Parole luminose di Mons. Alain Castet, vescovo di Luçon
Il Prof. Bernard Dumont mi segnala e
volentieri pubblico.
Cara MIC,
Cara MIC,
Le segnalo una cosa interessante, che vedo come
un segnale, limitato, certo, significativo però di qualche passo in avanti. Si
tratta della posizione manifestata da un vescovo francese finora piuttosto
discreto e moderato, Mons. Alain Castet, vescovo di Luçon, nella Vandea. Appena
arrivato, è stato attaccato da vari sacerdoti della propria diocesi per essere
considerato troppo tradizionale ! Ha ordinato sacerdoti della Fraternità s.
Pietro e questo è spiaciuto ai cani da guardia.
Sono usciti di recente gli Atti di un convegno
tenuto in aprile 2010 sul tema del sacerdozio ministeriale all’ICES -
Institut catholique d’enseignement supérieur - di La Roche-sur-Yon (città
che fa parte della diocesi di Luçon) : « Annales de l’ICES », n° 2, La
Roche-sur-Yon, Presses universitaires dell’ICES, giugno 2012. Lì si trova
il testo della relazione di Mons. Castet sul problema dell’offertorio
dell’Ordo Missae di Paolo VI. Questo testo viene pubblicato sugli Atti,
pp. 79-86.
Nonostante una conclusione « unionista », il
vescovo di Luçon manifesta una grande consapevolezza dei gravi difetti del testo
montiniano. Inoltre si schiera a mezza voce contro ogni tentativo fusionale
sbrigativo : « …sarebbe contrario allo spirito della liturgia che ciascuno
manipoli e mescoli a modo suo i diversi riti per farne uno solo... »,
osservazione importante in questi tempi dove questa tentazione minaccia certi
ambienti.
La tesi del vescovo è ben argomentata, anzi si
riduce ad una costatazione : il Consilium di Bugnini ha trasformato il
senso dell’offertorio, sotto l’influsso del P. Bouyer, dandogli la forma delle
berakoth ebree, benedizioni dei frutti della terra e del lavoro, ecc.,
ciò che rompe la relazione tra l’offertorio dei doni e la finalità di questo
atto, il Sacrificio. E questo, dice anche Mons. Castet, è una innovazione pura
nella tradizione cattolica ; tutt’all’opposto, i doni sono strettamente legati
al Sacrificio. Il vescovo afferma che « si tocca qui uno dei problemi
fondamentali della riforma liturgica uscita dal Vaticano II, che si potrebbe
chiamare la “razionalizzazione del tempo liturgico” » (razionalizzazione, perché
la giustificazione del Consilium, già ben nota, è la voglia di non
sprecare tempo con i doppî). Ora, dice ancora lui, « Questa razionalizzazione
delle menzioni al Sacrificio è chiaramente una rottura e ha suscitato
l'incomprensione di molti ». Più avanti, dice ancora che « non si può non
constatare che l'offertorio non era in linea con questa preparazione » [cioè le
berakoth]. [ Mi conforta, perché così ne scrivevo già diverso tempo fa, trovando conferma in
più recenti affermazioni di Mons. Schneider, che individua nelle nuove
preghiere dell'Offertorio la terza piaga del corpo mistico di
Cristo]
Il vescovo oppone a questa novità «
l'opportunità della connotazione sacrificale », e rifiuta un argomento
sofistico, in due tempi : « Conveniamo tuttavia che se nella Messa del 1962 ci
si riferisce all'entrata trionfale a Gerusalemme i riti dell'offertorio sono
molto discreti, senza dubbio troppo, e troppo poco espliciti per essere
pedagogici. » Questo per concedere il pretexto pedagogico. [Infatti oggi viene da molti messo l'accento sulla
pedagogia della celebrazione, dimenticando che è innanzitutto necessaria
l’interiorizzazione dello spirito e del senso profondo che la anima. È questo
che guida i sacerdoti alla loro identificazione con Cristo e il popolo a
scoprire nel celebrante la Persona del Signore. La pedagogia viene dopo ed è
conseguente, non è il fine. La liturgia non è il 'luogo' della catechesi ma del
culto.] Gli permette in seguito di rigettare il cosiddetto progresso
pedagogico della « presentazione dei doni » montiniana : « Nello stesso senso,
se nella Messa del 1969, si vuole evocare l'Ultima Cena, non si vede affatto
perché è stata rimessa in risalto la processione delle oblate. La sera del
Giovedì Santo non evoca alcuna solennità, ma piuttosto una grande calma…
».
L’analisi vorrebbe concludere sulla
complementarietà dei significati… Tuttavia, nella parte finale, pur evocando «
l’arricchimento reciproco » auspicato da Benedetto XVI, Mons. Castet afferma, a
proposito dell’offertorio (tradizionale) che « Ciò non toglie che questo rito è
pedagogicamente un elemento imprescindibile della celebrazione della Messa, che
ne dà la cifra spirituale e che prepara le anime a vivere in profondità il
passaggio dalla morte alla vita dando loro l'occasione ed il tempo di unirsi
personalmente al Sacrificio ».