Le nubi che si sono addensate su Papa Benedetto XVI e sulla Santa Sede dopo la revoca della scomunica contro i quattro vescovi della Fraternità San Pio X sono l’inquietante preannuncio di più gravi tempeste pronte a scatenarsi sulla Barca di Pietro.
di Roberto de Mattei
Le nubi che si sono addensate su Papa Benedetto XVI e sulla Santa Sede dopo la revoca della scomunica contro i quattro vescovi della Fraternità San Pio X sono l’inquietante preannuncio di più gravi tempeste pronte a scatenarsi sulla Barca di Pietro.
Iniziamo dai fatti. Nella Chiesa Cattolica esiste un “caso Fraternità San Pio X”, esploso il 30 giugno 1988, dopo la consacrazione di quattro vescovi (Bernard Fellay, Alfonso de Galarreta, Bernard Tissier de Mallerais, Richard Williamson), da parte di mons. Marcel Lefebvre.
La Santa Sede considera tali consacrazioni valide, ma illegittime, perché avvenute contro la volontà pontificia. Il Codice di Diritto Canonico prevede in questi casi la scomunica “latae sententiae”. Questo provvedimento, formalmente dichiarato il 1 luglio 1988, è stato revocato, il 21 gennaio 2009 da un Decreto della stessa Congregazione per i Vescovi che lo aveva emanato.
La Chiesa ha una sua legge interna, il Diritto Canonico, che regola la vita di ogni battezzato e, a maggior ragione, di ogni religioso e sacerdote. Di fatto, dal 1988, il movimento che fa capo ai quattro vescovi consacrati da mons. Lefebvre ad Ecône si muove al di fuori delle strutture ecclesiastiche e della legge canonica della Chiesa, amministrando in piena autonomia sacramenti come il Matrimonio e la Penitenza, che esigono un preciso mandato giurisdizionale.
Il Papa, rimuovendo la scomunica, non ha sanato la confusa situazione canonica in cui si trova la Fraternità San Pio X, ma ha voluto dare un chiaro segno della sua buona volontà di risolvere il problema, nell’interesse della Chiesa universale.
Si tratta innanzitutto di un problema di riconoscimento della suprema autorità di governo della Chiesa di Roma. «Con questo atto – si legge nel decreto – si desidera consolidare le reciproche relazioni di fiducia e intensificare e dare stabilità ai rapporti della Fraternità San Pio X con questa Sede Apostolica».
L’intenzione del gesto è dichiarata dallo stesso Pontefice: facilitare la ricomposizione di una dolorosa frattura all’interno della Chiesa, chiedendo altrettanta buona volontà all’altra parte. È chiaro che si è trattato di un gesto unilaterale, che non risolve il “caso” della Fraternità San Pio X, ma si propone di favorirne la soluzione. Nessuno può dubitare della retta intenzione del Papa, e tanto meno del suo diritto, come Sommo Pontefice, di esercitare il suo potere all’interno della Chiesa.
Il problema naturalmente non è soltanto di ordine giuridico. La situazione di anarchia canonica in cui versa la Fraternità ha la sua origine in due questioni di fondo che per molti anni sono rimaste irrisolte sul tappeto. Il problema della valutazione del Concilio Vaticano II e quello della legittimità della Messa secondo il Rito Romano Antico. Ma proprio a questi due problemi si riferiscono due tra gli atti più significativi del Pontificato di Benedetto XVI.
Per circa quarant’anni, dopo la conclusione del Concilio Vaticano II, la teologia progressista ha affermato l’esistenza di una “discontinuità” tra la Chiesa “costantiniana” e l’era conciliare, inaugurata dal pontificato di Giovanni XXIII. Con l’epiteto spregiativo di “tradizionalisti”, ma anche di “lefebvriani”, venivano indicati tutti coloro che non rinunciavano alla Tradizione e volevano rimanere fedeli al Magistero perenne della Chiesa, ai suoi insegnamenti morali e ai suoi usi liturgici.
Nel suo ormai storico discorso alla Curia Romana del 22 dicembre 2005, il Papa ha frantumato la mitologia progressista, affermando che il Concilio Vaticano II deve essere interpretato secondo l’ermeneutica della “continuità”, ovvero alla luce della Tradizione. Il Papa assicura dunque, e nessuno meglio di lui ha il diritto di farlo, che i documenti conciliari possono e debbono essere letti solo in coerenza con il Magistero immutabile della Chiesa. Ciò non toglie che il Concilio possa essere giudicato, sul piano storico, per le sue conseguenze all’interno della Chiesa.
Il Motu Proprio Summorum Pontificum del 7 luglio 2007 ha da parte sua ribadito che il Rito Romano non è mai stato abrogato e che ogni sacerdote ha il pieno diritto di celebrarlo, in qualsiasi parte del mondo. La Messa tradizionale è stata dunque pienamente riabilitata.
Il decreto di revoca della scomunica è stato firmato il 21 gennaio, ma l’annuncio, anticipato da qualche indiscrezione, è stato reso ufficiale il 24 gennaio. Poche ore dopo la firma del documento, l’emittente pubblica svedese SVT mandava in onda un’intervista sul negazionismo dell’olocausto ebraico, registrata quasi tre mesi prima, a uno dei quattro vescovi mons. Richard Williamson. Si trattava di una bomba a orologeria innescata perché scoppiasse esattamente all’indomani del gesto di riconciliazione del Papa con la Fraternità San Pio X. A partire dal 25 gennaio, per circa due settimane, i giornali di tutto il mondo hanno sovrapposto il “caso Williamson” all’evento della revoca della scomunica.
L’obiettivo non era mons. Williamson e neppure la Fraternità San Pio X, ma la persona stessa del Papa, colpevole di una ennesima “apertura” nei confronti del mondo tradizionale. La manovra mediatica montata a partire dall’intervista è analoga a quella messa in atto per squalificare Pio XII, accusato di collusione con il nazismo e i suoi crimini.
Il sillogismo si presenta in questi termini: Papa Pacelli, ultimo esponente di una concezione arcaica e reazionaria della Chiesa fu complice del nazismo. Benedetto XVI, che vuole restaurare la Chiesa pacelliana, è complice di chi oggi, negando l’Olocausto, si fa erede dei crimini del nazismo.
A nulla valgono le precisazioni della Santa Sede, che ricorda come la remissione della scomunica nulla ha che vedere con la legittimazione delle posizioni negazioniste, da Benedetto XVI chiaramente condannate. A nulla valgono le stesse dichiarazioni del superiore della Fraternità mons. Fellay, che ha imposto il silenzio a mons. Williamson ed espulso un sacerdote “negazionista” dalla Fraternità.
Che cosa si esige da parte di coloro che affermano che, con il Concilio Vaticano II, la Chiesa ha finalmente superato l’epoca dell’Inquisizione, dell’intolleranza e delle censura? Si pretende forse che la Chiesa aggiunga al Credo di Nicea, che ogni domenica viene recitato nelle chiese, l’articolo di fede nell’olocausto ebraico? Si chiede che nei confronti degli “eretici” che mettono in discussione il genocidio del popolo ebraico si applichino con severità quelle misure canoniche che sarebbe giudicate retrive e inammissibili se esercitate verso chi nega l’infallibilità o l’Immacolata Concezione della Madonna? Ciò che in realtà si esige dalla Chiesa non è la dissociazione dalle tesi “negazioniste”, che mai essa ha fatto proprie, ma la sua dissociazione dalla Tradizione e la rinuncia ad esercitare pubblicamente e con pienezza la sua missione di Governo e di Magistero.
La missione della Chiesa non si esercita sui fatti storici e non si limita alla condanna dei crimini e dei genocidi. Custode della fede e della morale, la Chiesa risale agli errori ideologici che di quei crimini costituiscono le cause. Condannando, nel 1937, il comunismo con l’enciclica Divini Redemptoris e il nazionalsocialismo con la Mit Brennender Sorge, la Chiesa prevedeva le nefaste conseguenze che avrebbero avuto i sistemi totalitari, proprio mentre tanti altri Capi di Stato e di Governo democratici si illudevano di patteggiare con quei regimi. La Chiesa ebbe nei campi di concentramento nazisti i suoi martiri, come san Massimiliano Kolbe e santa Teresa Benedetta della Croce, e nella resistenza al nazismo i suoi eroi, come il beato cardinale Clemens August von Galen.
Oggi un terribile olocausto è in atto, quello del popolo dei non nati, milioni di vittime sacrificate ogni anno, mediante aborto, agli altari dell’edonismo contemporaneo. La Chiesa denuncia le drammatiche conseguenze del relativismo contemporaneo, ma essa, invece di essere ascoltata, è posta sotto accusa e sottoposta a linciaggio mediatico.
Eppure, in questo inizio di XXI secolo, la Chiesa Cattolica, rappresentata da Benedetto XVI, si erge come la sola autorità morale che possa parlare in termini di principi e di valori, di vita e di morte delle anime e dei corpi.
È l’ora di un grande movimento di sostegno e di solidarietà verso il Capo della Chiesa, nella certezza che nuove e più drammatiche tempeste giungeranno, ma che niente e nessuno riuscirà a sopprimere questa voce che si leva verso l’eternità.
(RC n. 42 - Marzo 2009)
fonte:Radici cristiane