segunda-feira, 4 de janeiro de 2010

COSI’ PARLO’ IL CARDINALE GUERRIERO



di Stefano M. Paci e Paolo Biondi

1985. Il Sinodo straordinario indetto da Giovanni Paolo Il per riflettere, a vent’anni di distanza, sul Concilio Vaticano II era un’occasione da non perdere per far parlare i protagonisti di quella straordinaria e controversa stagione conciliare. Una stagione di cui il cardinale di Genova Giuseppe Siri fu una delle personalità di maggior spicco. Pur restio a concedere interviste, Siri aveva acconsentito di buon grado alla nostra richiesta. Così, il 17 gennaio 1985, il cardinale ci ricevette nell’arcivescovado, dove per tre ore parlò di quel grande avvenimento nella vita della Chiesa. E non smentì la sua fama di “guerriero”. I giudizi, netti, precisi, spesso taglienti che si imprimevano inflessibili nel registratore (tranne quando, per la delicatezza di un argomento trattato, ci chiedeva di spegnerlo) mostravano ancora una volta in questo grande campione dell’ortodossia la acutissima consapevolezza che Vescovo, come dice la parola greca, è “colui che vigila”. Un compito che Siri percepiva come un severo obbligo cui era impossibile sottrarsi, per quanto doloroso potesse essere per chi lo esercitava. La consapevolezza di questa sofferta vocazione gli conferiva una statura morale che affascinava chiunque lo avvicinasse, amico o avversario che fosse. L’intervista, sintetizzata in una quindicina di cartelle dattiloscritte, fedele trascrizione della conversazione, venne poi, come d’accordo, sottoposta al cardinale per la revisione. Ma in quel periodo si acutizzarono le polemiche sull’imminente Sinodo. Il “fantasma della Restaurazione” venne abilmente fatto aleggiare dai media “progressisti” sui futuri lavori, artatamente strumentalizzando un giudizio del cardinal Ratzinger sugli anni del postconcilio. Così si decise, di comune accordo con Siri, di non pubblicare per il momento l’intervista, che per il suo contenuto poteva turbare la preparazione del Sinodo. Ora, a causa del valore documentativo che il testo contiene, 30Giorni ha deciso di pubblicarla. Anche come tributo al coraggio e alla passione “per le cose di Dio” di questo grande uomo di Chiesa scomparso il 2 maggio scorso.
Stefano M. Paci


Membro da oltre 30 anni del Sacro Collegio, da molti di più è arcivescovo di Genova, una delle più grandi diocesi d Italia. A chi deve la sua formazione umana e cristiana?
GIUSEPPE SIRI: Sono nato e vissuto a Genova, tranne gli anni dell’Università trascorsi a Roma. I genovesi sono laboriosi, apparentemente duri, però hanno un grande cuore e, soprattutto, sono fedeli. Io ho tutti i caratteri dei genovesi. Ho studiato a Roma al tempo di Pio XI. Credo di non aver perso un discorso del Papa. Era un uomo grande. Sono lieto di essere cresciuto nella luce di quel sole. Ho sempre visto negli altri il bene e cercato la verità. Questo mi ha fatto passare attraverso diverse Scilla e Cariddi. L’ho fatto senza lasciarmi pungere.

Quali furono le Scilla e Cariddi della sua vita?
SIRI: Non credo che certe cose siano da mettere in pubblico. Ho avuto una vita molto lunga e ho incontrato uomini... e traditori. Ma i nomi dei traditori non li ho mai detti. Il mestiere del boia io non lo faccio. Però so quanto costi dire la verità. Non sono riusciti a farmi ammalare, ma a rendermi triste e depresso sì. Comunque, di lamentazioni ne ha fatte abbastanza Geremia: non occorre che ne faccia anch’io.

L’idea di convocare un Concilio era già affiorata durante il pontificato di Pio XII. Perché venne accantonata?
SIRI: Sì, era già affiorata. Ma, nonostante io fossi molto vicino a Pio XII, non me ne ha mai parlato. Mi è stato riferito che ha detto: «Per preparare un Concilio ci vogliono almeno vent’anni. Quindi io non lo faccio: lo farà il mio successore». E aveva ragione, perché il Concilio venne convocato da Giovanni XXIII. Chi glielo suggerì, o per lo meno richiamò alla memoria, fu il cardinal Ruffini, il 16 dicembre del 1958, a distanza di quasi due mesi dalla sua elezione. Il Papa se ne entusiasmò e ne colse l’idea. Ma cosa sia successo in quel momento non lo so: in quel periodo avevo un raffreddore, ne ho presi due o tre nella mia vita, e non sono andato per un mese a Roma. Non so quindi cosa successe il 25 gennaio del 1959. Ma l’idea del Concilio già girava. Pio XII, credo, aveva anche costituito una piccola commissione che silenziosamente studiasse la proposta. Era una cosa che stava lievitando.

Una volta disse che fu nelle prime riunioni della Commissione per gli Affari straordinari (o “per le grane” come lei la definì) e in quelle del Consiglio di presidenza che il Concilio prese un determinato iter piuttosto che un altro. Cosa intendeva precisamente?
SIRI Quando è iniziato il Concilio ero membro della commissione cardinalizia per gli Affari straordinari, definita da Papa Giovanni “la testa del Concilio”. Durò solo per la prima sessione e fu soppressa da Paolo VI che diede via all’attività di venti cardinali: i dodici componenti il Consiglio di presidenza del Concilio (di cui feci parte anch’io), i quattro moderatori del Concilio stesso e i quattro coordinatori. Questi venti cardinali rappresentavano il nerbo del Concilio, perché le grandi questioni, i grandi dibattiti, le grandi risoluzioni furono prese in questa commissione che si riuniva quasi tutte le settimane. Chi non conosce i verbali di questo Consiglio credo che non possa scrivere la vera storia del Concilio.

In occasione di alcune conferenze che tenne a Cannes nel ‘69 lei lanciò una pesantissima accusa: denunciò l’esistenza di una “controimpostazione” del Concilio...
SIRI: Come ha avuto i testi delle due conferenze?

Sono stati pubblicati recentemente nel primo volume delle sue opere.
SIRI: Quelle conferenze non avrebbero dovuto essere divulgate. Erano però tra i miei dattiloscritti. Quando mi chiesero di pubblicare i miei studi sul Concilio, tra gli altri vi erano anche quelli. Io non mi curo delle pubblicazioni, i miei libri neanche li rileggo. Non posso far altro comunque che confermare quanto dissi.

Un gruppo molto potente - lei disse - si era organizzato in…
SIRI: Sì. Si riunì, in un modo non del tutto legittimo, in una certa parte d’Europa. La prova evidente la ebbi quando si dovettero eleggere i due terzi dei membri delle commissioni.

Vuol forse dire che l’elezione dei membri nelle commissioni fu “guidata” da tale gruppo?
SIRI: Sì, ne sono certo. E stata orchestrata da loro, scegliendo in tutto il mondo quelli che più si conformavano ad un certo indirizzo e escludendone gli altri. Io presentai allora una lista alternativa definita “cattolica” perché i membri dovevano essere eletti in numero proporzionale al numero dei cattolici esistenti nei rispettivi paesi. Ma loro la fecero bocciare.

Sono accuse di non poco conto. Ne parlò con Giovanni XXIII?
SIRI: Sì, anche lui si rese conto del pericolo costituito da tale gruppo; in una lunga udienza mi disse chiaramente che non era «affatto contento del Concilio».

Quali erano secondo lei i fini specifici di questo gruppo?
SIRI: Forse avvicinare la Chiesa ai protestanti e rendere in tal modo più facile il loro ritorno. Ma può darsi che li stia giustificando troppo.

Lo definisce un gruppo di “controimpostazione conciliare”. L’aggettivo “contro” che valenza ha? Era “contro” l’impostazione voluta da Giovanni XXIII, “contro” il Magistero tradizionale della Chiesa cattolica o, più semplicemente, “contro” una visione tradizionalista della Chiesa che in Concilio ebbe i suoi leaders oltre che in lei nei cardinali Ruffini e s Ottaviani?
SIRI: Contro l’impostazione voluta da Giovanni XXIII. Certo. Contro il Magistero tradizionale della Chiesa. Sicuro. Si formò tra noi un gruppo? Loro erano una corrente, la quale provocò necessariamente una controcorrente.

Il teologo Schillebeeckx ha affermato in un’intervista al settimanale spagnolo Vida Nueva che l’orientamento di cui lei fece parte era minoritario, ma riuscì ad influenzare il Concilio perché molto agguerrito, e soprattutto perché assecondato da Paolo VI.
SIRI: Una minoranza la nostra? Ma il Concilio erano i 2500 Padri che vi hanno partecipato e che votavano. E votavano bene. Di questi, solo 500 presero la parola almeno una volta. Tutti gli altri, ed erano i quattro quinti, erano lì, attenti, e giudicavano. Ed erano loro la maggioranza. La maggioranza silenziosa, ma che faceva il Concilio. E i documenti del Concilio furono tutti approvati quasi all’unanimità. Non si comprende il Concilio se non si comprende questo. Schillebeeckx faceva parte del Concilio come esperto dell’episcopato olandese. Io ero alla tribuna della presidenza e gli esperti erano nella tribuna alla mia destra. Li vedevo bene. Anzi, non li vedevo affatto: non c’erano quasi mai. Erano sempre in giro per Roma a tenere conferenze, dibattiti, assemblee. A parlare di tutto. A tentare di influenzare i Padri conciliari.

Alla ripresa dei lavori dopo la morte di Giovanni XXIII, ci fu subito «una delle maggiori e sorde lotte che abbiano caratterizzato il Vaticano II», come lei la definì. Fu il dibattito sul De Ecclesia che culminerà nella Lumen Gentium, il cui nucleo era la collegialità episcopale.
SIRI: Risuscitando gli errori di Basilea e le opposizioni al Vaticano I, si tentò di sminuire, o forse anche negare, il Primato del Papa. Lo strumento di cui ci si servì per tale scopo fu l’idea della collegialità episcopale. La collegialità è sempre esistita, ma l’intento era di condurla ad un piano di completa parità col Primato di Pietro se non addirittura ad essere un limite per il Primato stesso. Me ne accorsi in una delle sedute della Commissione preparatoria centrale del Concilio, quando un Padre pronunciò l’espressione «cogubernatio Ecclesiae». Lui stesso deve essersi accorto di aver detto troppo, perché subito l’attenuò con un termine meno impegnativo. Era un concetto errato. Come già si sapeva, e come poi ha precisato il Vaticano II, il Collegio Episcopale e il Papa sono due soggetti del potere supremo, ma il Collegio, per essere ed agire come tale, deve essere col Papa e sotto il Papa, mentre il Papa stesso ha un potere personale che non ha alcun bisogno, per essere tale, del Collegio Episcopale. Fu proprio questo il particolare su cui si è serrata la lotta. E la lotta fu dura. E proprio il Primato del Romano Pontefice a garantire tutto: senza di quello sarebbe la distruzione. Se vogliamo stabilire una gradazione tra i problemi e le crisi suscitate nel post-concilio, ritengo che questo abbia il primo posto. Mi ricordo che una volta mi recai da Pio XII e notai sulla sua scrivania, perfettamente sgombra, due testi: uno era sulla collegialità. Mi chiese che cosa ne pensassi: «Santità - risposi - lo getti via. Io l’ho letto e non c’è niente di buono».

Si trattava forse del libro di padre Congar, Vera e falsa riforma della Chiesa?
SIRI: Preferisco non rispondere. In Concilio, comunque, quando vidi la ferocia dell’attacco al Primato di Pietro, preparai un intervento. Allora ero ammalato, soffrivo di labirintite, non riuscivo contemporaneamente a leggere e a parlare. Appena cominciavo sopraggiungeva una crisi e mi accasciavo al suolo. Era un lunedì. Il termine del dibattito era previsto per mercoledì mattina. Mi rivolsi ai “quattro cavalieri dell’Apocalisse”, i quattro moderatori che sedevano proprio sotto di noi, e mi feci iscrivere a parlare per ultimo: chi parla per ultimo ha “più ragione”. Preparai un testo di 10-15 righe. Mi rivolsi a Ruffini, che sedeva alla mia sinistra, dicendogli: «Mercoledì prenderò la parola, non riuscirò a terminare perché cadrò prima. Non curarti di me, ho già il mio segretario che mi sorreggerà, ma prendi i fogli e finisci tu il discorso». Il giorno seguente, il martedì mattina, entrò in aula il Segretario generale del Concilio, Pericle Felici: lesse un discorso a nome del Papa. Era l’intervento che avrei voluto fare io. Dissi a Ruffini: «Oggi ho visto l’intervento dello Spirito Santo sul Concilio».

Nella discussione sul De Episcopis il suo amico cardinal Ottavini contestò non solo la funzione indicativa della votazione del 30 ottobre 1963 sulla collegialità, ma anche la sua legittimità, mettendo in pratica sotto accusa i moderatori a stessi.
SIRI: E’difficile dare una valutazione sui moderatori. Molto difficile. Solo Agagianian raccoglieva
l’approvazione e l’assenso di tutti. Ottaviani era un vero difensore della fede, ma aveva una caratteristica (non lo chiamo un difetto): si scaldava. E questo irritava gli altri. Un giorno Alfrink, presidente di turno, gli tolse addirittura la parola.

E il Concilio applaudì.
SIRI: No, non si può dire che applaudì. Ci fu qua e là... ma non fu un applauso dell’Assemblea. Il gesto di Alfrink non fu approvato della grande maggioranza, e recò una certa pena. Ottaviani era allora a capo del Sant’Uffizio: non se la presero con la persona ma con l’ufficio. Ottaviani quando si metteva in moto sembrava un ippopotamo. Una persona cara, eravamo tanto amici, un uomo di Dio. E stato parecchi anni cieco, eppure sempre sereno.

L’opposizione alla Curia non era dunque così diffusa.
SIRI: Sono di quelle cose di cui si parla per passare il tempo mentre si prende il caffè. Capita in Curia, talvolta, di schiacciare i piedi a qualcuno. Qualche volta il Sant’Uffizio è stato un po’ duro. Io dissi al cardinal Ottaviani: «Se capita un’altra volta che le facciano l’affronto di toglierle la parola, dica: “Sentite, state zitti voi, altrimenti io vado dal Papa a chiedere che mi dia la facoltà di sciogliere i segreti, perché so tutti i vostri affari”. Vedrà che finisce tutto».

A due anni dall’ inizio dei lavori conciliari, ci fu la discussione della Dichiarazione sulla libertà religiosa; la Chiesa non rivendicava solo il diritto di praticare la propria religione, ma anche che chiunque potesse osservare il suo culto verso Dio in modo pubblico e privato.
SIRI: Il De Libertate Religiosa si limitava a questo aspetto: lo stato non può intervenire per piegare a suo piacimento la coscienza religiosa. Fu una cosa generale.

In una conversazione avuta con 30Giorni sul Concilio, il teologo Carlo Colombo - che Paolo VI definiva «il Nostro teologo»- a questo proposito disse che «il mondo romano, curiale, appariva quasi non capace di pensare. In particolare non riusciva a distinguere; confondeva il piano della libertà soggettiva, la libertà della coscienza, con quello della verità oggettiva, la libertà dalla verità, e il superamento dell’opposizione fu possibile per la mancanza di argomentazioni razionali».
SIRI: Farneticazioni. La Curia romana non si pose di queste questioni. La Curia stette anche troppo da parte in Concilio, dopo la polemica sul Sant’Uffizio. Questo è un giudizio di fantasia. In Concilio con Colombo ci siamo trovati ai lati opposti e credo con ragione.

Fu in seguito a quel documento che nacque la contestazione del vescovo Lefebvre...
SIRI: La genesi del documento fu la volontà di fare un’indiretta condanna del comunismo, attraverso la solenne proibizione dei mezzi coercitivi «da parte di singoli individui, di gruppi sociali e di qualsivoglia volontà umana» nei rapporti tra gli uomini e l’attività religiosa. Lo spiegai a Lefebvre, tanto che lo convinsi ad accettare tutto il Concilio, poi dissi al Papa: «Lo riceva e prepariamo un comunicato di tre righe in cui si dia notizia dell’udienza e si dica che Lefebvre ha regolato le sue pendenze con la Chiesa». Ma poi le cose andarono per le lunghe e sorsero altri problemi.

Un aspetto poco noto della sua attività è quello dei rapporti da lei intrattenuti con la diplomazia dei paesi dell’Est e con esponenti sovietici.
SIRI: Chi ha aperto l’Ostpolitik sono stato io. Non avevo incarichi ufficiali ma volevo vedere se si poteva far qualcosa per i settanta milioni di cristiani che vivono in Russia. Sono quindi andato a vedere di persona, perché prima di un dibattito occorre sapere chi è l’altro e imparare a conoscere come ragiona l’altro. E perché non si capisce questo che Usa e Urss non si intendono. Mi ero interessato e sapevo molte cose. Un giorno mi incontrai con Pio XII e gli dissi ciò che sapevo. Quel giorno è nata l’Ostpolitik vaticana.
Io sono il più accanito avversario del comunismo perché distrugge l’uomo, l’economia, distrugge tutto. Ho avuto rapporti con esponenti sovietici perché loro sanno che non posso vedere il comunismo, ma sono convinto che se l’Urss è una nazione, ha dei diritti che vanno rispettati. La realtà è che la Russia muore di paura perché è tutta circondata, ha la faccia contro i ghiacci. Non bisogna poi dimenticare che con loro non si possono applicare i canoni della diplomazia classica. Se il negoziato di Ginevra fallì due anni fa fu perché l’America si intestardì a non voler contrattare l’insieme dell’apparato difensivo dell’Europa. La Francia ha tre postazioni di testate nucleari. In tre minuti può distruggere 75 città russe. Come può andare avanti un negoziato se non si include questo nelle trattative?

Lei era presidente della Cei quando in Italia si prospettò l’ipotesi di un’intesa di governo tra cattolici e socialisti, la cosiddetta “apertura a sinistra”. Perché si oppose così tanto a quell’accordo?
SIRI: La Cei non fu interpellata. Giovanni XXIII mi incaricò personalmente di impedire in ogni modo l’unione di governo coi socialisti. Il 24 gennaio 1962 radunai tutti i cardinali italiani alla Domus Mariae. Fu l’impresa più disperata della mia vita ma alla fine la mia soluzione fu accettata da tutti. «Non poniamo ve ti ad eventuali intese con i socialista - proposi - purché sia precisato pubblicamente il programma: tale programma i socialisti devono accettarlo o respingerlo, non modificarlo». Così se accettavano non vi sarebbe stato alcun danno, se rifiutavano non ci sarebbe stato il problema.

Comunicaste la vostra decisione alla Dc?
SIRI: Chiamai il cardinal Castaldo (il più napoletano dei furbi, il più furbo dei napoletani) che era arcivescovo di Napoli, la città in cui si svolgeva il congresso democristiano, e lo incaricai di riferire la nostra posizione al segretario del partito Aldo Moro. Moro era un tipo strano: parlare con lui ti dava l’impressione di dare un pugno in un materasso di cui non si tocca il fondo.

Ciononostante, il centrosinistra nacque senza che fosse precisato il programma.
SIRI: Ci fu una congiura contro Giovanni XXIII. Persino al Papa fu fatto credere che era stata accettata la nostra proposta. I nomi dei traditori li seppi solo due anni dopo.

“Uomo del Concilio, ma quello di Trento”: così lei è stato spesso definito per la durezza dei suoi interventi pastorali e per il continuo richiamo ai Padri conciliari perché il dibattito rimanesse circoscritto ai temi di dottrina ecclesiastica. Come giudica l’ammonimento di Mounier: «Il cristianesimo non è minacciato di eresia: non appassiona più abbastanza perché ciò possa avvenire»?
SIRI: Io non ho mai citato il Concilio di Trento durante il Vaticano II. E’ comunque vero che Trento ha prodotto più di cento proposizioni e che ha ricostituito i costumi dopo la decadenza del Rinascimento e che ha messo a posto i vescovi. Quello che dice Mounier è tutto falso: dovrà risponderne a Dio. E lui che ha detto: «Prima del Paradiso futuro parliamo di quello in terra». E in questa affermazione la radice dei preti operai, esperienza che fu ed è un disastro. Hanno voluto fare esperienza nelle fabbriche e finiscono per prendere moglie. In Francia erano 114. Di questi, 48 sono già segretari di associazioni comuniste.

Lei ha detto che un’influenza grave ebbero i seguaci di Maritain - forse oltre le intenzioni dell’autore - dall’inizio alla fine dei lavori conciliari.
SIRI: Non voglio dare un giudi zio negativo su questo scrittore che ho apprezzato nelle sue opere migliori, ma in Concilio i maritainisti influenzarono la scelta e la stesura di taluni documenti con la loro preoccupazione di mettere su un immenso piedistallo la personalità umana. Ma se i testi conciliari definitivi rimasero immuni da influenze di parte, tuttavia il maritainismo influenzò troppe pubblicazioni postconciliari.

Ma lei non salva proprio nessuno; anche alla teologia del cardinal de Lubac ha qualcosa da rimproverare?
SIRI: De Lubac, nel libro del ‘46, Il Soprannaturale, e in quello del ‘65, Il mistero del soprannaturale, si sforza di equilibrare i due concetti: il soprannaturale implicato nella natura sin dalla creazione e la gratuità del soprannaturale con cui Dio interviene nella storia dell’uomo. Ma resta un’antinomia, ed ha avuto conseguenze molto grandi nelle coscienze. In seguito, comunque, de Lubac ha superato questo vicolo cieco.

Quale ritiene essere il più grande teologo del secolo?
SIRI: Di grandi non c’è nessuno.

A Rahner - se non sbagliamo - imputa il prosieguo dell’impostazione di de Lubac portato sino a confondere le nature divina e umana e a negare il dogma dell’Immacolata Concezione.
SIRI: E c’era chi lo definiva “il primo teologo”. Ma io gli errori li sento da lontano, è questione di fiuto. Rahner a volte altera radicalmente il pensiero e la fede della Chiesa a proposito del Mistero dell’Incarnazione come è espresso nel Magistero e nella Tradizione.

Il pensiero del teologo tedesco ebbe una grande influenza sulla rivista Concilium. Fu per opporsi a tale impostazione teologica che lei fondò la rivista Renovatio?
SIRI: No, fu solo per poter dire cose che allora nessuno diceva. Ma anche Paolo VI temeva che fosse, o così venisse interpretata, il contraltare di Concilium e fu restio a darmi la sua approvazione.

Renovatio aveva come teologo di punta un suo figlioccio spirituale, Gianni Baget Bozzo.
SIRI: Il suo itinerario si è svolto come sotto la luce di fari contigui: finché rimane sotto la luce di un faro, ci si dedica interamente, ma procedendo la luce si affievolisce ed entra nel cono di un altro faro. Quello di Baget Bozzo è un caso umano, doloroso. Iniziò con la Dc. Quando si accorse che i suoi compagni avevano tutti preso posti di responsabilità tranne lui, passò con Dossetti. Il faro seguente fui io, e devo dire che mi ha aiutato realmente. Ma poi ci fu una congiura di giornalisti che vollero farne il “pontefice” dei rapporti tra Chiesa e stato. Allora lo allontanai dalla direzione di Quadrivium e di Renovatio. Ora è sotto il faro socialista. Poi, chissà... E’ un disgraziato, però la più bella lettera che ho ricevuto per il mio compleanno è la sua.

In questo post-concilio uno degli aspetti più interessanti è il fiorire di nuovi movimenti ecclesiali. Cosa ne pensa?
SIRI: Tutta la piazza è piena di erba, erbacce, fiori ed alberi belli. Più volte ho sollecitato la Cei a mettere un po’ d’ordine ma finora non ha approvato nessun decreto a riguardo. Con la Fuci sono in lite da 54 anni. Ero loro assistente e mi hanno mandato via. E vedo che ancora non hanno abbandonato il loro concetto intellettualistico della fede. Ma i due movimenti più importanti in Italia sono i Focolari e Comunione e Liberazione. Sono ottimi. A dire il vero quand’ero presidente della Cei venne intentato un processo al movimento dei Focolari. Su 20 votanti, diciotto non erano convinti dell’impostazione dei Focolari, e votarono Deleatur. Solo due erano a favore. Ma dei due che votarono non deleatur uno era il cardinal Pastore. L’altro, Montini.
Fonte:www.cardinalsiri.it (info@cardinalsiri.it)