sexta-feira, 16 de julho de 2010

Il card. Canizares alla conferenza di Gubbio .Il Prefetto ha dichiarato, in maniera semplice e lineare, che la Chiesa e l'intera umanità non possono prescindere dalla Liturgia, e che, se e quando Essa è in crisi e pericolo, è in crisi e in pericolo tutta la Chiesa.Si pone però il problema del soggetto della Liturgia: siamo noi, i singoli, la comunità, il sacerdote – certo importanti – ad essere i protagonisti, o forse protagonisti sono Dio e il Suo Agnello immolato, Gesù Cristo? La risposta non può che essere una sola: il vero e unico protagonista è Dio, e segni della Sua presenza e centralità sono l'Altare e il Crocifisso, cui tutti, comunità e sacerdote, devono guardare.Se il Concilio Vaticano II era stato molto chiaro sulla Liturgia, purtroppo meno lo è stato il post-Concilio.Si sono diffusi un certo e malsano antropocentrismo e una non piena comprensione della Sacrosanctum Concilium :è da questo che è scaturita quell’“apostasia silenziosa” denunciata da Giovanni Paolo II e da Benedetto XVI, e ancor prima da Paolo VI con il famoso discorso del “fumo di satana”.

 



Dal nostro inviato, una relazione completa ed esauriente della conferenza tenuta il 28 novembre scorso a Gubbio da card. Cañizares Llovera, Prefetto della S. Congregazione per il Culto divino, sul tema Il vero spirito della Liturgia. Il culto cattolico alla luce del magistero di Benedetto XVI.


di R. D. A.

Sabato 28 novembre, alle ore 21,15, si è tenuta presso l'Hotel Beniamino Ubaldi di Gubbio la prima conferenza italiana di Sua Em.za Rev.ma Card. Antonio Cañizares Llovera, Prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, invitato a parlare dall'Associazione Culturale “Benedetto XVI”, in collaborazione con la rivista Il Timone (il cui direttore, Giampaolo Barra, era presente) e con la Diocesi di Gubbio (guidata da Sua Ecc.za Rev.ma Mons. Mario Ceccobelli, in sala assieme al predecessore Sua Ecc.za Rev.ma Mons. Pietro Bottaccioli).

L'incontro è iniziato con la visione di un video che ha presentato i compiti della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti e ha fornito un profilo biografico dell’oratore, il Card. Cañizares Llovera, nominato Prefetto della Congregazione appena menzionata da Papa Benedetto XVI nel dicembre 2008. In seguito hanno fatto il loro ingresso in sala il Prof. Luigi Girlanda (presidente della benemerita Associazione, già nota per altri convegni e iniziative simili) e il Card. Cañizares Llovera.

Dopo i saluti, il Cardinale ha subito introdotto il tema principale della conferenza: la Liturgia, definita “fonte e culmine” della vita cristiana ed ecclesiale dalla Costituzione Sacrosanctum Concilium del Concilio Ecumenico Vaticano II, e certamente anche un importante argomento di dibattito soprattutto in questi ultimi anni. Il Prefetto ha dichiarato, in maniera semplice e lineare, che la Chiesa e l'intera umanità non possono prescindere dalla Liturgia, e che, se e quando Essa è in crisi e pericolo, è in crisi e in pericolo tutta la Chiesa.

La Liturgia (dal greco λειτουργία, ovvero “servizio per gli altri”), secondo l'insegnamento tradizionale, è il vero ed efficace servizio a Dio (di lode e glorificazione) e al prossimo (di aiuto, preghiera e santificazione), e non è una mera e semplice creazione umana, ma deriva da Cristo e dagli Apostoli stessi, dai primi Padri e dai primi cristiani. La Liturgia è l'architrave della Chiesa e, si può dire, del pontificato di Benedetto XVI che, attraverso l’Esortazione Apostolica Sacramentum Caritatis e il Motu Proprio Summorum Pontificum (entrambi del 2007), ha voluto riporre in auge l'antico principio per cui alla lex orandi corrisponde la lex credendi e quello della Liturgia intesa come vero culto a Dio e servizio a Cristo, puntando la sua attenzione sul senso del sacro, dell'adorazione, del mistero che ne sono propri.

La Costituzione del Concilio Vaticano II dedicata alla Liturgia, la Sacrosanctum Concilium (che deve essere interpretata in continuità rispetto alla tradizione precedente), è la prima nell'elenco, a significare l'importanza che la Liturgia, ovvero l'adorazione, la comunione e la partecipazione di Dio in Spirito e Verità (come indicato nel Vangelo di Giovanni), ha nella vita e nella vocazione del cristiano.

L'Eucaristia è a ragione definita fonte viva di santità, la cui unica origine è Dio; la Liturgia è stata infatti il nutrimento vivo e vero – come vivi e veri sono il Pane e il Vino consacrati – di innumerevoli persone e innumerevoli Santi: basti pensare, aggiungo io, a San Giovanni Maria Vianney e a S. Pio da Pietrelcina, a Sant'Isidoro il Contadino e al Servo di Dio Pierre Toussaint (che si alzavano prestissimo per partecipare alla Messa mattutina), ai Santi Martiri di Gorkum e a San Giovanni Maria Scolarici, martirizzati gli uni dai protestanti, l'altro dai musulmani, per la loro difesa della Messa e dell'Eucaristia; ai tanti lavoratori che si alzano presto per partecipare alla prima Messa della giornata, ai malati che trovano forza e nutrimento nel Corpo di Cristo, ai carcerati e ai poveri che ricevono Cristo da santi sacerdoti che spendono la propria vita per gli altri, alle famiglie che partecipano unite alle celebrazioni eucaristiche.

Si pone però il problema del soggetto della Liturgia: siamo noi, i singoli, la comunità, il sacerdote – certo importanti – ad essere i protagonisti, o forse protagonisti sono Dio e il Suo Agnello immolato, Gesù Cristo? La risposta non può che essere una sola: il vero e unico protagonista è Dio, e segni della Sua presenza e centralità sono l'Altare e il Crocifisso, cui tutti, comunità e sacerdote, devono guardare.

Come esposto prima, i fini ultimi della Liturgia sono da una parte il riconoscimento e la glorificazione di Dio, dall’altra la salvezza e la santificazione degli uomini: questo, in Oriente e in Occidente, dai primordi dell'era cristiana ai giorni nostri, fino alla fine del mondo, è e sarà sempre.

Se il Concilio Vaticano II era stato molto chiaro sulla Liturgia, sulla Chiesa, sull'autorità del Papa e dei Vescovi, purtroppo meno lo è stato il post-Concilio, che ha visto un’interpretazione ed un’attuazione dei dettami dei Padri Conciliari non pienamente rispondente alla loro effettiva volontà. Si sono diffusi un certo e malsano antropocentrismo (ben diverso – mi viene da dire – dall’umanesimo cristiano autentico, espresso nelle meravigliose opere di Sant'Agostino d'Ippona, San Tommaso d'Aquino, Marsilio Ficino, e ancora più diverso dall'Incarnazione e dalla Passione del Figlio di Dio, meravigliosamente chiamato Filantropo nelle splendide Liturgie Orientali) e una non piena comprensione della Sacrosanctum Concilium (che auspicava piccoli e accorti ritocchi, pur nel solco della Tradizione, non grandi modifiche): è da questo che è scaturita quell’“apostasia silenziosa” denunciata da Giovanni Paolo II e da Benedetto XVI, e ancor prima da Paolo VI con il famoso discorso del “fumo di satana”.

Joseph Ratzinger – che incentra molto la Sua visione teologica sulla oratio rationabilis, in greco λογική λατρεία – ha lanciato una dichiarazione forte: “Sono convinto che la crisi ecclesiale in cui oggi ci troviamo dipenda in gran parte dal crollo della Liturgia, che talvolta viene addirittura concepita etsi Deus non daretur: come se in Essa non importasse più se Dio c'è e ci parla e ci ascolta”. Infatti, il problema è questo, come esposto dal Card. Cañizares Llovera: quando è l'uomo a creare la Liturgia (luogo dell'incontro reale con Dio), il Suo vero senso si perde irrimediabilmente; purtroppo è avvenuto proprio questo in questi ultimi quarant’anni, dimenticando le dichiarazioni dei Papi e del Concilio stesso. A queste errate concezioni di Riforma e Tradizione, si sono rese necessarie un’‘Ermeneutica della continuità’ rispetto al passato, e una volontà di scoprire e condividere con tutti i cristiani il patrimonio della Liturgia, come nelle intenzioni del migliore Movimento Liturgico (nato con il Servo di Dio Prosper Guéranger e proseguito e incoraggiato da San Pio X e dal Venerabile Pio XII) e del Concilio Vaticano II stesso.

Compito della Chiesa, Corpo Mistico di Cristo, fondata da Gesù su Pietro e la Sua Fede in Lui, è la trasmissione della Fede, e non si può trasmettere la Fede senza la Liturgia, centro irrinunciabile della Chiesa e di ogni altro uomo.

Benedetto XVI propone e ripropone (mi sia concesso un po' di latinorum...: Tradidi quod et accepi; ...repetita iuvant...) il Vangelo come cuore della teologia, troppo spesso ridotta a mera sociologia e psicologia, e la Liturgia come cuore della Chiesa; e la Liturgia viene identificata nella Tradizione (un regalo, un lascito dei nostri padri, che ci deriva da Gesù e dai Suoi Apostoli stessi) che, assieme alle Scritture e al Magistero vivo e vero dei Pontefici successori di Pietro, è la fonte della Verità (Nulla Veritas sine Traditione).

Con la Liturgia, l'Eucaristia e il Vangelo (cuori vivi e centri della Chiesa) si pone al centro della Chiesa e di ognuno di noi nostro Signore Gesù Cristo, e solo chi non ne ha una visione riduttiva, parziale e anche ideologica (e, quindi, come credo, bisogna fuggire da ogni progressismo come da ogni tradizionalismo) lo può comprendere, amare e trasmettere.

Nella società secolarizzata di oggi, più ancora che ieri, si è reso necessario adorare e testimoniare Dio (Somma Sapienza e Sommo Amore) e Cristo (Alpha et Omega, Principio e Fine di tutto): ricordiamoci che Gesù ha detto che si sarebbe vergognato di noi nell'Ultimo Giorno, se anche noi ci fossimo vergognati di Lui durante la vita terrena; ricordiamoci anche che il miglior modo per adorare e testimoniare Dio e Cristo sta nella Liturgia, che appunto lo mette al centro (San Bernardo di Clairvaux aveva detto: “Sappi, o cristiano, che si merita di più ascoltando devotamente una S. Messa che col distribuire ai poveri le proprie sostanze e col girare pellegrinando tutta la terra”).

Legato alla Liturgia è anche il problema dell'actuosa participatio, ovvero della partecipazione attenta e sensibile, ognuno secondo il proprio ruolo e la propria sensibilità: oggi, purtroppo, come ha affermato Benedetto XVI più di una volta (l'ultima nel discorso ai Vescovi brasiliani del settembre del 2009), si rischia la clericalizzazione dei laici e la laicizzazione dei sacerdoti, a discapito della distinzione tra laici e sacerdoti (nei Vangeli e negli Atti è molto chiara la distinzione tra Apostoli e Discepoli), uniti nella stessa missione e nella stessa Chiesa, con compiti diversi ma ugualmente degni e importanti.

Un altro problema è la concezione dell'Eucaristia come ‘solo’ Banchetto e non come anzitutto Sacrificio: che la Messa sia ‘anche’ l'Assemblea dei fedeli e la Santa Cena (questo termine non l'han certo inventato i protestanti!) è vero, ma la Messa è prima di tutto Sacrificio; il Sacrificio vivo, vero e incruento di Gesù, che su ogni Altare, in ogni Messa, si ripropone unito a quello del Calvario; ed è anzi dal Sacrificio che deriva la Cena, il Banchetto e la festa per la Resurrezione. Non c'è quindi alcuna distinzione o contraddizione, se non nelle menti di certi teologi, tra Cena e Sacrificio, e ancor di più, tra Cristo e la Chiesa.

Ricordiamoci quindi le parole dei Padri e dei Dottori: secondo San Cipriano di Cartagine, “La Liturgia è medicina per sanare le infermità ed olocausto per pagare le colpe”, e secondo San Giovanni Crisostomo “La Liturgia ha in certa maniera tanto pregio, quanto ne ebbe per le anime nostre la morte di Gesù Cristo sulla Croce”.

Ciò che Pio XII temeva e denunciava nella Mediator Dei, l'insano ‘archeologismo liturgico’, sembra quasi diventato realtà, appunto con la riduzione della Messa a sola Cena: ma, come ha opportunamente fatto notare il Cardinale, l'Ultima Cena di Gesù è il fondamento teologico (Accipite, et manducate ex hoc omnes. Hoc est enim Corpus meum...Accipite et bibite ex eo omnes. Hic est enim Calix Sanguinis mei, novi et aeterni Testamenti), non liturgico, della Messa. La Liturgia, infatti, si forma nei tempi apostolici e proto cristiani: San Paolo nelle Lettere, San Giustino nelle sue opere, e le testimonianze pittoriche distinguono chiaramente la Cena del Signore dalla Cena della comunità.

La Messa ha una dimensione tutta particolare nella preghiera: ricordiamoci che Gesù inizia la Passione, nel Cenacolo e nell'Orto degli Ulivi, pregando, così come la finisce pregando sulla Santa Croce. Anche qui non c'è contraddizione e distinzione tra Scientia, Theologia Crucis e Mysterium Paschae, come ricordato in meravigliose pagine di Santa Teresa Benedetta della Croce (Edith Stein) e di Hans Urs Von Balthasar.

Le interpretazioni del dopo Concilio hanno portato a dare una sorta di primato alla certo importante comunità, più che a Dio (sembrerebbe così che è la comunità a fare la Liturgia, mentre invece è da Dio che essa deriva), e alla perdita del vero senso della Messa (la gloria a Dio e la salvezza per gli uomini), insieme al senso di adorazione e preghiera che prima accompagnavano tutta l'Eucaristia.

Assieme al problema della ‘concezione’ dell'Eucaristia, sta anche il problema della sua ‘ricezione’, che non può che essere adorazione e intima e vera comunione con Cristo (come sottolineato più volte dai Santi Padri e Dottori Agostino d'Ippona, Ambrogio di Milano e Massimo di Torino). La ricezione dell'Eucaristia pone la questione del comportamento e delle azioni del cristiano, nella vita (come non pensare al Papa e alla sua Sacramentum Caritatis, o allo stesso severo ammonimento di Gesù “Perchè mi chiamate Signore, Signore, e poi non fate ciò che dico”?), e nella Messa ancor di più (basti pensare all'ammonimento, poi ripreso in preghiere bizantine e latine prima della somministrazione della Comunione, di San Paolo: l’Apostolo scriveva che chi riceve il Corpo e il Sangue di Cristo in maniera indegna riceve la propria condanna): e qui rientra in gioco il vivere la Messa, ovvero la tanto famosa, e abusata, actuosa participatio.

La partecipazione actuosa è libera, cosciente e fruttuosa, ma non sempre partecipare e intervenire coincidono, e anche il silenzio (segno di adorazione e rispetto) è partecipazione actuosa.

La sorgente della partecipazione è la preghiera, ovvero il parlare tra di noi e ancor di più con Dio, e l'agire cum Ecclesia: la partecipazione, quindi, non è movimento; il silenzio non è vuoto. Legata alla partecipazione è la devozione, che non può e non deve mai essere banale, superficiale, mondana, obbligata: anzi essa libera da questi difetti.

Questo è stato in sostanza l'intervento del Cardinale, seguito da un vivo e sentito applauso dei presenti; sono poi seguite alcune domande dei partecipanti, cui Sua Eminenza ha risposto in maniera puntuale ed esaustiva.

La prima domanda ha riguardato il Motu Proprio Summorum Pontificum dell'estate 2007, che ha reintrodotto la possibilità di celebrare secondo il venerabile rito detto di San Pio V. Il punto centrale della domanda riguardava le finalità del documento: atto di lungimiranza e carità papale, o modo per ricucire con i “lefebvriani”? Il Cardinal Cañizares Llovera ha detto prima di tutto che un Motu Proprio, in generale, non è un alto grado di magistero, ma in questo caso certamente lo è (si tratta di un'eccezione!). Subito dopo ha parlato della Liturgia come insieme di Comunione e Tradizione (quest'ultima, irrinunciabile e imprescindibile: pensiamo a San Vincenzo di Lerino e alla sua meravigliosa pagina sul rapporto fra Tradizione, Cattolicità e Ortodossia); e di Liturgia intesa come primato a Dio, di adorazione, lode e gloria, non come insieme di cose che noi facciamo. Ha inoltre risolto un colossale equivoco, diffuso anche tra molti sacerdoti e fedeli: il Rito detto Tridentino non è stato ‘partorito’ dal Concilio di Trento! San Pio V (che fu tra l'altro inflessibile contro le ‘incrostazioni medievali’, le stesse che alcuni liturgisti affermano a torto abbondare nel rito antico) si era limitato ad estendere alla Chiesa universale l'antico e venerabile rito che era diffuso a Roma fin da tempi antichissimi e che, nel suo nucleo fondamentale, risale a San Gregorio Magno e, a scendere, a San Damaso e a San Gelasio, ai Padri e agli Apostoli. Il Cardinale ha proseguito la risposta a questa domanda approfondendo di nuovo alcuni temi: il rapporto tra lex orandi e lex credendi e il concetto di ‘Ermeneutica della continuità’ proposto da Benedetto XVI per la lettura dei testi conciliari. Per finire, il Cardinale ha affermato che il documento pontificio è una vera e propria chiamata alla comunione (che ha la sua sorgente vera e propria nella Liturgia), e un'applicazione vera della Sacrosanctum Concilium.

Un'altra domanda ha riguardato l'Occidente e la sua crisi: come e forse ancora più che ai tempi di Pio XII e Giovanni XXIII (che avevano pensato di convocare un Concilio Ecumenico proprio per combattere la secolarizzazione e il modernismo ecclesiale), il mondo è lontano da Cristo e dalla Chiesa, la società cambia totalmente, e si diffondono ideologie anticristiane e, a dispetto del nome (‘umanesimo’), antiumane. L'umanesimo di cui si parla (e il Cardinale sa bene che cosa sta illustrando, date le vicende del suo Paese di origine, la Spagna) è totalmente male inteso, è un'ideologia lontana dall'umanesimo cristiano, poiché parte dalla contrapposizione tra Dio e uomo (come se il Padre non avesse inviato suo Figlio sulla Terra proprio per amore degli uomini che ha creato) e dalla negazione di Dio: se si nega Dio, fondamento di tutto, si nega anche la Natura stessa, così tanto acriticamente esaltata da certe scuole di pensiero. La Liturgia (dono di Cristo, non fabbricazione degli uomini), quindi, e i Santi che l'hanno amata (come San Giovanni Maria Vianney, tanto venerato dal Beato Giovanni XXIII, per il cui anniversario di morte Papa Benedetto ha indetto l'Anno Sacerdotale), sono e saranno il vero e unico antidoto ai mali di questa modernità e di questo mondo sempre più lontano da Gesù e dal suo Corpo Mistico, la Chiesa.

La domanda seguente ha riguardato la Bellezza; oggi, sembra che la Chiesa abbia perso la Bellezza, prima di tutto musicale: si veda l'abbandono progressivo del canto gregoriano. La Bellezza – aggiungo io – secondo il pensiero del grande scrittore e filosofo russo Fedor Dostoevskij, di Papa Benedetto XVI e del filologo e noto blogger Francesco Colafemmina, è incontro con Dio; non dobbiamo scordare che, secondo Dostoevskij, solo la Bellezza avrebbe salvato il mondo: e non è forse Cristo Bellezza Incarnata? Né bisogna scordare che canto e preghiera si equivalgono; come non ricordare la famosa massima attribuita a Sant'Agostino: “Chi canta, prega due volte”?

Un’altra domanda ha riguardato le voci di una ‘Riforma della Riforma Liturgica’, come si evincerebbe da numerosi testi e interventi di Ratzinger (sia da Cardinale che da Papa) e dalle anticipazioni di un giornalista italiano (Andrea Tornielli), che consisterebbe in una ‘fusione’ armonica di tre Messali: quello del 1962 (il Messale “tridentino”, attualmente in uso per la celebrazione nella forma straordinaria del rito romano), quello del 1965 (il Messale del 1962 lievemente modificato e in parte tradotto nelle lingue vernacole) e quello del 1970 (il Messale ‘moderno’ vero e proprio). Il Cardinale ha sorriso e ha detto con humour che la domanda andrebbe posta ai giornalisti, non a lui!

Veniamo ora ad una domanda molto interessante, soprattutto per la risposta. Un signore si è alzato e ha chiesto a sua Eminenza come risolvere la discrepanza (presunta) tra vita e Liturgia. Come conciliare la democrazia, l'attenzione per gli oppressi, con la Liturgia? Inutile dire che, non appena il signore in questione ha citato i teologi Rahner e Schillibeecks, in sala si sono sentiti sbuffi e mormorii di disapprovazione. Il Cardinale ha risposto in maniera ferma e puntuale, affermando che solo con la riscoperta della Liturgia (Sacrosanctum Concilium) si può riscoprire l'opzione preferenziale per i poveri (Gaudium et Spes). E' stata infine citata la Sacramentum Caritatis, in cui Papa Benedetto ha proposto il legame indissolubile tra impegno nel mondo (politica, società, cultura, famiglia) ed Eucaristia. La risposta di Cañizares Llovera – inutile dirlo – è stata seguita da un lungo e fragoroso applauso. Secondo me, il commento del Cardinale è da incorniciare: come si possono spiegare i tantissimi santi ‘sociali’, sia sacerdoti (Giovanni Maria Vianney, Giovanni Bosco, Giuseppe Benedetto Cottolengo, Leonardo Murialdo, Vincenzo Romano, Pio da Pietrelcina) che laici (Bartolo Longo, Contardo Ferrini, Gabriel Garcia Moreno, Federico Ozanam, Giuseppe Moscati), che traevano la loro forza dalla Messa ‘antica’ (anche perché altre non ce n’erano, all'epoca…), dall'Adorazione Eucaristica, dal Rosario? Come poi non ricordare che i monaci benedettini e basiliani vivono di elemosina e di duro lavoro, ma per gli Uffici Divini indossano preziose vesti? Come non ricordare San Francesco d'Assisi, che si spogliò di tutti i suoi averi, vivendo di elemosine e abbracciando i poveri e i lebbrosi, e allo stesso tempo raccomandava la fedeltà al Papa e alla Chiesa, e l'uso di vasi sacri preziosi per la Messa? Come non ricordare il Servo di Dio Giorgio La Pira, il ‘sindaco santo’ di Firenze, tanto criticato da destra, che viveva in monastero, partecipava alla Liturgia quotidiana e, durante le tempeste del '68, raccomandava la fedeltà al Vescovo locale, criticando le Comunità di Base? Come non citare poi queste massime del Santo Curato d'Ars (“Tutte le opere buone unite assieme, non valgono il Santo Sacrificio della Messa, perché quelle sono le opere dell'uomo; mentre la S. Messa è l'Opera di Dio”) e di San Pier Giuliano Eymard (“La Santa Messa è l'atto più santo della religione, più glorioso a Dio, più vantaggioso alla nostra anima. Riceviamo forza per amare di più Dio e il prossimo, e per riuscire a perdonare”)?

La domanda successiva ha riguardato un punto dolente di questa crisi: gli abusi liturgici; che cosa può e che cosa deve fare un semplice fedele laico, di fronte agli abusi che si commettono durante la Messa? Il Cardinale ha risposto che il fedele deve operare secondo il principio evangelico della correzione fraterna, gentile e allo stesso tempo ferma (ricordato recentemente dal Vescovo di Lancaster, Patrick O'Donoghue). Egli deve prima parlare con il sacerdote che ha commesso l’abuso; se il sacerdote si mostra indisponibile, allora ricorra al Vescovo, moderatore della Liturgia nella propria Diocesi; se anche il Vescovo si mostra indisponibile, si rivolga, allora, alla Congregazione per il Culto Divino. Gli abusi liturgici si verificano o per eccessiva devozione o per mera ideologia, snaturando così l'adorazione a Dio e il servizio ai fedeli, che hanno il diritto a partecipare ad una Messa correttamente celebrata e, in caso di bisogno, a ricorrere alle autorità ecclesiastiche.

Un'altra domanda è stata fatta riguardo all'Adorazione Eucaristica: i problemi odierni riguardano la sminuita Fede nella Transustanziazione e nella Presenza Reale, e il fatto che i Tabernacoli e le Croci, spesso, nelle chiese moderne sembrano quasi essere nascosti o addirittura scomparsi. Il Cardinale ha invitato a tornare a concepire, come è sempre stato, la chiesa come luogo di adorazione e di preghiera, e nel rinvigorire la Fede nell’Eucaristia.

Le ultime due domande hanno invece riguardato la cura delle traduzioni (della Bibbia, del Messale e della Liturgia delle Ore) e l’uscita della traduzione italiana della terza edizione (risalente al 2002) del Messale Romano del 1970: Sua Eminenza ha risposto dicendo che le traduzioni ricadono sotto la responsabilità delle singole Commissioni Vaticane e delle Conferenze Episcopali nazionali.

Sia la relazione del Cardinale che le risposte alle domande a lui rivolte sono state accompagnate da lunghi e sentiti applausi. Sua Eminenza si è poi fermata a parlare e a condividere opinioni con i presenti, a farsi fotografare insieme a loro, e a benedirli.

Questo convegno, svoltosi in un clima di viva cordialità, è stato una meravigliosa occasione di incontro: la sala era gremita e numerosi erano i giovani, laici, religiosi e sacerdoti (è stato piacevole notare la presenza di un gruppo di giovani suore in abito religioso!), che hanno avuto occasione di incontrarsi e condividere idee comuni.

Si è usciti dalla sala veramente felici e fiduciosi per il futuro!

Laudetur Jesus Christus!
Ad Majorem Dei Gloriam!
fonte:rinascimento sacro