- L’ortodossia, cioè il Credo cristiano nella sua integrità, è il fondamento e la condizione dell’esistenza stessa della Chiesa.
Questa perderebbe la propria identità, se qualche verità del Credo si annebbiasse nell’incertezza o fosse rimossa o trascurata. La prima missione che sta a cuore alla Chiesa è la piena fedeltà alla Parola di Dio, autorevolmente espressa e proposta dalla stessa Chiesa.
Verso le formulazioni della fede non è raro riscontrare una diffidenza e reazione, ma è perché vengono fraintese, quasi riducessero e impoverissero tale Parola, frantumandola in enunciazioni astratte, prive di vita. Se è vero che nessun linguaggio umano riesce a esprimerne adeguatamente il contenuto, che solo nella visione beatifica sarà immediatamente percepito, è altrettanto indubbio che i simboli di fede coi loro articoli e le definizioni della Chiesa col loro rigore, grazie all’opera dello Spirito, mediano infallibilmente la Rivelazione. E proprio questa sta a cuore alla Chiesa, quale sua prima e insostituibile missione, in ogni tempo.
Già Paolo raccomandava a Tito di insegnare “quello che è conforme alla sana dottrina” (Tito, 2, 1), mentre, esortando Timoteo ad annunciare la Parola, gli prediceva: “Verrà un giorno in cui non si sopporterà più la sana dottrina” (2 Timoteo, 4, 2-3). D’altronde lui stesso si preoccupava di essere in sintonia con gli altri apostoli.
Oggi qua e là si reagisce quando si sente parlare di “eresia”, non considerando che, se l’eresia non è possibile, vuol dire che non esiste neppure la Verità e tutto si stempera in una materia cristiana confusa e informe. Quando, al contrario, la fede ha degli oggetti precisi e non interscambiabili.
Oggi qua e là si reagisce quando si sente parlare di “eresia”, non considerando che, se l’eresia non è possibile, vuol dire che non esiste neppure la Verità e tutto si stempera in una materia cristiana confusa e informe. Quando, al contrario, la fede ha degli oggetti precisi e non interscambiabili.
In questa trasmissione lo sguardo della Chiesa è sempre volto soltanto al Signore, che le affida il Vangelo: non a quello che una determinata cultura potrebbe gradire o approvare, e non limitatamente a quegli aspetti su cui si possa essere d’accordo e consenzienti dopo un accogliente dialogo. Non è fuori luogo sottolineare che il Verbo si è fatto carne non per istituire un disteso e lusinghiero dialogo con l’uomo, ma per creare e manifestare in sé l’unica immagine valida e riconoscibile dell’uomo. A prescindere da Gesù Cristo semplicemente non c’è l’uomo conforme al progetto divino.
Per non equivocare si potrebbe aggiungere che Gesù Cristo non va mai “aggiornato”, perché è Lui il perenne e insuperabile Aggiornamento, che include in sé ogni tempo, quello presente, quello passato e quello futuro. Siamo noi che invece, per non perdere l’”attualità”, ci dobbiamo aggiornare a Lui, siamo noi che, per essere veri credenti, ci dobbiamo aggiornare al Credo cristiano in sé inalterato e inaggiornabile.
Un rinnovamento nella Chiesa passa sempre e imprescindibilmente da un lucido annunzio anzitutto dell’assolutezza di Gesù Cristo, che rappresenta “il mistero di Dio Padre” (Colossesi, 2, 2). Del resto, i concili più importanti e impegnativi furono quelli dedicati all’ortodossa proposizione del mistero di Cristo, della identità di Gesù di Nazaret: concili dottrinali e quindi, nel significato più alto, concili pastorali. A cominciare da Nicea.
La storia della Chiesa mostra con innegabile evidenza che una ripresa della condotta evangelica si innesta sempre su una energica riproposizione dell’ortodossia. Si pensi al Concilio di Trento, che fu prima di tutto un concilio dottrinale – sul peccato originale, sulla giustificazione, sui sacramenti – a cui seguì un meraviglioso rifiorire di vita e di santità cristiana.
La storia della Chiesa mostra con innegabile evidenza che una ripresa della condotta evangelica si innesta sempre su una energica riproposizione dell’ortodossia. Si pensi al Concilio di Trento, che fu prima di tutto un concilio dottrinale – sul peccato originale, sulla giustificazione, sui sacramenti – a cui seguì un meraviglioso rifiorire di vita e di santità cristiana.
La Riforma aveva colto, e giustamente stigmatizzato, comportamenti antievangelici nella Chiesa del suo tempo. Solo che alla base del risanamento pose un aggiornamento dell’ortodossia di fatto consistente in eresie, che spezzavano la comunione con la Tradizione. Si pensi alla negazione del sacerdozio ministeriale, alla contestazione del sacrificio della Messa, alla negazione di alcuni sacramenti, al carattere ecclesiale dell’intepretazione della Scrittura. Sarebbe illuminante far passare analiticamente alcuni punti dell’ortodossia da riannunciare con vigore. Ma, prima di singoli dogmi, pare urgente la riproposizione del senso del “mistero”, che sostiene tutto il Credo. La Parola di Dio manifesta il disegno, iscritto nell’intimo della Trinità e conoscibile soltanto per la condiscendenza divina e per la sua “narrazione” avvenuta in Cristo. Credere significa affidarsi a questa “narrazione” e quindi accogliere e annunciare un “altro mondo”, il mondo invisibile e duraturo. Secondo quanto afferma Paolo: “Noi non fissiamo lo sguardo sulle cose visibili, ma su quelle invisibili, perché le cose visibili sono di un momento, quelle invisibili invece sono eterne” (2 Corinzi, 4, 18).
Lo smarrimento della “sensibilità al soprannaturale”, razionalizzando il dogma, dissolve la fede; deteriora e dissipa l’evangelizzazione; altera e svuota la missione della Chiesa, che Cristo ha fondato come testimonianza della Grazia, e per il raggiungimento non del benessere e del fine terreno dell’umanità, ma della beatitudine eterna. Né per questo il Vangelo trascura o sottovaluta l’esistenza temporale dell’uomo, solo che questa esistenza, fragile e transitoria, è considerata nella sua destinazione e riuscita gloriosa.
Ovviamente, la conseguenza di un tale smarrimento è l’estinzione della teologia. A proposito del senso del mistero vengono in mente, e appaiono di sorprendente attualità, le luminose pagine che il più grande teologo dell’Ottocento, Joseph Matthias Scheeben, purtroppo dimenticato dall’esile riflessione dei nostri giorni, dedica nel primo capitolo de I misteri del cristianesimo, l’opera dogmatica a sua volta più originale e profonda dell’epoca: “Quello che ci affascina è l’apparizione di una luce che ci era nascosta. I misteri pertanto devono essere verità luminose, splendide”, che “si sottraggono al nostro sguardo per soverchia maestà, sublimità e bellezza”.
E anche andrebbe letto, specialmente da chi si sta formando nei seminari, l’ultimo capitolo dell’opera di Scheeben, quello sulla teologia, “la scienza dei misteri”, appoggiata tutta “al Lògos di Dio”.
L’ortodossia, quindi, con le sue verità “visibili” agli “occhi illuminati del cuore” (Efesini, 1, 18): ecco la condizione imprescindibile per un annunzio fedele del Vangelo e un rinnovamento nella Chiesa. © L’Osservatore Romano – 25 agosto 2010