Al centro del mondo dostoevskiano dunque c’è «l’uomo, e nell’uomo si fa presente il mistero stesso di Dio. La vita dell’uomo è lo scontro del male e del bene; il problema del male e la concezione del bene dominano tutti i romanzi, e il bene e il male suppongono la libertà, postulano Dio» (p. 143). In Dio c’è la vita e la pace, senza Dio c’è la disgregazione e la rovina
DON DIVO BARSOTTI
Esegeta di Leopardi e di Dostoevskij
FERDINANDO CASTELLI S.I.
Il 15 febbraio dello scorso anno è morto don Divo Barsotti nella «Casa S. Sergio» di Settignano (Firenze), dove ha sede la Comunità dei Figli di Dio da lui fondata (1). Nato a Palaia (Pisa) nel 1914, dopo l’ordinazione sacerdotale (1937) ha svolto la sua attività pastorale a Firenze, accanto a personalità quali il card. Elia Della Costa, Giorgio La Pira, p. Ernesto Balducci, mons. Enrico Bartoletti. Teologo, studioso di spiritualità e di mistica, attento ai problemi intellettuali e pastorali del momento, ha scritto volumi originali, densi di afflato spirituale e di cordiale approfondimento del mistero cristiano (2). Non si dimentichi la sua amicizia e frequentazione con H. U. von Balthasar, J. Daniélou, H. de Lubac, Th. Merton.
Don Barsotti è stato anche un assiduo e appassionato cultore di letteratura e di poesia. Vogliamo ora ricordarlo come esegeta di Leopardi e di Dostoevskij, ai quali ha dedicato uno studio originale e intenso: La religione di Giacomo Leopardi e Dostoevskij. La passione per Cristo (3). Due motivi ci hanno indotto a questa scelta. Il primo è una sua affermazione: «Penso che la teologia dovrebbe dare più spazio alle lettere, perché è nelle lettere, cioè nella narrativa e nella poesia, che meglio si esprime l’esperienza religiosa. È lì che si manifesta più vivamente la lotta dell’uomo con Dio, e non importa se a volte si esprime negativamente. Il teologo è spesso alle prese con i concetti, e c’è quindi il pericolo di un certo formalismo che non dice più niente a nessuno» (4). Il secondo motivo è la nostra persuasione che, presentando Leopardi e Dostoevskij, don Divo presenti se stesso in alcuni momenti della sua vita e in alcuni aspetti della sua personalità di uomo e di credente.
Desideri immensi in un vuoto di speranza
È lecito parlare di religione — cioè di rapporto con Dio — nell’opera di Giacomo Leopardi? Non è, egli, l’assertore del nulla? dell’«infinita vanità del tutto»? Non ha sottoscritto, nella lettera a Luigi De Sinner, del 27 maggio 1832, l’affermazione che «è assurdo attribuire ai suoi scritti una tendenza religiosa»? Sfidando le apparenze e certi luoghi comuni, Divo Barsotti ha scritto il citato volume La religione di Giacomo Leopardi: una paziente e diligente carrellata sull’opera di Leopardi, vergata all’insegna della simpatia e della comprensione.
In essa si leggono queste affermazioni: «Negare la religione del Leopardi è negare la sua poesia. La sua poesia è religione più della poesia di Manzoni, più della poesia stessa di Dante. In lui la dimensione religiosa è più pura; l’impegno religioso, assoluto» (p. 18); «Tutto il suo cammino è ricerca del vero Dio» (ivi); «Manzoni, certo, è più cristiano; ma Leopardi è più religioso. La sua poesia è essenzialmente religiosa» .LEGGERE...