La notizia è della settimana scorsa ed avevamo promesso ce ne saremmo occupati. Il canonico Yannick-Marie Escher (nella foto), monaco dell’abbazia agostiniana di St. Maurice, nel vallese, alla fine di giugno ha fatto le valigie ed ha lasciato il convento, inviando una lettera di cinque pagine di spiegazioni all'abate e a tutti i suoi confratelli. Ma non è scappato con una donna (o peggio): ha percorso i pochi chilometri che separano il suo monastero da Ecône, la casa madre della Fraternità San Pio X: geograficamente, un tiro di schioppo. Simbolicamente, una distanza di anni-luce. Un po' come il Rubicone di Giulio Cesare: un ruscelletto modesto, ma dall'enorme significato.
La notizia ha fatto grande scalpore perché la ‘fuga’ del canonico Escher è stata del tutto inopinata ed imprevista e, soprattutto, perché ne è protagonista un sacerdote che era tra i più noti e carismatici della sua diocesi. Relativamente giovane (36 anni: un ragazzino, per i canoni clericali), brillante, cappellano di un collegio che conta 1.200 allievi e molto popolare tra gli studenti per il suo humour e per la capacità di parlare con loro di ogni argomento anche leggero (serie televisive, ad esempio). In altri termini: non un prete ‘disadattato’ e emarginato dai suoi confratelli, ma uno dei più in vista della diocesi, estroverso, benvoluto, maestro di cerimonie, collaboratore del giornale diocesano (peraltro dal titolo iettatorio e sepolcrale di Paroisses vivantes, parrocchie vive) e anche di un quotidiano non religioso, Le Nouvelliste.
Nella lunga lettera, che non è stata resa pubblica se non per gli aspetti che ora riferiremo, il canonico lamenta in particolare come tanto l'’abate, quanto il vescovo del luogo fossero pregiudizialmente contrari ad ogni apertura liturgica verso la Tradizione e, in particolare, verso l’applicazione del motu proprio di Benedetto XVI.
In un’intervista rilasciata al quotidiano svizzero Le Matin il 17 luglio, mons. Joseph Roduit, abate del monastero, esprime profonda amarezza, e lascia chiaramente trasparire la rabbia e il disappunto. La sua preoccupazione maggiore (riferisce l’articolo) è il rapporto che il canonico aveva sui giovani e l’influenza che l’evento potrebbe avere su di loro. E l’abate riferisce che cercherà di evitare ogni contatto tra gli studenti e il loro ex cappellano.
Ma soprattutto, da un piccolo passaggio dell’intervista si capisce tutto, e si comprende quanta ragione abbia avuto il transfuga a lasciarsi alle spalle un ambiente del genere. Ecco qua:
La notizia ha fatto grande scalpore perché la ‘fuga’ del canonico Escher è stata del tutto inopinata ed imprevista e, soprattutto, perché ne è protagonista un sacerdote che era tra i più noti e carismatici della sua diocesi. Relativamente giovane (36 anni: un ragazzino, per i canoni clericali), brillante, cappellano di un collegio che conta 1.200 allievi e molto popolare tra gli studenti per il suo humour e per la capacità di parlare con loro di ogni argomento anche leggero (serie televisive, ad esempio). In altri termini: non un prete ‘disadattato’ e emarginato dai suoi confratelli, ma uno dei più in vista della diocesi, estroverso, benvoluto, maestro di cerimonie, collaboratore del giornale diocesano (peraltro dal titolo iettatorio e sepolcrale di Paroisses vivantes, parrocchie vive) e anche di un quotidiano non religioso, Le Nouvelliste.
Nella lunga lettera, che non è stata resa pubblica se non per gli aspetti che ora riferiremo, il canonico lamenta in particolare come tanto l'’abate, quanto il vescovo del luogo fossero pregiudizialmente contrari ad ogni apertura liturgica verso la Tradizione e, in particolare, verso l’applicazione del motu proprio di Benedetto XVI.
In un’intervista rilasciata al quotidiano svizzero Le Matin il 17 luglio, mons. Joseph Roduit, abate del monastero, esprime profonda amarezza, e lascia chiaramente trasparire la rabbia e il disappunto. La sua preoccupazione maggiore (riferisce l’articolo) è il rapporto che il canonico aveva sui giovani e l’influenza che l’evento potrebbe avere su di loro. E l’abate riferisce che cercherà di evitare ogni contatto tra gli studenti e il loro ex cappellano.
Ma soprattutto, da un piccolo passaggio dell’intervista si capisce tutto, e si comprende quanta ragione abbia avuto il transfuga a lasciarsi alle spalle un ambiente del genere. Ecco qua:
Quando evochiamo la defezione di un altro canonico, che è diventato bonzo quarant’anni fa, monsignore sorride. Questa volta, dice, è ben altra cosa: Ecône rinnega il Vaticano II, ritiene che i papi abbiano sbagliato strada. Entrare a Ecône, è cambiare confessione, rinnegare i propri voti. E’ grave, non gli si poteva fare un male maggiore.
Ecco: se per un abate vivere il proprio sacerdozio in fedeltà alla Tradizione della Chiesa è rinnegare i voti e la religione ed è molto più grave che diventare bonzo buddista, allora veramente chi ha rinnegato voti e religione non è il canonico Escher, ma chi si lamenta della sua scelta coraggiosa.
Enrico
fonte:messainlatino.it