domingo, 1 de dezembro de 2013

O MAGISTÉRIO DE SUA SANTIDADE BENTO XVI

Nell’Eucaristia, il Dio vivente si rende così vicino, da farsi cibo che sostiene il cammino, presenza che trasforma col fuoco del suo amore.




VESPRI: VIDEO INTEGRALE


PRIMI VESPRI DI AVVENTO
OMELIA DEL SANTO PADRE

«Colui che vi chiama è fedele» (1 Ts 5,24).
Cari amici universitari,
le parole dell’Apostolo Paolo ci guidano a cogliere il vero significato dell’Anno liturgico, che questa sera iniziamo insieme con la recita dei Primi Vespri di Avvento. L’intero cammino dell’anno della Chiesa è orientato a scoprire e a vivere la fedeltà del Dio di Gesù Cristo che nella grotta di Betlemme si presenterà a noi, ancora una volta, nel volto di un bambino. Tutta la storia della salvezza è un percorso di amore, di misericordia e di benevolenza: dalla creazione alla liberazione del popolo di Israele dalla schiavitù d’Egitto, dal dono della Legge sul Sinai al ritorno in patria dalla schiavitù babilonese. Il Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe è stato sempre il Dio vicino, che non ha mai abbandonato il suo popolo. Più volte ne ha subito con tristezza l’infedeltà e atteso con pazienza il ritorno, sempre nella libertà di un amore che precede e sostiene l’amato, attento alla sua dignità e alle sue attese più profonde.
Dio non si è chiuso nel suo Cielo, ma si è chinato sulle vicende dell’uomo: un mistero grande che giunge a superare ogni possibile attesa. Dio entra nel tempo dell’uomo nel modo più impensato: facendosi bambino e percorrendo le tappe della vita umana, affinché tutta la nostra esistenza, spirito, anima e corpo - come ci ha ricordato san Paolo - possa conservarsi irreprensibile ed essere elevata alle altezze di Dio. E tutto questo lo fa per il suo amore fedele verso l’umanità. L’amore quando è vero tende per sua natura al bene dell’altro, al maggior bene possibile, e non si limita a rispettare semplicemente gli impegni di amicizia assunti, ma va oltre, senza calcolo, né misura. E’ proprio ciò che ha compiuto il Dio vivo e vero, il cui mistero profondo ci viene rivelato nelle parole di san Giovanni: «Dio è amore» (1 Gv 4,8.16). Questo Dio in Gesù di Nazaret assume in sé l’intera umanità, l’intera storia dell’umanità, e le dà una svolta nuova, decisiva, verso un nuovo essere persona umana, caratterizzato dall’essere generato da Dio e dal tendere verso di Lui (cfr L’Infanzia di Gesù, Rizzoli-LEV 2012, p. 19).
Cari giovani, illustri Rettori e Professori, è per me motivo di grande gioia condividere queste riflessioni con voi che qui rappresentate il mondo universitario romano, nel quale confluiscono, pur nelle loro specifiche identità, le Università statali e private di Roma e le Istituzioni pontificie, che da tanti anni camminano insieme dando viva testimonianza di un fecondo dialogo e di collaborazione tra i diversi saperi e la teologia. Saluto e ringrazio il Cardinale Prefetto della Congregazione per l’Educazione Cattolica, il Rettore dell’Università di Roma “Foro Italico” e la vostra rappresentante, per le parole che mi hanno rivolto a nome di tutti. Saluto con viva cordialità il Cardinale Vicario e il Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, come pure le diverse autorità accademiche presenti.
Con speciale affetto saluto voi, cari giovani universitari degli Atenei romani, che avete rinnovato la vostra professione di fede sulla Tomba dell’apostolo Pietro. Voi state vivendo il tempo della preparazione alle grandi scelte della vostra vita e al servizio nella Chiesa e nella società.
Questa sera potete sperimentare che non siete soli: sono con voi i docenti, i cappellani universitari, gli animatori dei collegi. E’ con voi il Papa! E, soprattutto, siete inseriti nella grande comunità accademica romana, in cui è possibile camminare nella preghiera, nella ricerca, nel confronto, nella testimonianza al Vangelo. E’ un dono prezioso per la vostra vita; sappiatelo vedere come un segno della fedeltà di Dio, che vi offre occasioni per conformare la vostra esistenza a quella di Cristo, per lasciarvi santificare da Lui fino alla perfezione (cfr 1 Ts 5,23). L’anno liturgico che iniziamo con questi Vespri sarà anche per voi il cammino in cui ancora una volta rivivere il mistero di questa fedeltà di Dio, sulla quale siete chiamati a fondare, come su una roccia sicura, la vostra vita. Celebrando e vivendo con tutta la Chiesa questo itinerario di fede, sperimenterete che Gesù Cristo è l’unico Signore del cosmo e della storia, senza il quale ogni costruzione umana rischia di vanificarsi nel nulla. La liturgia, vissuta nel suo vero spirito, è sempre la scuola fondamentale per vivere la fede cristiana, una fede «teologale», che vi coinvolge in tutto il vostro essere – spirito, anima e corpo – per farvi diventare pietre vive nella costruzione della Chiesa e collaboratori della nuova evangelizzazione. In modo particolare, nell’Eucaristia, il Dio vivente si rende così vicino, da farsi cibo che sostiene il cammino, presenza che trasforma col fuoco del suo amore.
Cari amici, viviamo in un contesto in cui spesso incontriamo l’indifferenza verso Dio. Ma penso che nel profondo di quanti - anche tra i vostri coetanei - vivono la lontananza da Dio, ci sia una interiore nostalgia di infinito, di trascendenza. A voi il compito di testimoniare nelle aule universitarie il Dio vicino, che si manifesta anche nella ricerca della verità, anima di ogni impegno intellettuale. A tale proposito esprimo il mio compiacimento e il mio incoraggiamento per il programma di pastorale universitaria dal titolo: «Il Padre lo vide da lontano. L’oggi dell’uomo, l’oggi di Dio», proposto dall’Ufficio di pastorale universitaria del Vicariato di Roma. La fede è la porta che Dio apre nella nostra vita per condurci all’incontro con Cristo, nel quale l’oggi dell’uomo si incontra con l’oggi di Dio. La fede cristiana non è adesione ad un dio generico o indefinito, ma al Dio vivo che in Gesù Cristo, Verbo fatto carne, è entrato nella nostra storia e si è rivelato come il Redentore dell’uomo.
Credere significa affidare la propria vita a Colui che solo può darle pienezza nel tempo e aprirla ad una speranza oltre il tempo. Riflettere sulla fede, in quest'Anno della fede, è l’invito che desidero rivolgere a tutta la comunità accademica di Roma. Il continuo dialogo tra le Università statali o private e quelle pontificie lascia sperare in una presenza sempre più significativa della Chiesa nell’ambito della cultura non solo romana, ma italiana ed internazionale. Le Settimane culturali e il Simposio internazionale dei docenti che si svolgerà a giugno prossimo, saranno un esempio di questa esperienza, che spero possa realizzarsi in tutte le città universitarie dove sono presenti atenei statali, privati e pontifici.
Cari amici, «colui che vi chiama è fedele e farà tutto questo» (1 Ts 5,24); farà di voi annunciatori della sua presenza. Nella preghiera di questa sera incamminiamoci idealmente verso la grotta di Betlemme per gustare la vera gioia del Natale: la gioia di accogliere al centro della nostra vita, sull’esempio della Vergine Maria e di san Giuseppe, quel Bambino che ci ricorda che gli occhi di Dio sono aperti sul mondo e su ogni uomo (cfr Zc 12,4). Gli occhi di Dio sono aperti su di noi perché Lui è fedele al suo amore! Solo questa certezza può condurre l’umanità verso traguardi di pace e di prosperità, in questo momento storico delicato e complesso. Anche la prossima Giornata Mondiale della Gioventù a Rio de Janeiro sarà per voi giovani universitari una grande occasione per manifestare la fecondità storica della fedeltà di Dio, offrendo la vostra testimonianza e il vostro impegno per il rinnovamento morale e sociale del mondo. La consegna dell’Icona di Maria Sedes Sapientiae alla delegazione universitaria brasiliana da parte della Cappellania universitaria di Roma Tre, che quest’anno celebra il suo ventennale, è un segno di questo comune impegno di voi giovani universitari di Roma.
A Maria, Sede della Sapienza, affido tutti voi e i vostri cari; lo studio, l’insegnamento, la vita degli Atenei; specialmente l’itinerario di formazione e di testimonianza in questo Anno della fede. Le lampade che porterete nelle vostre cappellanie siano sempre alimentate dalla vostra fede umile ma piena di adorazione, perché ciascuno di voi sia una luce di speranza e di pace nell’ambiente universitario. Amen.

© Copyright 2012 - Libreria Editrice Vaticana


S. Alfonso Maria de Liguori Apparecchio e ringraziamento…messa per il sabbato

S. Alfonso Maria de Liguori
Apparecchio e ringraziamento…messa
IntraText CT - Lettura del testo
CONSID. VII. PER IL SABBATO

Festinans descende, quia hodie in domo tua oportet me manere. (Luc. 19. 5.)


Immaginati, come Gesù Cristo dica a te stamattina queste istesse parole che già disse a Zaccheo: Presto, vieni all'altare, ch'io voglio entrare oggi nella casa dell'anima tua per conservarle la vita, per guarire le sue piaghe, e per infiammarla del mio amore. Sì tutto ciò fa il divin sagramento. Egli è pane che dà vita all'anima: Panis quem ego dabo, caro mea est pro mundi vita 1. Egli è medicina con cui siamo liberati e preservati da' peccati: Antidotum quo liberemur a culpis quotidianis, et a peccatis mortalibus praeservemur 2. Egli è fuoco che infiamma l'anima del santo amore; sicché tutti (come dice il Grisostomo), se noi non mettessimo impedimento, partiremmo dall'altare flammam spirantes, terribiles effecti diabolo.


Ma, mio Dio, come poi tanti sacerdoti, che ogni settimana si cibano di questo pane celeste, invece di ardere di divino amore, si vedono sempre più attaccati al mondo? e vanno sempre all'altare cogli stessi peccati veniali deliberati? Tutto nasce, perché vanno a celebrare senza fine e desiderio di farsi santi, ma o per interesse o per uso fatto. E perciò sempre commettono gli stessi difetti; e così s'accostano alla morte, e se ne vanno a render conto a Gesù C. della loro vita menata nel sacerdozio tutta tepida e disordinata.

Sacerdote mio, se tu sei uno di costoro, vedi che questo pane celeste non ti gioverà a farti santo, ma ti renderà più reo per tua colpa avanti al divin tribunale. Emendati; pensa che la morte si avvicina. Rifletti, quali sono quegli attacchi e quei difetti che t'impediscono di avanzarti nel divino amore, e toglili. Pensa che sei sacerdote. Pensa che Dio ti ha eletto per suo favorito e non potea farti più grande di quello che t'ha fatto.


Affetti


O Dio d'infinita maestà, voi volete venire questa mattina nell'anima mia ad alloggiare; ma le case dove voi abitate, debbono esser sante: Domum tuam decet sanctitudo, Domine 3. Come potrò ricevervi io che sono così imperfetto e pieno di difetti? Domine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum.


Ah, mio Redentore, se ora dovessi comparire al vostro giudizio, qual buon conto vi darei di tante messe dette, e degli anni in cui sono stato sacerdote? Signore, aspettatemi, non mi giudicate ancora: Non intres in iudicium cum servo tuo 4. Aspettatemi un altro poco per pietà: Dimitte me, ut plangam paululum dolorem meum, antequam vadam, et non revertar 5. Datemi un altro poco di vita, acciocché io pianga l'ingratitudine, con cui sinora vi ho trattato, o Gesù mio. Voi m'avete fatto sacerdote; ma qual vita di sacerdote io misero ho fatta finora? Con tante messe e comunioni avrei avuto da diventar tutto fuoco del vostro amore, tutto puro e santo. Per voi già non è mancato, tutto è mancato per colpa mia, e per gli impedimenti ch'io ho posti alla vostra grazia. La mia vita non vi ha



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onorato no, ma vi ha disonorato appresso il cielo e la terra. Voi mi avete cacciato dal mondo, ed io ho amato il mondo più che gli stessi mondani. Mio Dio, pietà, non mi abbandonate ch'io voglio emendarmi. Mi pento con tutto il cuore di quanti disgusti vi ho dati. Voglio cominciare ad amarvi da vero, voglio cominciare da questa mattina, in cui vi ho da tornare a ricevere.


Vi amo, o Dio dell'anima mia, vi amo, mio Salvatore, che per salvarmi e farmi vostro sacerdote avete data la vita: Domine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum, sed tantum dic verbo, et sanabitur anima mea. Perdonatemi, Gesù mio, e sanatemi. Distaccatemi dal mondo, e legatemi strettamente a voi; fatemi vivere da sacerdote, quale m'avete fatto. Caro mio Redentore, i meriti vostri sono la speranza mia. Eterno Padre, vi offerisco questa mattina Gesù Cristo, acciocché mi rendiate tutto vostro. Maria ss., pregate Gesù per me.





RINGRAZIAMENTO VII. PER IL SABBATO.

Loquere Domine, quia audit servus tuus.

(1. Reg. 3. 9.)


Caro mio Gesù voi siete venuto di nuovo a visitare questa mattina l'anima mia; ve ne ringrazio con tutto il cuore. Giacché siete venuto, parlate, dite quel che volete da me, che io tutto voglio farlo. Io meriterei che voi non mi parlaste più, mentre tante volte sono stato sordo alle vostre voci con cui mi avete chiamato al vostro amore, ed io ingrato vi ho voltate le spalle. Ma dell'offese che vi ho fatte già mi son pentito; ora di nuovo me ne pento e spero che già mi abbiate perdonato. Ditemi dunque che volete da me, ch'io tutto voglio adempirlo.


Oh vi avessi sempre amato, mio Dio: misero me, e quanti anni ho perduti! Ma il vostro sangue e le vostre promesse mi fanno sperare di compensare per l'avvenire il tempo perduto, con attendere solo ad amarvi e darvi gusto.


Io vi amo, mio Redentore, vi amo, mio Dio, ad altro non anelo, che ad amarvi con tutto il mio cuore, e di morire anche per amore di voi che siete morto per amor mio. Amore amoris



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tui (vi dirò con s. Francesco) moriar, qui amore amoris mei dignatus es mori. Voi, Gesù mio, vi siete dato tutto a me, mi avete dato tutto il vostro sangue, la vita, tutti i vostri sudori, tutti i vostri meriti, non vi è restato più che darmi; io mi dono tutto a voi, vi dono tutte le mie soddisfazioni, tutti i piaceri della terra, il mio corpo, l'anima, la volontà; non ho più che darvi; se più avessi, più vi darei. Caro mio Gesù, voi mi bastate.


Ma, Signore, fate voi ch'io vi sia fedele; non permettete ch'io mutando volontà vi abbia a lasciare. Spero per la vostra passione, o mio Salvatore, che ciò non abbia mai a succedere. Voi avete detto: Nullus speravit in Domino et confusus est 1. Dunque ben fermamente posso dire anch'io: In te, Domine, speravi, non confundar in aeternum. Io spero e voglio sempre sperare, o Dio dell'anima mia, che non avrò mai più a patir la confusione di vedermi separato da voi e in disgrazia vostra: In te, Domine, speravi, non confundar in aeternum.


Dio mio, voi siete onnipotente, fatemi santo; fate ch'io vi ami assai, fate che io non tralasci cosa che intenda esser di gloria vostra, e vinca tutto per darvi gusto. Beato me, se perdo tutto per fare acquisto di voi, e del vostro amore! Voi a questo fine mi avete data la vita: fate ch'io la spenda tutta per voi. Io non merito grazie, ma castighi; ed io vi dico, castigatemi come volete, ma non mi private del vostro amore. Voi senza riserba avete amato me: io senza riserba voglio amar voi, bene infinito, amore infinito. O volontà di Dio! voi siete l'amor mio. O Gesù mio! voi siete morto per me: oh potessi anch'io morire per voi, e far colla mia morte che tutti vi amassero! O infinito bene, infinitamente amabile! io vi stimo ed amo sopra ogni cosa. O Maria! tiratemi voi tutto a Dio; datemi confidenza in voi, e fate ch'io sempre a voi ricorra; voi mi avete da far santo colla vostra intercessione: così spero.

Viva Gesù nostro amore,

E Maria nostra speranza.






Benedetto XVI: La Buona Novella si può riassumere in poche parole: Dio, creatore dell'uomo, in suo figlio Gesù ci fa conoscere il suo amore per l'umanità: «Dio è amore» (cfr. i Gv), Egli vuole la felicità delle sue creature, di tutti i suoi figli.

Vedi anche:


VISITA "AD LIMINA APOSTOLORUM" DEGLI ECC.MI PRESULI DELLA CONFERENZA EPISCOPALE DI FRANCIA (3° GRUPPO), 30.11.2012

Alle ore 11 di questa mattina, nella Sala del Concistoro del Palazzo Apostolico Vaticano, il Santo Padre Benedetto XVI incontra i Presuli della Conferenza Episcopale di Francia (3° gruppo: province ecclesiastiche di Clermont, Lyon, Marseille, Montpellier e Toulouse), ricevuti in questi giorni, in separate udienze, in occasione della Visita "ad Limina Apostolorum".

Riportiamo di seguito il testo del discorso che il Papa rivolge ai Vescovi presenti nel corso dell’incontro:

DISCORSO DEL SANTO PADRE



Signor cardinale,
cari fratelli nell'episcopato,

Conservo sempre vivo il ricordo del mio viaggio apostolico in Francia in occasione delle celebrazioni per il centocinquantesimo anniversario delle apparizioni a Lourdes dell'Immacolata Concezione. Siete l'ultimo dei tre gruppi di vescovi di Francia venuti in visita ad limina. La ringrazio, eminenza, per le sue cordiali parole. Rivolgendomi a quanti vi hanno preceduto, ho aperto una sorta di trittico la cui indispensabile predella potrebbe essere il discorso che vi ho rivolto a Lourdes nel 2008. L'esame di questo insieme inscindibile vi sarà certamente utile e guiderà le vostre riflessioni.
Voi siete responsabili di regioni in cui la fede cristiana si è radicata molto presto e ha recato frutti ammirevoli. Regioni legate a nomi illustri che si sono adoperati tanto per il radicamento e la crescita del Regno di Dio in questo mondo: martiri come Potino e Blandina, grandi teologi come Ireneo e Vincenzo di Lérins, maestri della spiritualità cristiana come Bruno, Bernardo, Francesco di Sales e tanti altri. La Chiesa in Francia s'iscrive in una lunga stirpe di santi, dottori, martiri e confessori della fede. Siete gli eredi di una grande esperienza umana e di un'immensa ricchezza spirituale, che, senza alcun dubbio, sono quindi per voi fonte d'ispirazione nella vostra missione di pastori.
Queste origini e questo passato glorioso, sempre presenti nel nostro pensiero e tanto cari al nostro spirito, ci permettono di nutrire una grande speranza, insieme salda e audace, al momento di raccogliere le sfide del terzo millennio e di ascoltare le aspettative degli uomini della nostra epoca, alle quali Dio solo può dare una risposta soddisfacente. La Buona Novella che abbiamo il compito di annunciare agli uomini di tutti i tempi, di tutte le lingue e di tutte le culture, si può riassumere in poche parole: Dio, creatore dell'uomo, in suo figlio Gesù ci fa conoscere il suo amore per l'umanità: «Dio è amore» (cfr. i Gv), Egli vuole la felicità delle sue creature, di tutti i suoi figli. La costituzione pastorale Gaudium et spes (cfr. n. 10) ha affrontato le questioni chiave dell'esistenza umana, sul senso della vita e della morte, del male, della malattia e della sofferenza, così presenti nel nostro mondo. Ha ricordato che, nella sua bontà paterna, Dio ha voluto dare delle risposte a tutti questi interrogativi e che Cristo ha fondato la sua Chiesa affinché tutti gli uomini potessero conoscerle. Perciò uno dei problemi più seri della nostra epoca è quello dell'ignoranza pratica religiosa in cui vivono molti uomini e donne, compresi alcuni fedeli cattolici (cfr. esortazione apostolica Christifideles laici, capitolo v).
Per questo motivo la nuova evangelizzazione, nella quale la Chiesa si è risolutamente impegnata dal concilio Vaticano II e della quale il motu proprio Ubicumque et semper ha delineato le principali modalità, si presenta con un'urgenza particolare, come hanno sottolineato i padri del Sinodo che si è da poco concluso. Essa chiede a tutti i cristiani di rendere ragione della speranza che è in loro (cfr. 1 Pt 3, 15), consapevole che uno degli ostacoli più temibili della nostra missione pastorale è l'ignoranza del contenuto della fede. Si tratta in realtà di una duplice ignoranza: un disconoscimento della persona di Gesù Cristo e un'ignoranza della sublimità dei suoi insegnamenti, del loro valore universale e permanente nella ricerca del senso della vita e della felicità. Questa ignoranza provoca inoltre nelle nuove generazioni l'incapacità di comprendere la storia e di sentirsi eredi di questa tradizione che ha modellato la vita, la società, l'arte e la cultura europee.
Nell'attuale Anno della fede, la Congregazione per la Dottrina della Fede, nella nota del 6 gennaio 2012, ha dato le indicazioni pastorali auspicabili per mobilitare tutte le energie della Chiesa, l'azione dei suoi pastori e dei suoi fedeli, al fine di animare in profondità la società. È lo Spirito Santo che, «con la forza del Vangelo la fa ringiovanire, continuamente la rinnova» (Lumen gentium, 4).
Questa nota ricorda che «ogni iniziativa per l'Anno della fede vuole favorire la gioiosa riscoperta e la rinnovata testimonianza della fede. Le indicazioni qui offerte hanno lo scopo di invitare tutti i membri della Chiesa ad impegnarsi perché quest'Anno sia occasione privilegiata per condividere quello che il cristiano ha di più caro: Cristo Gesù, Redentore dell'uomo, Re dell'Universo, “autore e perfezionatore della fede” (Eb 12, 2)». Il Sinodo dei vescovi ha proposto di recente a tutti e a ognuno i mezzi per condurre a buon fine questa missione. L'esempio del nostro divino Maestro è sempre il fondamento di tutta la nostra riflessione e della nostra azione. Preghiera e azione, questi sono i mezzi che il nostro Salvatore ci chiede ancora e sempre di utilizzare.
La nuova evangelizzazione sarà efficace se coinvolgerà a fondo le comunità e le parrocchie. I segni di vitalità e l'impegno dei fedeli laici nella società francese sono già una realtà incoraggiante. Molti sono stati in passato gli impegni dei laici; penso a Pauline-Marie Jaricot, della cui morte abbiamo celebrato il centocinquantesimo anniversario, e alla sua opera per la diffusione della fede, così determinante per le missioni cattoliche nel XIX e XX secolo. I laici, con i loro vescovi e i sacerdoti, sono protagonisti nella vita della Chiesa e nella sua missione di evangelizzazione. In diversi suoi documenti (Lumen gentium, Apostolicam actuositatem, tra gli altri), il concilio Vaticano II ha sottolineato la specificità della loro missione: permeare le realtà umane dello spirito del Vangelo. I laici sono il volto del mondo nella Chiesa e allo stesso tempo il volto della Chiesa nel mondo. Conosco il valore e la qualità del multiforme apostolato dei laici, uomini e donne. Unisco la mia voce alla vostra per esprimere loro i miei sentimenti di stima.
La Chiesa in Europa e in Francia non può restare indifferente dinanzi alla diminuzione delle vocazioni e delle ordinazioni sacerdotali, e neppure degli altri tipi di chiamate che Dio suscita nella Chiesa. È urgente mobilitare tutte le energie disponibili, affinché i giovani possano ascoltare la voce del Signore. Dio chiama chi vuole e quando vuole. Tuttavia, le famiglie cristiane e le comunità ferventi restano terreni particolarmente favorevoli. Queste famiglie, queste comunità e questi giovani sono dunque al centro di ogni iniziativa di evangelizzazione, malgrado un contesto culturale e sociale segnato dal relativismo e dall'edonismo.
Essendo i giovani la speranza e il futuro della Chiesa e del mondo, non voglio tralasciare di menzionare l'importanza dell'educazione cattolica. Questa svolge un compito ammirevole, spesso difficile, reso possibile dall'instancabile dedizione dei formatori: sacerdoti, persone consacrate o laici. Al di là del sapere trasmesso, la testimonianza di vita dei formatori deve permettere ai giovani di assimilare i valori umani e cristiani al fine di tendere alla ricerca e all'amore del vero e del bello (cfr. Gaudium et spes, 15). Continuate a incoraggiarli e ad aprire loro nuove prospettive affinché beneficino anche dell'evangelizzazione. Gli istituti cattolici sono chiaramente al primo posto nel grande dialogo tra la fede e la cultura. L'amore per la verità che irradiano è di per sé evangelizzatore. Sono ambiti d'insegnamento e di dialogo, e anche centri di ricerca, che devono essere sempre più sviluppati, più ambiziosi.
Conosco bene il contributo che la Chiesa in Francia ha apportato alla cultura cristiana. So della vostra attenzione -- e vi incoraggio in tal senso -- a coltivare il rigore accademico e a tessere legami più intensi di comunicazione e di collaborazione con università di altri Paesi, sia perché beneficino degli ambiti in cui eccellete, sia perché impariate da loro, al fine di servire sempre meglio la Chiesa, la società, l'intero uomo. Sottolineo con gratitudine le iniziative prese in alcune vostre diocesi per favorire l'iniziazione teologica di giovani studenti di discipline profane.
La teologia è una fonte di sapienza, di gioia, di meraviglia che non può essere riservata solo ai seminaristi, ai sacerdoti e alle persone consacrate. Proposta a numerosi giovani e adulti, essa li conforterà nella fede e farà di loro, senza alcun dubbio, apostoli audaci e convincenti. È dunque una prospettiva che potrebbe essere ampiamente proposta agli istituti superiori di teologia, come espressione della dimensione intrinsecamente missionaria della teologia e come servizio della cultura nel suo significato più profondo.
Quanto alle scuole cattoliche che hanno modellato la vita cristiana e culturale del vostro Paese, esse hanno oggi una responsabilità storica. Ambito di trasmissione del sapere e di formazione della persona, di accoglienza incondizionata e di apprendimento della vita in comune, godono spesso di un meritato prestigio. È necessario trovare i percorsi affinché la trasmissione della fede resti al centro del loro progetto educativo. La nuova evangelizzazione passa per queste scuole e per la multiforme opera dell'educazione cattolica che sottende numerose iniziative e movimenti, per la qual cosa la Chiesa è riconoscente. L'educazione ai valori cristiani è la chiave della cultura del vostro Paese. Aprendo alla speranza e alla libertà autentica, essa continuerà ad apportarle dinamismo e creatività. L'ardore conferito alla nuova evangelizzazione sarà il nostro contributo migliore allo sviluppo della società umana e la risposta migliore alle sfide di ogni tipo che tutti devono affrontare in questo inizio del terzo millennio. Cari fratelli nell'episcopato, affido voi, come pure il vostro lavoro pastorale e l'insieme delle comunità che vi sono state affidate, alla sollecitudine materna della Vergine Maria che vi accompagnerà nella vostra missione nel corso degli anni a venire! E come ho affermato prima di lasciare la Francia nel 2008: «Da Roma vi resterò vicino e quando sosterò davanti alla riproduzione della Grotta di Lourdes, che da oltre un secolo si trova nei Giardini Vaticani, penserò a voi. Che Dio vi benedica!».

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Il Papa a Bartolomeo I: La sfida più urgente, sulla quale ci siamo sempre trovati in totale accordo con Vostra Santità, è oggi quella di come far giungere l’annuncio dell’amore misericordioso di Dio all’uomo del nostro tempo, così spesso distratto, più o meno incapace di una riflessione profonda sul senso stesso della sua esistenza, preso come tale a partire da progetti e da utopie che non possono che deluderlo


IL RIAVVICINAMENTO FRA CATTOLICI E ORTODOSSI

MESSAGGIO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI A SUA SANTITÀ BARTOLOMEO I, PATRIARCA ECUMENICO, PER LA FESTA DI S. ANDREA, 30.11.2012

Nel quadro del tradizionale scambio di Delegazioni per le rispettive feste dei Santi Patroni, il 29 giugno a Roma per la celebrazione dei Santi apostoli Pietro e Paolo e il 30 novembre a Istanbul per la celebrazione di Sant’Andrea apostolo, il cardinale Kurt Koch, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, guida quest’anno la Delegazione della Santa Sede per la Festa del Patriarcato Ecumenico. Il cardinale Koch è accompagnato dal vescovo Brian Farrell, segretario del Dicastero, e da Monsignor Andrea Palmieri, sottosegretario. Ad Istanbul, si è unito alla delegazione il nunzio apostolico in Turchia, l’arcivescovo Antonio Lucibello. La Delegazione della Santa Sede ha preso parte alla solenne Divina Liturgia presieduta da Sua Santità Bartolomeo I nella chiesa patriarcale del Fanar, ed ha avuto un incontro con il Patriarca e conversazioni con la Commissione sinodale incaricata delle relazioni con la Chiesa cattolica. Il cardinale Koch ha consegnato al Patriarca Ecumenico un messaggio autografo del Santo Padre, di cui ha dato pubblica lettura alla conclusione della Divina Liturgia, accompagnato da un dono. Il cardinale ha inoltre incontrato i rappresentanti della comunità cattolica locale e si è intrattenuto in una conversazione con il Comitato ecumenico del Vicariato apostolico della Chiesa cattolica d’Istanbul.
Pubblichiamo di seguito il testo del Messaggio del Santo Padre Benedetto XVI al Patriarca Ecumenico:

MESSAGGIO DEL SANTO PADRE


A Sua Santità Bartolomeo I
Arcivescovo di Costantinopoli
Patriarca Ecumenico

«Che il Cristo abiti per la fede nei vostri cuori» (Ef 3, 17)

Animato da sentimenti di gioia profonda e di vicinanza fraterna, vorrei oggi fare mio questo auspicio, che san Paolo rivolge alla comunità cristiana di Efeso, per formularlo a lei, Santità, ai membri del Santo Sinodo, al clero e a tutti i fedeli, riuniti in questo giorno di festa per celebrare la grande solennità di sant’Andrea. Seguendo l’esempio dell’Apostolo, anche io, in quanto vostro fratello nella fede, «piego le ginocchia davanti al Padre» (Ef 3, 14), per chiedere che vi conceda «di essere potentemente rafforzati dal suo Spirito» (Ef 3, 16) e di «conoscere l’amore di Cristo che sorpassa ogni conoscenza» (Ef 3, 19).
Lo scambio di Delegazioni tra la Chiesa di Roma e la Chiesa di Costantinopoli, che si rinnova ogni anno in occasione delle rispettive feste patronali di sant’Andrea al Fanar e dei santi Pietro e Paolo a Roma, testimonia in modo concreto il legame di vicinanza fraterna che ci unisce. È una comunione profonda e reale, sebbene ancora imperfetta, che si fonda non su ragioni umane di cortesia e di convenienza, ma sulla fede comune nel Signore Gesù Cristo, il cui Vangelo di salvezza ci è pervenuto grazie alla predicazione e alla testimonianza degli apostoli, suggellato dal sangue del martirio. Potendo contare su questo solido fondamento, possiamo procedere insieme con fiducia nel cammino che conduce verso il ripristino della piena comunione. In questo cammino, grazie anche al sostegno assiduo e attivo di Vostra Santità, abbiamo compiuto tanti progressi, per i quali le sono molto riconoscente. Anche se la strada da percorrere può sembrare ancora lunga e difficile, la nostra intenzione di proseguire in questa direzione resta immutata, confortati dalla preghiera che nostro Signore Gesù Cristo ha rivolto al Padre: «siano anch’essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda» (Gv 17, 21).
Santità, in questo momento desidero rinnovarle l’espressione della mia viva riconoscenza per le parole pronunciate al termine della celebrazione per il cinquantesimo anniversario dell’apertura del concilio Vaticano II e per l’apertura dell’Anno della fede, che si è tenuta a Roma a ottobre, parole mediante le quali lei ha saputo farsi interprete dei sentimenti di tutti i presenti. Conservo vivi ricordi della sua visita a Roma in quella circostanza, durante la quale abbiamo avuto l’opportunità di rinnovare i vincoli della nostra sincera e autentica amicizia. Questa amicizia sincera che è nata tra di noi, con una grande visione comune delle responsabilità alle quali siamo chiamati come cristiani e come pastori del gregge che Dio ci ha affidato, è motivo di grande speranza affinché si sviluppi una collaborazione sempre più intensa, nel compito urgente di rendere, con rinnovato vigore, testimonianza del messaggio evangelico al mondo contemporaneo. Ringrazio inoltre di tutto cuore lei, Santità, e il Santo Sinodo del Patriarcato Ecumenico per aver voluto inviare un delegato fraterno affinché partecipasse all’Assemblea ordinaria generale del Sinodo de vescovi sul tema: «La nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana».
La sfida più urgente, sulla quale ci siamo sempre trovati in totale accordo con Vostra Santità, è oggi quella di come far giungere l’annuncio dell’amore misericordioso di Dio all’uomo del nostro tempo, così spesso distratto, più o meno incapace di una riflessione profonda sul senso stesso della sua esistenza, preso come tale a partire da progetti e da utopie che non possono che deluderlo.
La Chiesa non ha altro messaggio oltre al «Vangelo di Dio» (Rm 1, 1) e non ha altro metodo oltre all’annuncio apostolico, sostenuto e garantito dalla testimonianza di santità della vita dei pastori e del popolo di Dio. Il Signore Gesù ci ha detto che «la messe è molta» (Lc 10, 2), e non possiamo accettare che vada perduta a causa delle nostre debolezze e delle nostre divisioni.
Santità, nella Divina liturgia odierna che avete celebrato in onore di sant’Andrea, patrono del Patriarcato ecumenico, avete pregato «per la pace nel mondo intero, per la prosperità delle sante Chiese di Dio e per l’unione di tutti». Con tutti i fratelli e le sorelle cattolici, mi unisco alla vostra preghiera. La piena comunione alla quale aspiriamo, è un dono che viene da Dio. A Lui, «che in tutto ha potere di fare molto più di quanto possiamo domandare o pensare, secondo la potenza che già opera in noi» (Ef 3, 20), rivolgiamo con fiducia la nostra supplica, per intercessione di sant’Andrea e di san Pietro, suo fratello.
Con questi sentimenti di sincero affetto in Cristo Signore, rinnovo i miei cordiali auguri e scambio con lei, Santità, un abbraccio fraterno.
Dal Vaticano, 23 novembre 2012


BENEDICTUS PP. XVI

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(Traduzione Osservatore Romano)