quarta-feira, 2 de dezembro de 2009




Liturgia e Tradizione
Cerimonie della Santa Messa - II Parte
di di Suor M. Cecilia Manelli, FI

Quali sono i significati che si nascondono dietro le mistiche parole e azioni liturgiche del Kyrie e del Gloria in excelsis? La caduta dei Progenitori e la Nascita del Divin Redentore a Betlemme... tutto racchiuso nella Santa Messa!

Il Kyrie, o il grido
dell’umanità caduta

Come mai il Kyrie viene recitato prima del Gloria? La preghiera dell’umanità, dal momento della sua caduta, è divenuta un profondo gemito: infatti, la preghiera più antica e più diffusa – preghiera dell’adulto come del bambino, del malato, del povero, del disperato – è un breve sospiro: «Abbi pietà di me». Il Kyrie è stato, dunque, il grido dell’umanità in tutte le epoche della sua storia, ma soprattutto alla venuta del Messia. Detto prima del Gloria, esso esprime il profondo mistero del mondo antico e l’immenso suo bisogno di Redenzione. Inoltre i Padri della Chiesa affermano che il tempo dell’Incarnazione fu accelerato nei disegni di Dio come ricompensa delle preghiere dei Patriarchi, dei Profeti e, soprattutto, di Maria. Durante il canto del Kyrie, non dimentichiamo la potenza della preghiera: essa può abbreviare i nostri amari giorni di travaglio e di abbandono di Dio e, per la Chiesa, il tempo della persecuzione e delle lacrime.
Nove volte la Chiesa ripete questo grido di supplica, in memoria dei nove Cori angelici. Mentre gli angeli ribelli cercavano di impedire il compimento del piano divino, gli angeli buoni imploravano Dio con tutte le forze affinché il Verbo si incarnasse. Ad essi si univano le preghiere di tutti coloro che stavano sulla terra, soprattutto quelle di Maria Santissima. Dio avrebbe preso una natura umana, ma tale considerazione non li rendeva gelosi: essi contemplavano solamente la gloria di Dio. Egli solo doveva essere glorificato.


Il Gloria in excelsis,
o il canto di Betlemme

Intonazione del Gloria. Per rappresentare il viaggio da Nazareth a Betlemme il sacerdote ritorna al centro dell’altare, mentre l’ultimo Kyrie porta a Dio le suppliche della terra. Prendendo in prestito le parole che gli angeli cantarono presso la culla del Dio Infante, egli annuncia al mondo la suprema gioia: «Gloria in excelsis Deo, et in terra pax hominibus bonæ voluntatis». Nelle Messe solenni il coro continua il canto celestiale, poiché il Vangelo narra che un angelo proclamò la buona novella ai pastori: «Subito si unì all’angelo una moltitudine dell’esercito celeste che lodava Dio» (Lc 2,13). Le mani del sacerdote si alzano verso il cielo alla parola Gloria, a significare che tutta la gloria deve tornare a Dio solo: «Non a noi, Signore, ma al tuo nome dà gloria», canta il Salmista (Sal 113,9). A Dio è dovuta tutta la gloria delle nostre opere, a noi l’umiltà, ma anche la pace che ne è il frutto squisito. Per ricevere tale divina pace il sacerdote di nuovo congiunge le mani alle parole «in terra pax». Durante il canto del Gloria rappresentiamo agli occhi della nostra fede Gesù Cristo presente nel Tabernacolo, la nuova stalla della sua vita eucaristica. Il ciborium è, infatti, una mangiatoia, le Specie del pane e del vino le sue fasce. Egli è freddo, perché intorno a lui è inverno, l’inverno della dimenticanza e dell’indifferenza. Cadiamo ai suoi piedi con gli angeli, per lodarlo, con i pastori per glorificarlo, con i Magi per adorarlo! Offriamogli anche doni: l’oro di un cuore che lo ama; l’incenso di un cuore che prega; la mirra di un cuore rassegnato e paziente.
Il segno della croce. La persecuzione ben presto si avvicinò al piccolo Bambino nella culla, ma Egli scappò dalle mani di Erode con la fuga. Il segno della croce, alla fine del gioioso cantico di Betlemme, potrebbe ricordare il massacro degli innocenti, la fuga in Egitto, le ansie dell’esilio e, ancora, il sangue sparso sotto il coltello della circoncisione.