sábado, 16 de janeiro de 2010

Cardeal Siri: PIO XII A 25 ANNI DALLA SUA MORTE Discorso pronunciato dal Card. Giuseppe Siri in Vaticano, nell’Aula Sinodale, l’8 ottobre 1983



Beatissimo Padre,

permetta la Santità Vostra che io ringrazi di cuore. Decidendo Voi di promuovere la commemorazione di due Vostri Venerati Antecessori, avete dato un esempio a tutti. Molti si dimenticano di quello che devono a chi ha prima lavorato il campo; spero che l’esempio sia seguito.

Si compiono venticinque anni dalla morte del Servo di Dio Pio XII. Nella storia la lontananza permette di leggere meglio i fatti. Quando una grande figura si spegne alla Terra, prevale la cronaca, il particolare, l’aneddoto e - non meno - o l’entusiasmo o il livore. Alla distanza di venticinque anni si vede meglio e si vede in un ambiente più sereno e veritiero.

Il mio compito non è dire di Pio XII quello che dissi allorché il Vostro venerato Antecessore Giovanni XXIII mi affidò il compito di commemorarlo, ma di proporre quello che si vede col beneficio di 25 anni di distanza. La visione a questo punto privilegia la sostanza della storia.

Pio XII, in un’epoca di guerra, la più orribile finora conosciuta dal genere umano, con un’azione magisteriale intensa, precisa, logica mirò a salvaguardare la verità rivelata e quella in qualche modo collegata alla verità rivelata. Non si tratta solo di una accolta di interventi e di affermazioni; si tratta di un disegno, forse maturato a poco a poco, nel qual caso indicherebbe dove era anzitutto volta la preoccupazione del Vicario di Cristo.

La guerra moderna corrompe tutto; nessuno si sottrae alle incisure profonde che essa figge nella psicologia degli uomini singoli e associati. Lo sconvolgimento è totale, anche se talune apparenze ne possono sembrare per qualche tempo indenni. La emotività del sentimento, la integrità fisica, la stessa lucidità logica dell’intelligenza comune ne escono contagiati.

Per questo il Pontefice che resse la Chiesa durante tutto il clamore bellico e per tredici anni dopo la sua fine, non può essere visto al di fuori di questo grande spaventoso contesto. Gli anni che seguono la guerra, sono una guerra di tipo diverso.

Se la figura di Pio XII non si fosse levata pura, inattaccabile per la sua saggezza, non avrebbe potuto compiere la difficile missione del Suo pontificato.

Questa opera magisteriale si volse in più direzioni tra loro collegate.

La prima fu quella della verità rivelata. Essa è intoccabile. Quando Pio fu gravemente ammalato nel 1954 ricevendo brevi istanti un prelato e stringendogli le mani, disse: “Depositum custodi”. Lui era la scolta vigilante. Della Rivelazione toccò in maniera decisa punti fondamentali, intaccati i quali tutto poteva essere intaccato. Questa opera magisteriale fu disegno e non pura casualità. Era la guerra ed era una tal guerra che poteva suggerire a chiunque di occuparsi solo di essa. Le rovine hanno bagliori sinistri, non splendori accecanti.

Il 24 agosto 1939 lanciò l’incisivo messaggio: “Nulla è perduto colla pace; tutto può essere perduto colla guerra”.

Ma Egli vide quello che la guerra stava scavando nel fisico e nel morale degli uomini. Gli altri, i più avrebbero capito solamente dopo a rovine fumanti. Egli vide subito. La rivolta degli spiriti contro l’immane sforzo di una sopportazione bestiale, avrebbe impressa una spinta verso le cose materiali; le voci del mondo, in questa sete di godimento reattiva a tutto, avrebbero oscurato le cose soprannaturali; le tracce della sofferenza prolungata avrebbero scavato segni nei caratteri degli individui e nella collettività; la Chiesa avrebbe sofferto.

In piena guerra, quando tutta l’Europa gemeva sotto i bombardamenti a tappeto, Pio XII, il 29 giugno 1943 pubblicava l’Enciclica “Mystici Corporis”. Si trattava soprattutto della vita interiore della Chiesa, quella che per divina disposizione dà ragione e sostanza alla costituzione gerarchica e giuridica, la più esposta a risentire del frantumarsi di ogni autorità terrena sotto la violenza bruta della forza. Ebbe ragione! Le sequenze del temporale non sono ancora finite oggi!

L’anelito di pace e godimento materiale, reazione al lungo, estenuante patire, avrebbe reso duro il soprannaturale. Egli questo volle ricordare. Anche gli intelligenti avrebbero avuto conseguenze di spasmi interiori e l’avrebbero avuti proprio su questo punto. Quella Enciclica prevenne. La barca di Pietro non può affondare, ma deve essere cullata dalle onde, anche se non la possono risucchiare; ma non è piacevole mantenere l’equilibrio in una barca quando le onde si fanno capricciose.

Nello stesso anno 1943, il 30 settembre, memoria liturgica di San Girolamo, Pio XII pubblicò la “Divino affiante Spiritu”. Meraviglia che durante la guerra Egli abbia rivolto lo sguardo alle Sacre Scritture, aprendo giuste porte agli studi, ma mettendo limiti vigorosi di rispetto verso la parola di Dio. Chi legge il documento può capire che il senso critico col quale in modo non sempre scientifico si era guazzato nel XIX secolo, sarebbe stato un punto debole alla intelligenza provata del dopoguerra. Ed Egli doveva far rispettare il deposito della Fede. Ci si meraviglia che abbia previsto. Quando si aprono le porte, bisogna sempre preoccuparsi che esse non sbattano.

Le due Encicliche che parvero allora fuori tempo, furono semplicemente profetiche.

La guerra finì ed essa, colle sue conseguenze, ebbe ad attirare l’attenzione con particolari interventi dei quali dirò appresso.

Nel 1947 Pio XII pubblicò la “Sacramentum Ordinis” in cui decise per sempre della materia e forma del sacramento. Fu un atto di Magistero solenne mentre chiudeva dispute teologiche durate troppo tempo; ma è il documento che più di tutti gli altri forse dimostrò il coraggio di questo Pontefice che pur vedevamo sbiancato in volto quando nelle canonizzazioni doveva pronunciare la formula, espressione di infallibilità, che ascriveva nell’albo dei Santi.

Il 1° novembre 1950 colla “Munificentissimus Deus” definì il dogma dell’Assunzione. Fu un atto di coraggio, perché un mondo che non ama i precettori, ma piuttosto gli artisti e gli atleti, con una definizione infallibile, Egli lo affrontava direttamente. E in quella limpidissima mattina di novembre nel cielo di Piazza San Pietro c’erano tutte e due: il sole da una parte e la luna calante dall’altra. Nel suo voto, richiesto prima della definizione, un Padre aveva scritto di “opinare che un simile gesto per la Madre di Dio avrebbe allontanata la guerra che allora pareva di nuovo incombere sul mondo”.

Ed eccoci alla Enciclica “Humani Generis”. Si tratta di un documento che va letto con cura. In verità tale Enciclica non solo spazia contro errori perniciosi, ma costituisce una affermazione di rispetto per la verità totale, sia quella che la ragione umana ricava dall’ordine naturale, sia quella che riceve dalla Rivelazione. Ogni verità viene da Dio e pertanto rientra in quella armonia che riflette la perfezione divina. Questa armonia impone il metodo di studio e di ricerca ed indica i limiti che sono posti al lavoro dell’intelligenza, riaffermando la natura, la forza, il beneficio del Magistero della Chiesa.

L’Enciclica “Humani Generis” rappresenta una “Summa” che deve essere tenuta presente, perché la verità non è labile: è superiore agli uomini e non viene da essi forgiata secondo le voglie e secondo i loro ristretti orizzonti.

Ricordo che un giorno Giovanni XXIII disse a me che Pio XII aveva compiuto, nel suo pontificato, un’enciclopedia teologica. Di fatto se si studiano gli indici del Concilio Vaticano II, si può agevolmente rilevare che dopo quelle tratte dalla Sacra Scrittura, le citazioni più numerose sono quelle ricavate dagli scritti di questo Pontefice.

La “mariologia” ebbe la massima attenzione di Pio XII. Ritorno sulla definizione del dogma dell’Assunzione. Non tutti allora capirono quale significato, sia pure secondario, portava quella definizione. Di fronte al mormorio che per allora si levava lontano contro la Chiesa e la sua divina autorità, oppose la sfida di una definizione dogmatica, con un solenne atto di magistero infallibile che poteva sembrare audace. Ed è specialmente in questa circostanza che ricordo quel pallore del Suo volto prima di pronunciare la formula definitoria e il rifluire del sangue non appena pronunciata la formula.

Il campo poteva sembrare sereno, ma non era così. Fu lui ad accorgersene e questo spiega alcuni grandi atti del Magistero. Quando si tratta di obbedire a Cristo, non contano i dissensi di tutti gli altri. E proseguì implacabile.

Avvertì che gli errori filosofici avrebbero tentato di entrare a scardinare la teologia. Sapeva che, avendo Dio data l’intelligenza agli uomini, essi dovevano servirsene per comprendere più utilmente nella verità il dato rivelato e colpì. Le reazioni non furono tutte favorevoli. Lui però proseguì indomito.

Ed ecco la seconda direzione nella quale adempì il suo dovere magisteriale. Si era in guerra; ma dopo la guerra che sorta di pace sarebbe stata concessa al genere umano? Bisognava ripresentare ed eventualmente completare gli elementi della sociologia naturale e cristiana. Usò la via più diretta del messaggio natalizio. Per molti non era difficile capire da che parte la grande tenzone si sarebbe risolta. Era certo che le acredini sociali avrebbero ripreso vigore nel poco rassicurante tacere delle armi. Ed insegnò. Il messaggio del Natale 1941 presentò un piano generale. Si compiva mezzo secolo dalla Enciclica “Rerum Novarum” di Leone XIII, ma la questione sociale si era enormemente allargata oltre il fondamentale impegno di giustizia dei salari e salari familiari. Il quadro che presentò era comprensivo e nitido: la giustizia dei salari era una somma di adempimenti di giustizia in molti altri livelli e situazioni umane. In tal modo proseguì per i restanti anni del terribile conflitto. Vide con chiarezza che “dopo” sarebbe venuto il più difficile; e il più difficile venne. Il Suo sguardo planava da intelletto sovrano sull’immenso rogo e sulle spietate delinquenze. Invece di facili denunce, presentò completi rimedi.

Il Magistero volse ad eliminare le false affermazioni di incompatibilità tra la Fede e le scienze. Molti congressi od equivalenti riunioni di carattere internazionale, si tennero a Roma. Generalmente tali congressi chiedevano di vedere il Papa e di ascoltarlo. A parlare in tali circostanze, Egli, Pio, si preparava da lontano. Voleva avere tutto quanto era ultimo grido circa l’oggetto in causa. A tal fine era stato fatto un accordo con una casa specializzata che Gli forniva il “dernier cri” sull’argomento, e leggeva. Diceva: “Bisogna rispettare ogni verità”. Questi interventi hanno un raggio amplissimo e sono testimoni dei sacrifici per rispettare il criterio della verità. Tale lavoro, a distanza di venticinque anni, bisogna vederlo nell’insieme e diviene dimostrativo. Egli ebbe la intuizione del suo tempo. La parete che divide i due campi, della Fede e della scienza, era diventata molto sorda. Dalla parte di questa si dava per dimostrato che incomunicabilità ci fosse; dall’altra molti non facevano caso alle affermazioni gratuite. La diffusione della cultura o della cosiddetta cultura non permetteva si tacesse.

Le manifestazioni magisteriali di Pio XII in questo campo non restarono soltanto nei limiti dei grandi congressi di alta scienza, ma scesero al livello della professionalità, nella quale, oltre alla chiarezza delle idee, erano facilmente in gioco i problemi morali e deontologici. Basta vedere anche solo il volume che porta i discorsi di Pio XII ai medici, ai paramedici per rendersi conto con quanta diligenza e saggezza Egli abbia affrontato i problemi.

Non sarebbe bastata sulle rovine una riedificazione materiale, specialmente nella ingordigia di chi successe a regimi caduti. Tutto il mondo delle idee, sul quale si edifica poi il costume buono o cattivo dei popoli, era sconvolto dalla guerra e dal periodo spiritualmente peggiore del dopoguerra. La chiarezza delle idee e della Fede e di quanto in qualche modo connesso colla Fede, doveva essere difeso. Egli vide questo ed agì di conseguenza. Sottilmente la generosità mal collocata di taluni pensatori cattolici studiò o credette studiare uno sfruttamento apostolico delle filosofie anche contraddittorie tra loro e venute a maturazione sconvolgente nel secolo scorso: hegelianismo, positivismo ed esistenzialismo. Queste domandavano si pagasse un conto ai danni del soprannaturale e si ebbe così il pericolo maggiore.

Le questioni non furono piamente coperte con un velo di falsa carità. Meglio una lotta aperta e cosciente che una facile anestesia, incapace di reazioni e contestazioni.

Mi chiedo che sarebbe accaduto se fosse mancata al Concilio Vaticano II questa preparazione e se lo spirito di quella non lo avesse condotto per le vie della prudenza e del giusto criterio. So bene che Dio ha resa indefettibile la Sua Chiesa e, per questo appunto, infallibile; ma tutti sappiamo che gli uomini debbono fare in essa la loro parte. Che tutto questo non sia stato anche opera di cultura, nessuno vorrebbe negare, dato che la cultura resterebbe come una statua vuota se non ha idee da proporre. Ma il raggio dell’azione di Pio XII in questo campo è tale che si può logicamente pensare aver Egli con tutta la sua opera voluto affermare che nessuna cultura umana è completa se non si arricchisce del dato rivelato. La natura non può che allietarsi nell’assimilare quello che storicamente le viene dal di sopra della natura. Tanto dico rispettando la libertà di ciascuno di continuare le dispute sulla natura della cultura stessa.

Sarebbe contrario ai fatti negare che durante il pontificato di Pio XII non si sia sentito, da chi aveva orecchie, tuonare molto lontano una qualche tempesta; ma c’era una compostezza, una forza, un equilibrio nell’azione magisteriale di questo Pontefice, che tempesta serpeggiante se c’era, per allora fu tenuta lontana.

***

Il mio breve “excursus” non mi dispensa dal toccare aspetti di un pontificato che non fu soltanto magisteriale. Naturalmente lo guardo a 25 anni di distanza. La distanza permette di vedere lo stile. Questo partiva dall’interno e proprio per tale ragione lo rendeva austero, mai duro, equilibrato e mai sospinto da emotività subitanee, educatissimo e controllato nella forma. È straordinario come Egli sia riuscito, continuando il costume di Pio XI, ad apparire alle folle come una visione superiore, con una straordinaria forza di intesa colle moltitudini che lo applaudivano e lo sentivano “Pastor Angelicus”.

Era lo stesso stile che conquideva allorché si trattava con Lui in privato e che costituiva il vero alone attorno al Suo grande magistero, gli dava una credibilità, lo mostrava nella perfetta armonia e coerenza. La precisione e il senso del dovere non lo abbandonavano mai ed erano fortissimi, capaci di renderlo leone, mentre naturalmente aveva una certa timidezza, tempestivo per la vivacità della Sua intelligenza. Azione e uomo apparvero una cosa sola.

Era la aureola che strappava alle folle l’entusiasmo e che ha suggerito al successore Paolo di iniziare, Lui, a Concilio aperto, la causa di Beatificazione e Canonizzazione.

Fu quell’equilibrio affinato dalla lunghissima pratica curiale e diplomatica a segnargli la difficile e coerente strada durante il conflitto mondiale, quando qualunque estrapolazione e qualunque gesto inconsulto avrebbero provocato la ricorrente risposta dei momenti di guerra: distruzione e morte.

Gli fu meno difficile questo perché era il padrone di se stesso. Dopo, per più anni, Gli venne addebitato il silenzio. Quando allora qualcuno ebbe il coraggio di fargli osservare la necessità di alzare, per taluni crimini, la voce, ebbe una risposta illuminante: “I tali hanno parlato fuori luogo; la reazione al loro dire è stata di duecentomila vittime”. Oggi la lontananza del tempo permette di vedere che cosa sia stato di saggezza il silenzio in taluni momenti. Quando la reazione oltraggiosa sugli altri si allontanava, quando poté trattare coi singoli senza il rimbombo di una pubblica opinione, altrettanto imbarazzante quanto inopportuna, parlò da leone. Ne seppe qualcosa qualche grande personaggio che volle trattare direttamente con Lui.

In questo singolare equilibrio, la guerra divenne quello che deve essere per chi ragiona con Cristo: l’occasione della carità. Poteva fare da intermediario al di sopra della linea del fuoco. Il Vaticano diventò il legittimo esportatore delle notizie che potevano diminuire le ansietà; ristabilì per una moltitudine di uomini i rapporti degli affetti familiari al di qua e al di là del fuoco.

Questa realtà, considerata nel complesso di una guerra - la più disumana della storia -, sta a dimostrare come l’equilibrio del quale ho parlato, abbia permesso a Lui di essere il Padre comune.

Tutto fu destinato alla carità; durante la guerra si sottomise ai limiti dei poveri e così fu con loro non a parole.

In mezzo al fuoco e ai contrasti la figura di Pio XII si elevò sui fatti umani come un preludio sereno di pace e di ordine. Tenne la disciplina colla precisione che gli era naturale e non per questo cessò di essere il “Pastor Angelicus”.

L’Anno Santo del 1950 gli permise di abbracciare il mondo, di averne la fiducia e il rispetto, non turbato dalle voci cattive che qualche scrittore diffuse tentando di farne un soggetto letterariamente rilevato, ma rilevato per coprirlo di esecrazione. Oggi sul celebre episodio delle fosse Ardeatine si è fatto chiaro: Egli seppe quando già tutto era deciso ed almeno in parte eseguito. Non c’era più tempo e spazio. Coloro che sotto la guerra orrenda ebbero, in minore scala, le stesse questioni e le stesse parti da compiere, comprendono benissimo il contegno tenuto dal Papa. Si può credere che a salvare Roma da una distruzione come quella di Montecassino sia stato Lui. Ma nessuno può dimenticare che quando Roma fu bombardata il 19 luglio 1943, fu Lui ad accorrere immediatamente tra il popolo terrorizzato, mentre ancora cadevano le bombe e fu Lui ancora a tingersi di sangue le vesti bianche per recar soccorso e conforto a qualche ferito. Roma fu salva.

Molte altre cose si dovrebbero dire, ma i 25 anni che ci separano dal Commemorato, evidenziano le linee ed amano lasciare nell’ombra molti dettagli. Pietro era stato al suo posto, colla dignità che l’armonia delle virtù conferiva, spesso vero eremita nell’immensa casa per evitare conseguenze lamentevoli, vicino a Dio e a tutto il mondo con lo sguardo amoroso d’un padre. Le macchie di sangue del 19 luglio si levavano a simbolo di quanto nella serena dignità, attraverso un lungo pontificato, Egli avesse sofferto!

A venticinque anni di distanza la Sua figura si leva mostrando la statura dell’uomo, lo stile di un Papa.

fonte:http://www.cardinalsiri.it/