SULL'ECCLESIOLOGIA DELLA COSTITUZIONE "LUMEN GENTIUM"
AL CONVEGNO INTERNAZIONALE SULL'ATTUAZIONE
DEL CONCILIO ECUMENICO VATICANO II
PROMOSSO DAL COMITATO DEL GRANDE GIUBILEO DELL'ANNO 2000
Domenica, 27 Febbraio 2000
Nel tempo della preparazione al Concilio Vaticano II ed anche
durante il Concilio stesso il Cardinale Frings mi ha spesso raccontato un
piccolo episodio, che evidentemente lo aveva toccato profondamente. Papa
Giovanni XXIII non aveva da parte sua fissato alcun tema determinato per il
Concilio, ma aveva invitato i Vescovi del mondo a proporre le loro priorità,
così che dalle esperienze vive della Chiesa universale emergesse la tematica di
cui il Concilio si sarebbe dovuto occupare. Anche nella Conferenza Episcopale
Tedesca si discusse su quali temi si dovessero proporre per la riunione dei
Vescovi. Non solo in Germania, ma praticamente in tutta la Chiesa cattolica si
era del parere che il tema dovesse essere la Chiesa: il Concilio Vaticano I
interrotto innanzitempo a motivo della guerra franco-tedesca non aveva potuto
condurre a termine la sua sintesi ecclesiologica, ma aveva lasciato un capitolo
di ecclesiologia isolato. Riprendere le fila di allora e così cercare una
visione globale della Chiesa appariva essere il compito urgente dell'imminente
Concilio Vaticano II.
Ciò emergeva anche dal clima culturale dell'epoca: la fine della
prima guerra mondiale aveva portato con sé un profondo rivolgimento teologico.
La teologia liberale orientata in modo del tutto individualistico si era
eclissata come da se stessa, si era ridestata una nuova sensibilità per la
Chiesa.
Non solo Romano Guardini parlava di risveglio della Chiesa nelle
anime; il Vescovo evangelico Otto Dibelius coniava la formula del secolo della
Chiesa, e Karl Barth dava alla sua dogmatica fondata sulle tradizioni riformate
il titolo programmatico di "Kirchliche Dogmatik" (Dogmatica ecclesiale):
la dogmatica presuppone la Chiesa, così egli spiegava; senza Chiesa non esiste.
Fra i membri della Conferenza Episcopale Tedesca pertanto era ampiamente
prevalente un consenso sul fatto che la Chiesa dovesse essere il tema. L'anziano
Vescovo Buchberger di Regensburg, che come ideatore del Lexikon für Theologie
und Kirche in dieci volumi, oggi alla sua terza edizione, si era conquistato
stima e rinomanza molto al di là della sua diocesi, chiese la parola - così mi
raccontava l'Arcivescovo di Colonia - e disse: cari fratelli, al Concilio voi
dovete innanzitutto parlare di Dio. Questo è il tema più importante. I Vescovi
rimasero colpiti; non potevano sottrarsi alla gravità di questa parola.
Naturalmente non potevano decidersi a proporre semplicemente il
tema di Dio. Ma un'inquietudine interiore è nondimeno rimasta almeno nel
Cardinale Frings, che si chiedeva continuamente come potessimo soddisfare a
questo imperativo.
Questo episodio mi è ritornato in mente, quando lessi il testo
della conferenza con la quale Johann Baptist Metz si congedò nel 1993 dalla sua
cattedra di Münster. Di questo importante discorso vorrei citare almeno alcune
frasi significative. Metz dice: "La crisi, che ha colpito il cristianesimo
europeo, non è più primariamente o almeno esclusivamente una crisi ecclesiale...
La crisi è più profonda: essa non ha affatto le sue radici solo nella
situazione della Chiesa stessa: la crisi è divenuta una crisi di Dio".
"Schematicamente si potrebbe dire: religione, sì - Dio no, ove questo no a sua
volta non è inteso nel senso categorico dei grandi ateismi. Non esistono più
grandi ateismi. L'ateismo di oggi può in realtà già di nuovo riprendere a
parlare di Dio - distrattamente o tranquillamente -, senza intenderlo
veramente...". "Anche la Chiesa ha una sua concezione della immunizzazione
contro le crisi di Dio. Essa non parla più oggi - come ad esempio ancora al
Concilio Vaticano II - di Dio, ma soltanto - come ad esempio nell'ultimo
Concilio - del Dio annunciato per mezzo della Chiesa. La crisi di Dio viene
cifrata ecclesiologicamente". Parole del genere dalla bocca del creatore della
teologia politica devono rendere attenti. Esse ci ricordano innanzitutto
giustamente che il Concilio Vaticano II non fu solo un concilio ecclesiologico,
ma prima e soprattutto esso ha parlato di Dio e questo non solo all'interno
della cristianità, ma rivolto al mondo - di quel Dio, che è il Dio di tutti, che
tutti salva e a tutti è accessibile. Forse che il Vaticano II, come Metz sembra
dire, ha raccolto solo metà dell'eredità del precedente Concilio? Una relazione,
che è dedicata all'ecclesiologia del Concilio, deve evidentemente porsi questa
domanda.
Vorrei subito anticipare la mia tesi di fondo: il Vaticano II
voleva chiaramente inserire e subordinare il discorso della Chiesa al discorso
di Dio, voleva proporre una ecclesiologia nel senso propriamente teo-logico, ma
la recezione del Concilio ha finora trascurato questa caratteristica
qualificante in favore di singole affermazioni ecclesiologiche, si è gettata su
singole parole di facile richiamo e così è restata indietro rispetto alle grandi
prospettive dei Padri conciliari. Qualcosa di analogo si può per altro dire a
proposito del primo testo, che il Vaticano II mise a punto - la Costituzione
sulla Sacra Liturgia. Il fatto che essa si collocasse all'inizio, aveva
dapprincipio motivi pragmatici. Ma retrospettivamente si deve dire che
nell'architettura del Concilio questo ha un senso preciso: all'inizio sta
l'adorazione. E quindi Dio. Questo inizio corrisponde alla parola della Regola
benedettina: Operi Dei nihil praeponatur. La Costituzione sulla Chiesa, che
segue poi come secondo testo del Concilio, la si dovrebbe considerare ad essa
interiormente collegata. La Chiesa si lascia guidare dalla preghiera, dalla
missione di glorificare Dio. L'ecclesiologia ha a che fare per sua natura con la
liturgia. E quindi è poi anche logico che la terza Costituzione parli della
parola di Dio, che convoca la Chiesa e la rinnova in ogni tempo. La quarta
Costituzione mostra come la glorificazione di Dio si propone nella vita attiva,
come la luce ricevuta da Dio viene portata nel mondo e solo così diviene
totalmente la glorificazione di Dio. Nella storia del postconcilio certamente la
Costituzione sulla liturgia non fu più compresa a partire da questo fondamentale
primato dell'adorazione, ma piuttosto come un libro di ricette su ciò che
possiamo fare con la liturgia. Nel frattempo ai creatori della liturgia sembra
che sia uscito di mente, occupati come sono in modo sempre più incalzante a
riflettere come si possa configurare la liturgia in modo sempre più attraente,
comunicativo, coinvolgendovi attivamente sempre più gente, che la liturgia in
realtà è "fatta" per Dio e non per noi stessi. Quanto più però noi la facciamo
per noi stessi, tanto meno attraente essa è, perché tutti avvertono chiaramente
che l'essenziale va sempre più perduto. Leggere...
Card. JOSEPH RATZINGER Prefetto della
Congregazione per la Dottrina della Fede