La svolta antropologica di Karl
Rahner
ha usato s. Tommaso per ingannare, con
un linguaggio contorto e farraginoso, sia i lettori meno accorti che la stessa
Chiesa docente: molti purtroppo hanno voluto farsi ingannare e si direbbe ex
post che quasi non aspettassero altro …
Lo stimmatino Cornelio Fabro (Flumignano
1911 – Roma 1995) è uno degli esempi più emblematici, di ciò che sarebbe potuto
essere, e non fu, l’auspicato rinnovamento conciliare. Studioso intrepido e
versatile, conoscitore profondo e sistematico sia della filosofia classica e
medievale che di quella moderna e contemporanea di impronta germanica (Kant,
Hegel, Nietzsche, Heidegger), eccellente pastore di anime e parroco operoso fino
all’ultimo, padre Fabro vide a poco a poco scemare la sua influenza negli anni
del post-Concilio, in nome dei nuovi teologi e della loro biasimevole “svolta
antropologica”.
Nel
suo libro appena ristampato (La svolta antropologica di Karl Rahner,
edizioni EDIVI, Segni 2011, pp. 210, euro 27). Egli si confronta con uno dei più
importanti studiosi del fronte progressista, il padre e gesuita Karl Rahner
(1900 – 1984). Fabro, in un certo senso, è l’anti-Rahner per eccellenza, e la
sua speculazione teologica e filosofica resta sempre, convintamente, all’interno
dell’ortodossia, della Tradizione e di quel retto pensiero classico e cristiano
che non è un limite frapposto alla ragione, ma semmai un
trampolino.
Secondo
padre Fabro, il
gesuita tedesco partendo da un «soggettivismo radicale, mai finora tentato dopo
la crisi modernistica», «non teme di capovolgere i principi fondamentali del
realismo tomistico» (p. 7), miscelando sapientemente tomismo e idealismo,
tomismo e Kant, tomismo e Heidegger. Per la scorrettezza metodologica assunta –
che arriva sino alla falsificazione testuale (cf. p. 65ss.) – si può parlare
secondo lo stimmatino di «depravazione ermeneutica del tomismo» (p.
7).
Un
nemico mortale della dogmatica cattolica come Rahner, che proprio per questo diverrà un
caposcuola nel postconcilio, ha una saccenza che appare assolutamente dogmatica
a Fabro, non avendo il tedesco «mai preso in considerazione le riserve e le
critiche di alcun genere» (p. 8). Nella prima parte dell’opera, Fabro dimostra
un primo assunto della speculazione rahneriana e cioè l’identità di essere e
conoscere: «tesi centrale della concezione rahneriana» (p. 32). Rahner infatti
scrisse: «Sein und Erkennen ist dasselbe» (p. 35).
Che
da qui vada in fumo tutta la grande filosofia cristiana fondata giustappunto sulla chiara
distinzione (metafisica, ontologica, essenziale) fra essere ed essere
conosciuto, appare perfino banale. Per Rahner infatti è la «soggettività umana»
il centro di tutto, perfino «dello svelarsi dell’essere» e della «divina
rivelazione» (cf. p. 13). La tesi annessa è quella della «priorità fondante del
pensiero sull’essere» (p. 23), chiaro capovolgimento della tradizione tomistica,
aristotelica, platonica e parmenidea.
Secondo
il Nostro, il gesuita «ha fatto la sua opzione a favore del
principio moderno di immanenza» (p. 25): è l’uomo che ora stabilisce i confini
dell’essere, è il pensiero pensante che pone Dio nella misura dell’utile (Kant).
Inutile insistere. Nuovi recentissimi studi, come quelli di padre Cavalcoli,
hanno confermato ad abundantiam l’assunto fabriano e cioè che «l’impianto della
sua interpretazione [di Rahner] era viziato nel suo fondamento» (p. 49), e le
conseguenze non potevano non coinvolgere tutta la dottrina cattolica: dogmatica,
morale, ecclesiologica, liturgica, etc.
Rahner, «il deformator thomisticus radicalis» (p.
81), ha usato san Tommaso per ingannare, con un linguaggio contorto e
farraginoso, sia i lettori meno accorti che la stessa Chiesa docente: molti
purtroppo hanno voluto farsi ingannare e si direbbe ex post che quasi non
aspettassero altro… In estrema sintesi Rahner appare come il vate dell’
«orizzontalsimo antropologico» (quasi un Feuerbach cattolico) il quale,
«contrastato prima del Concilio» è poi divenuto «il portabandiera della nuova
versione nordica del cristianesimo immanentistico» (p. 60). E questo anche
grazie all’ «appoggio di una parte notevole dell’episcopato tedesco» (p. 65, n.
122). (Fabrizio Cannone)