occidentale hanno una funzione di servizio, non di sacerdozio. Il primo Concilio di Nicea vietava loro anche la facoltà di offrire la comunione al sacerdote.

Non è corretto dire che tutto quanto non è riservato ai sacerdoti, spetta ai fedeli laici in virtù del sacerdozio comune. In realtà i vari ministeri sono gerarchicamente ordinati, in continuità con i leviti. In tempi apostolici le funzioni non sacerdotali erano dei diaconi, ma fin dai primi secoli si aggiunsero altri ministeri inferiori (suddiaconati, esorcistato, lettorato, ostiariato, accolitato). Ai diaconi furono riservati i compiti non sacerdotali più alti e il loro stesso numero fu limitato (per alcuni concili regionali, e per Roma, non potevano eccedere il numero di sette).

Il Concilio di Trento usa il termine "ministri", evitando quello di diaconi, probabilmente per esprimere che le funzioni degli ordini minori fanno parte del diaconato.

L'esistenza di cinque gradi inferiori rispetto al diaconato risale almeno al secondo secolo dopo Cristo, secondo tutte le testimonianze liturgiche. Si tratta quindi di un'antichissima tradizione. La Chiesa ha attribuito anche ai ministeri minori il termine "Ordo", per esprimere che quelle funzioni sono parte delle funzioni specifiche del diacono. Fino al motu proprio del 1972 di Paolo VI Ministeria quaedam, una tradizione ininterrotta almeno dal secondo secolo nominava queste funzioni come ordines; dal 1972 sono invece divenuti ministeri laicali e si è persino detto che le funzioni di lettore e accolito sarebbero espressione del sacerdozio comune dei fedeli. E' quindi consequenziale che le donne siano diventate de facto lettrici e chierichette. Grazie a Dio, ha detto mon. Schneider, questo non è ancora ammesso nelle liturgie papali a Roma; ma fuori Roma, succede pure alle liturgie papali, benché il codice di diritto canonico lo vieti. Abbiamo una contraddizione tra diritto e prassi, anzi una finzione giuridica. Di qui l'improvvida proposta, nel corso del Sinodo episcopale sulla parola di Dio, di ammettere le donne al lettorato; a quel punto, perché escludere il diaconato sacramentale? E infatti le pressioni in tal senso non mancano, sullo specioso rilievo che la Ordinatio sacerdotalis di Giovanni Paolo II non si applica al diaconato. Ma ciò sarebbe contro la tradizione comune con le Chiese d'Oriente e contro il Concilio di Trento. Inoltre gli storici hanno dimostrato che diaconesse, nel senso di diaconato che noi intendiamo, non sono mai esistite nella Chiesa.

Il Concilio di Trento prevede l'accesso agli ordini minori di uomini sposati. Una consacrazione che mai, mai ha previsto l'accesso delle donne alle funzioni degli ordini minori.

Per finire: nel regno di Cristo non c'è la corsa ad avere più poteri all'esercizio del Culto Divino: anzi, tutto dev'essere improntato all'umiltà e all'abnegazione.

Chiediamo la grazia, ha concluso mons. Schneider tra scroscianti applausi di approvazione, che il Santo Padre emani un motu proprio per il riordino e il ripristino degli ordini minori secondo la disciplina di sempre e comune agli orientali: nessun Concilio, nemmeno il Vaticano II, ha mai chiesto di abolire gli ordini minori o anche solo di cambiarne struttura e natura. Un motu proprio che ristabilisse ordini minori e suddiaconato saebbe il complemente necessario al motu proprio Summorum Pontificum e, soprattutto, un dono per tutta la Chiesa, un onore per i ministri sacri nel servire all'altare e un aumento della sacralità della Liturgia.

Un auspicio che ha sapore di un annuncio.

Card. Koch: la liturgia cattolica riformata è la sola che dia le spalle a Dio

Il card. Kurt Koch è stato da poco nominato Presidente del Pontificio Consiglio per l'Unità dei Cristiani; in precedenza era vescovo di Basilea. In un ambiente, quello elvetico, dove tiranneggiano i peggiori progressisti, si era distinto per fedeltà a Roma e, prima ancora, per buon senso (ad esempio chiedendo pubblicamente ai tanti sedicenti difensori del Concilio, se avessero mai letto la Sacrosanctum Concilium: vedi qui).

L'argomento della sua relazione è singolare: il ritorno della Tradizione col motu proprio è stato presentato come un attentato contro l'ecumenismo sviluppatosi dopo il Concilio Vaticano II. In realtà, proprio la Liturgia antica rappresenta un "ponte ecumenico", secondo il titolo della relazione del cardinale.

C'è un'interpretazione dualista, che vede nell'antico rito un Sacrificio e nel nuovo una santa Cena. Nessuna definizione dogmatica è diventata contesa e contestata come la definizione la Messa come sacrificio. Tanto che v'è il rischio che l'ortodossia eucaristica possa cadere nell'oblio. Molti cattolici oggi condividono che parlare di sacrificio nella Messa sia un orrore e una terribile idolatria, secondo le parole di Martin Lutero.

Ma l'insistenza sul Sacrificio serve per rendere più fluido il confine tra la vita e la Liturgia, perché attraverso la pietà eucaristica e il concetto di Sacrificio la vita dell'uomo si conforma a Cristo. La preghiera eucaristica è rationabile obsequium: è giusto e opportuno che la preghiera di ringraziamento si sia fin dall'inizio saldata e fusa con l'oblatio, ossia col Sacrificio. Lungi dall'essere considerato un relitto medioevale, l'idea di Sacrificio è essenziale e fondante della Liturgia. La conseguenza dev'essere che il canone romano, dalla  splendida didattica sacrificale, dev'essere riscoperto e applicato con abbondanza pure nel nuovo rito.

Altro pregiudizio corrente è che prima del Concilio solo il sacerdote era attore della Liturgia, mentre dopo il Concilio è la comunità celebrante. In realtà, tutto il popolo di Dio è liturgico, ma ciascuno secondo la propria funzione.

Ancora: la lotta contro l'adorazione eucaristica è stata acerrima nei decenni del postconcilio. Contro tutta la Tradizione dei Padri. L'adorazione dell'Agnello nell'Apocalisse di S. Giovanni assume valore profetico della liturgia celeste. Cesserà allora il Sacrificio e la Consacrazione, ma non cesserà mai l'Adorazione.

Il recupero della Tradizione è la strada per ritrovare più profonde possibilità di intesa con le altre confessioni cristiane. Ad esempio la celebrazione verso Dio o, come dicono i detrattori, con le spalle al popolo, è il ritorno alla più antica tradizione liturgica allorché i fedeli, dopo l'invito "conversi ad Dominum", si giravano clero e popolo verso oriente. E così facevano e fanno gli ebrei e i musulmani.

D'altro canto, ha aggiunto facetamente il cardinale, non solo girare gli altari non è stato in alcun modo previsto o supposto dai Padri conciliari, ma soprattutto non si vede quale ne fosse la necessità di "rispetto per il popolo": non risulta che nessuno si sia mai lamentato se il guidatore di un autobus guarda la strada e dà le spalle ai passeggeri!

Ancora oggi, nella liturgia, l'invito "Sursum corda" contiene l'invito a ritrovare quell'orientamento interiore che è meglio e più facilmente vissuto se diventa anche esteriore, ossia tutti rivolti verso Iddio.

E, dal punto di vista ecumenico, non possiamo sottacere che la liturgia ordinaria della Chiesa cattolica è, tra le varie confessioni cristiane, la sola che volti le spalle a Dio.
 
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