Sermoni compendiati
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- SERMONE XXXI. - PER LA DOMENICA II. DOPO PENTECOSTE
- Della santa comunione.
SERMONE
XXXI. - PER LA DOMENICA II. DOPO PENTECOSTE
Della santa comunione.
Homo
quidam fecit coenam magnam. (Luc. 14. 16.)
Nel
corrente vangelo si legge che un uomo ricco apparecchiò una gran cena: indi
ordinò ad uno de' suoi servi che avesse invitati ad intervenirvi tutti coloro
che avesse ritrovati per le vie, benché fossero poveri, ciechi o zoppi; e che
se ricusassero gli avesse anche forzati a venire: Exi in vias et sepes et compelle intrare, ut impleatur domus mea. E
poi disse che niuno di coloro che fossero stati chiamati e non fosse venuto
avrebbe più participato della sua cena: Dico
autem vobis quod nemo virorum illorum qui vocati sunt gustabit coenam meam.
Questa cena è la santa comunione, cena grande, dove sono invitati tutti i
fedeli a cibarsi delle carni sacrosante di Gesù Cristo nel ss. sacramento
dell'altare: Accipite et comedite, hoc
est corpus meum3. Tratteniamoci dunque oggi a considerare
Nel punto I. Il grande amore che Gesù
Cristo ha dimostrato a noi nel darci se stesso in questo sacramento;
Nel punto II. Ciò che dobbiamo far noi
nel riceverlo per cavare gran frutto dalla comunione.
PUNTO
I. Il grande amore che Gesù Cristo ha
dimostrato a noi nel darci se stesso in questo Sacramento.
Sciens Iesus quia venit hora eius, ut
transeat ex hoc mundo ad Patrem; cum dilexisset suos qui erant in mundo, in
finem dilexit eos4. Sapendo Gesù Cristo essere giunta l'ora della
sua morte, prima di morire volle lasciarci la prova più grande che potea darci
del suo amore, lasciando a noi se stesso nella s. eucaristia. In finem dilexit eos; spiega il
Grisostomo, extremo amore dilexit eos.
Dice s. Bernardino da Siena che i segni d'amore che si dimostrano in morte
restano più impressi alla memoria e si tengono più cari: Quae in fine in signum amicitiae celebrantur firmius memoriae
imprimuntur et cariora tenentur. Ma dove gli altri lasciano agli amici un
anello o un pezzo d'argento in memoria del loro affetto, Gesù ci lasciò tutto
se stesso in cibo in questo sacramento di amore.
Ed in qual tempo Gesù istituì questo sacramento? L'istituì appunto, come notò
l'apostolo, nella notte antecedente alla sua morte: Qua nocte tradebatur, accepit panem et gratias agens, fregit et dixit:
Accipite et manducate, hoc est corpus meum5. Sicché nello stesso
tempo che gli uomini si apparecchiavano a dargli la morte, l'amante Redentore
volle farci questo gran dono. Non fu contento dunque Gesù Cristo di dare per
noi la vita su di una croce, ma volle prima di morire cacciar fuori, come parla
il concilio di Trento, tutte le ricchezze
del suo amore, lasciandoci
se stesso in cibo nella s. comunione: Divitias
sui erga homines amoris velut effudit1. Se la fede di ciò non ci
assicurasse, chi mai potrebbe credere che un Dio abbia voluto farsi uomo, e poi
farsi cibo, per così farsi mangiare dalle sue creature? Quando Gesù Cristo
rivelò a' suoi seguaci questo sagramento che volea lasciarci, scrive s.
Giovanni, che essi non poteano arrivare a crederlo, e si licenziarono dal
Signore, dicendo: Quomodo potest hic
nobis carnes suas dare ad manducandum? Durus est hic sermo, et quis potest eum audire2?
Ma quel
che gli uomini non poteano credere l'ha pensato e fatto il grand'amore di Gesù
Cristo: Accipite et manducate, hoc est
corpus meum: così disse agli apostoli in quella notte prima di morire, e
così dice ora a noi dopo esser morto.
Scrive s. Francesco di Sales: quanto si stimerebbe onorato quell'uomo, al quale
il re inviasse dalla sua mensa una porzione del suo piatto? E che sarebbe poi
se questa porzione fosse una parte del suo braccio? Gesù nella comunione ci dà
non solo una parte del suo braccio, ma tutto il suo corpo nel sacramento
dell'altare senza riserbarsi nulla: Totum
tibi dedit, così il Grisostomo ci rimprovera la nostra ingratitudine, nihil sibi reliquit. E s. Tommaso dice
che Iddio nell'eucaristia ci ha dato tutto quello che egli è, e tutto quello
che ha: Deus in eucharistia totum quod
est et habet dedit nobis3. Giustamente dunque lo stesso santo chiamò
poi questo sacramento, Sacramentum
caritatis, pignus caritatis. Sacramento d'amore, perché il solo amore mosse
Gesù a farci questo dono e pegno d'amore, mentre se mai avessimo noi dubitato
del suo amore, volle egli che in questo sacramento ne avessimo ottenuto il
pegno. S. Bernardo di più chiama questo sacramento, Amor amorum, amore degli amori; poiché il Signore colla sua
incarnazione si è donato a tutti gli uomini in generale; ma con questo
sacramento si è dato a ciascuno di noi in particolare per farci intendere
l'amore particolare che serba per ciascuno di noi.
Ed oh quanto desidera Gesù Cristo di venire alle anime nostre nella santa
comunione! Questo suo gran desiderio lo dichiarò appunto nel tempo in cui
istituì questo sacramento, dicendo agli apostoli: Desiderio desideravi hoc pascha manducare vobiscum4.
Scrive s. Lorenzo Giustiniani che tali parole uscirono dal cuore innamorato di
Gesù Cristo, dimostrandoci con quelle l'ardente amore con cui ci amava: Flagrantissimae caritatis est vox haec.
Ed acciocché noi spesso andassimo a riceverlo nella santa comunione, ci
promette la vita eterna, cioè il paradiso: Qui
manducat hunc panem, vivet in aeternum5. All'incontro ci minaccia
di privarci della sua grazia e del paradiso se lasciamo di comunicarci: Nisi manducaveritis carnem Filii hominis...
non habebitis vitam in vobis6. Queste promesse e queste minaccie
tutte nascono dal gran desiderio che egli ha di venire a noi in questo
sacramento.
E perché mai Gesù Cristo ha tanto desiderio che noi lo riceviamo nella santa
comunione? Perché gradisce di stare unito con ognuno di
noi. Nella
comunione Gesù si unisce realmente coll'anima e col corpo dell'uomo, e l'uomo
con Gesù: Qui manducat meam carnem,
egli disse, in me manet, et ego in eo1.
Sicché dopo la comunione, dice s. Giovanni Grisostomo, che noi siam fatti un
corpo ed una carne con Gesù Cristo: Huic
nos unimur, et facti sumus unum corpus et una caro2. Onde esclama
poi s. Lorenzo Giustiniani: O mirabilis
dilectio tua, Domine Iesu, qui tuo corpori taliter nos incorporari voluisti, ut
tecum unum cor, et animam unam haberemus inseparabiliter colligatam! Sicché
ad ogni anima che riceve la comunione il Signore dice quel che disse un giorno
alla sua diletta serva Margarita d'Ipres: Vedi,
figlia mia, la bella unione fatta fra me e te; orsù amami, e stiamoci sempre
uniti in amore, e non ci separiamo più. Questa unione che si fa di noi con
Gesù Cristo, tutta è effetto, dice il Grisostomo, dell'ardente amore che ha per
noi Gesù Cristo: Semetipsum nobis
immiscuit, ut unum quid simus... ardenter enim amantium hoc est3.
Ma, Signore, tanta intrinsichezza coll'uomo non è decente ad una maestà divina
come è la vostra. Ma l'amore non va trovando ragione, egli va dove è tirato,
non dove dee andare: Amor ratione caret,
et vadit quo ducitur, non quo debeat4. Scrive s. Bernardino da
Siena che Gesù Cristo dandosi a noi in cibo volle giungere all'ultimo grado
d'amore unendosi totalmente con noi, come si unisce il cibo con chi lo mangia: Ultimus gradus amoris est, cum se dedit
nobis in cibum, quia dedit se nobis ad omnimodam unionem, sicut cibus et cibans
invicem uniuntur5. Lo stesso spiegò con bella maniera s. Francesco
di Sales, dicendo: In niun'altra azione
può considerarsi il Salvatore né più tenero né più amoroso che in questa, in
cui si annichila, per così dire, e si riduce in cibo per penetrare le anime
nostre, ed unirsi al cuore de' suoi fedeli.
Da ciò nasce che non vi è cosa da cui possiamo cavar tanto frutto, quanto dalla
comunione. Scrisse s. Dionigi che il ss. sacramento ha una somma virtù di
santificare le anime più che tutti gli altri mezzi spirituali: Eucharistia maximam vim habet perficiendae
sanctitatis. E s. Vincenzo Ferreri scrisse che più profitta l'anima con una
comunione, che con una settimana di digiuni in pane ed acqua. La comunione è
quella medicina che insegna il s. concilio di Trento, che ci libera da' peccati
veniali e ci preserva da' mortali: Antidotum
quo a culpis quotidianis liberemur et a mortalibus praeservemur. Disse Gesù
medesimo che chi si ciba di lui che è il fonte della vita riceverà stabilmente
la vita della grazia: Qui manducat me et
ipse vivet propter me6. Innocenzo III. scrisse che Gesù Cristo
colla sua passione ci libera da' peccati commessi, e coll'eucaristia da'
peccati che possiamo commettere. L'eucaristia inoltre, dice il Grisostomo, è
quella che c'infiamma di amor divino, e ci rende terribili al demonio: Carbo est eucharistia, qua nos inflammat ut,
tanquam leones ignem spirantes ab illa mensa recedamus, facti diabolo
terribiles7. Spiega s. Gregorio quelle parole della sposa de'
cantici: Introduxit
me in cellam vinariam, ordinavit in me
caritatem1. E dice che la comunione è questa cella di vino, ove
l'anima resta talmente inebriata di divino amore, che si dimentica e perde di
vista tutte le cose create.
Dirà taluno: ma perciò io non mi comunico spesso, perché mi vedo freddo nel
divino amore. Risponde a costui il Gersone, e dice: dunque perché senti freddo
perciò vuoi scostarti dal fuoco? Anzi perciò più spesso devi accostarti a
questo sacramento. Scrive s. Bonaventura: Licet
tepide, tamen confidens de misericordia Dei accedas; tanto magis eget medico,
quanto quis senserit se aegrotum2. E s. Francesco di Sales nella
sua Filotea cap. 21. scrisse: Due sorti di persone debbono spesso
comunicarsi, i perfetti per conservarsi nella perfezione, e gl'imperfetti per
giungere alla perfezione. Del resto non si dubita che chi vuol comunicarsi
deve usar tutta la diligenza per comunicarsi bene, e passiamo al secondo punto.
PUNTO
II. Ciò che dobbiamo far noi nel ricevere
la comunione per ricavarne gran frutto.
Due cose sono necessarie
per cavare gran frutto dalla comunione: l'apparecchio prima di riceverla, e il
ringraziamento dopo averla ricevuta. In quanto all'apparecchio, è certo che i
santi perciò riportavano gran profitto dalle comunioni, perché attendevano a
ben prepararvisi. E da ciò deriva poi che molte anime, con tutte le comunioni
che fanno, sempre si vedono colle stesse imperfezioni. Scrive il cardinal Bona
che il difetto non è già nel cibo, ma nel poco apparecchio che vi portano: Defectus non in cibo est, sed in edentis
dispositione. Due sono le disposizioni principali che deve avere chi vuole
comunicarsi spesso. La prima è il distacco delle creature, discacciando dal
cuore ogni cosa che non è Dio. Quanto più di terra vi sta nel cuore, tanto meno
di luogo vi trova l'amor divino; onde bisogna purgare il cuore dagli affetti
mondani, acciocché Dio lo possieda intieramente. Questo fu l'avvertimento che
Gesù stesso diede a s. Geltrude per ben comunicarsi: Non altro, le dice, io cerco
da te se non che venga a ricevermi vuota di te stessa. Stacchiamoci dunque
dal creato e così il nostro cuore sarà tutto del creatore.
La seconda disposizione per ricever gran frutto dalla comunione è il desiderio
di prender Gesù Cristo a fine di più amarlo. Diceva s. Francesco di Sales: Si deve ricevere solo per amore colui che
per solo amore a noi si dona. Sicché il fine principale delle nostre
comunioni ha da essere il crescere nell'amore verso Gesù Cristo. Disse il
Signore medesimo a s. Metilde: «Quando ti comunichi desidera tutto quell'amore
che mai un cuore ha avuto verso di me, ed io riceverò il tuo amore come tu
vorresti che fosse».
È necessario poi anche il ringraziamento dopo la comunione. L'orazione che si
fa dopo la comunione è la più cara a Dio e la più fruttuosa per noi. Dopo la
comunione dobbiamo trattenerci in affetti e preghiere. Gli affetti non siano
solamente di ringraziamento, ma di umiltà, di amore e di offerta di noi stessi.
Umiliamoci allora quanto possiamo, vedendo un Dio fatto nostro cibo, dopo che
tanto l'abbiamo offeso. Dice un dotto autore che l'affetto più proprio
di chi si comunica deve essere di stupore, dicendo: Un Dio a me! Un Dio a me! Facciamo anche
allora molti atti di amore verso Gesù Cristo; a posta egli è venuto dentro di
noi per essere amato; onde molto gradisce sentirsi dire da chi l'ha ricevuto: Gesù mio, io vi amo, e non voglio altro che
voi. Offeriamo anche allora a Gesù Cristo noi stessi e tutte le cose
nostre, acciocché ne disponga come gli piace, replicando più volte: Gesù mio, voi vi siete dato tutto a me, io
mi do tutto a voi.
Oltre gli affetti, dopo la comunione dobbiamo replicar le preghiere con gran
confidenza. Il tempo dopo la comunione è tempo in cui possiamo guadagnare
tesori di grazie. Dice s. Teresa che Gesù allora sta nell'anima come in trono
di grazie, e le dice, siccome disse al cieco: Quid vis ut tibi faciam1? Come le dicesse: Me autem non semper habetis2.
Ora che mi tieni dentro di te, cercami grazie; io son venuto dal cielo a posta
per dispensarti grazie, cercami quel che vuoi, e sarai consolata. Oh quante
belle grazie si perdono da coloro che poco si trattengono a pregar Dio dopo la
comunione! Voltiamoci ancora all'eterno Padre, e ricordandoci della promessa
fattaci da Gesù Cristo: Amen Amen dico
vobis, si quid petieritis Patrem in nomine meo, dabit vobis3;
diciamogli: Dio mio, per amore di questo vostro Figlio che ora tengo dentro il
mio petto, donatemi il vostro amore, fatemi tutto vostro. E se ciò diremo con
confidenza il Signore certamente ci esaudirà. Chi fa così con una sola
comunione può farsi santo.
3 Matth. 26. 26.
4 Ioan. 13. 1.
5 1. Cor. 11. 23. et 24.
1 Sess. 13. c. 2.
2 Ioan. 6. 53. et 61.
3 Opusc. 63. c. 2.
4 Luc. 22. 15.
5 Ioan. 6. 59.
6 Ibid. v. 54.
1 Ioan. 6. 57.
2 Hom. 68. ad pop. Ant.
3 Hom. 61. Ibid.
4 Serm. 143.
5 Tom. 2. serm. 54.
6 Ioan. 6. 58.
7 Hom. 61. ad pop. Ant.
1 Cant. 2. 4.
2 De Prof. Rel. c. 78.
1 Marc. 10. 51.
2 Ioan. 12. 8.
3 Ioan. 16. 23.