di Paolo Giuntella
Maestro di fede per intere generazioni, don Divo Barsotti ha espresso una visione spirituale rigidamente cristocentrica. Per questo motivo, l’impegno sociale e anche il rinnovamento della Chiesa voluto dal Concilio sono, nelle sue pagine, questioni secondarie.
Appartiene, con don Mazzolari, don Milani, Carlo Carretto, don Tonino Bello, padre David Turoldo, alla pattuglia dei "campioni d’incassi": gli autori cristiani più letti in Italia. I suoi libri, non solo venivano acquistati ma prestati, passati di mano in mano, tra affezionati lettori, nei gruppi parrocchiali e di preghiera, nei conventi. Ma sarebbe un errore considerare questi "libri dell’anima" come esclusiva delle librerie cattoliche, insomma come una lettura di sacrestia. Don Divo Barsotti, come don Primo, don Lorenzo, fratel Carlo, don Tonino, padre David, e pochi altri, ha sempre avuto lettori anche fuori dal tempio, oltre i recinti confessionali. Tuttavia non è stato un "testimone sociale", né un profeta dell’impegno politico per la trasformazione della terra, ma un mistico, un grande mistico e, proprio per questo, amato anche da persone che avevano passioni e preoccupazioni molto diverse, se non addirittura contrastanti.
Il cristianesimo di don Divo Barsotti era – ma dovremmo dire è perché continuerà a fermentare nei suoi libri e a vivere nella sua associazione, la Comunità dei Figli di Dio, che dalla Toscana si è dilatata a livello internazionale – rigidamente cristocentrico. Il cuore della vita cristiana è l’annuncio del Cristo, del Cristo Risorto. E per questo – almeno nei suoi libri, nelle sue meditazioni, nella sua predicazione, perché io non l’ho conosciuto personalmente – poteva diventare persino polemico nei confronti di una fede troppo riversata sulla sua dimensione politica, sociale, pubblica.
Divo Barsotti a Firenze in occasione dei suoi 90 anni, insieme ai figli di laici
appartenenti alla sua Comunità (foto Toscana Oggi).
Come per tutti i grandi mistici, la tensione, lo scopo della vita, la speranza sono tutti concentrati verso una sola direzione: «Essere una cosa sola con Gesù. Che Gesù sia veramente la forza della nostra vita, la gioia unica della nostra esistenza, l’unica nostra speranza, l’unico nostro amore. Tutto deve avere termine in lui, perché anche la nostra vocazione è una sola, quella di divenire una cosa sola con lui. Non c’è altra vocazione del cristianesimo che questa, ed è la vocazione più alta che noi possiamo ricevere».
Se il centro dell’esperienza cristiana è il Cristo risorto, l’eucarestia cuore della presenza eterna ma già qui e ora per i credenti, l’impegno sociale e politico, la stessa riforma o rinnovamento della Chiesa – e dunque anche il Concilio Vaticano II – diventavano secondari. Semmai sono la conseguenza di un cuore nuovo.
Don Divo Barsotti è stato ed è una lettura irritante, scandalizzante. Scuoteva negli anni ’70, ma ancora scuote nel nuovo secolo, le certezze, le abitudini, i luoghi comuni di molti cattolici progressisti ma anche dei cattolici integralisti o conservatori. Proprio per questo la sua lettura diventa fertile, riequilibrante, liberante. Racchiuderlo in qualsiasi schema o schieramento è impossibile. Cercatore ostinato di Dio e dell’intimità divina, era un poeta contemplativo di Dio.
È stato uno scrittore cristiano fluviale e prolifico (ha scritto 150 libri di cui tutti hanno letto almeno qualche pagina), maestro spirituale di diverse generazioni di preti e monache, ma anche di laici cristiani. Ai suoi libri si tornava e si torna proprio quando uno ha fatto il pieno della letteratura cristiana impegnata, della teologia politica, della militanza, e vuole fare una pausa, tornare a meditare sulle fondamenta.
Rimini, 1989: don Divo parla dal palco del Meeting organizzato
da Comunione e liberazione (foto R. Siciliani).
È capitato a me nella metà degli anni ’70, e ricapita spesso quando uno ha bisogno di tirare il fiato, ha la nausea dell’immersione nella sola terra. Non per abbandonare. Al contrario: per ritrovare l’Assoluto, dunque le motivazioni più vere e profonde dell’impegno. Contemplazione e Azione, Preghiera e Azione. E forse il titolo di uno dei suoi "mitici" diari, il primo, La fuga immobile, fuga non per sfuggire le proprie responsabilità, ma fuga del mondo senza tuttavia fuggire dal mondo, esprime proprio questa dinamica spirituale: recuperare il centro di tutto, la Sorgente, ricentrare il cristianesimo. Porre o rimettere al centro Dio. Cristo. La vocazione del cristiano, sposato, celibe, consacrato, non è cambiare il mondo, ma contemplare e pregare l’unica Signoria.
La passione della sua vita – lo dico da semplice lettore attratto attraverso i suoi scritti – fu la spiritualità orientale e russa, la frequentazione spirituale di san Sergio, san Serafino, Silvano del Monte Athos; il recupero in Occidente della dimensione contemplativa, del cristianesimo della icona e della Signoria del Padre, del Cristo, dello Spirito. Dalla centralità del Cristo al mistero della Trinità.
Questo primato della Fonte, non impedisce l’azione, ma non è possibile azione, presenza, lievito, senza il cuore, il centro, l’essere, dunque il Cristo parola di Dio, l’ingresso nell’intimità di Dio. «Il tuo amore deve abbracciare tutto: tutto l’universo, tutta la creazione deve esultare in te nella pienezza della vita divina. L’estasi non strappa alla terra, ma eleva con te la terra, nella luce di Dio – la trasfigura in Dio. Il cristianesimo però ha sempre rinnegato un ascetismo manicheo che vede nella rinunzia e nel rinnegamento il suo fine. Il cristiano non può rinunziare a nulla, tutto è suo – e tutto egli deve portare con sé, elevare con sé fino a Dio nell’amore. Unica legge del cristiano è l’amore – un amore che vince ogni egoismo umano, naturale, istintivo, fino a dar tutto, anche la vita».
"Casa San Sergio", a Settignano (Firenze - foto Toscana Oggi).
Credo che proprio questo cercassero in lui amici personali, e uomini molto diversi, come Giorgio La Pira e Giuseppe Dossetti. Cercavano il consiglio, la direzione spirituale, il confronto, la fertilità di questo richiamo in alcune stagioni particolarmente non conformista, controcorrente.
«Don Divo è stato un uomo che ha dedicato tutta la vita a far conoscere agli uomini la bellezza della Verità contemplata nella fede. Passionale e forte, dolce e paterno, solitario e uomo di fede incrollabile, monaco e predicatore al tempo stesso, insofferente alle mode e capace con una parola di illuminare un’intera esistenza...», ha scritto don Serafino Tognetti, il suo successore alla guida della Comunità dei Figli di Dio.
Teologo, predicatore, poeta, ha vissuto dal suo eremo di San Sergio, nella scelta della contemplazione, nel cuore del suo secolo. Amico di Hans Urs von Balthasar, del cardinale Elia Dalla Costa, di Giuseppe Lazzati e Marcello Candia. Ma anche di uno dei massimi poeti italiani del ’900, Mario Luzi, e di Carlo Bo. La sua sensibilità, la sua scrittura poetica, non hanno confini di disciplina di ambito letterario. Ne sono impregnati tutti i libri, e in particolare proprio i tanti commenti biblici.
Il testamento di don Divo Barsotti – per tutti, ma in particolare proprio per chi lo ha conosciuto solo attraverso le pagine scritte –, il suo passaggio di testimone ai giovani del nuovo millennio, è racchiuso nelle ultime parole della sua ultima intervista: «Non serve a Dio l’orgoglioso che crede di poter fare senza di Lui, non serve a Dio la persona che si piega solo verso di sé, non serve a Dio l’uomo che ha il potere umano e la ricchezza dei soldi, della fama. Servono gli umili, gli uomini che sul piano umano sembra che abbiano fallito e invece sono quelli che vincono il mondo».
Paolo Giuntella
Don Barsotti con Papa Wojtyla(foto Toscana Oggi).
Divo della spiritualitàDon Divo Barsotti (nato a Palaia, provincia di Pisa, il 25 aprile 1914 e morto a Settignano il 15 febbraio scorso) è unanimemente riconosciuto come uno degli scrittori di spiritualità più importanti del secolo scorso. La sua produzione letteraria è notevolissima: più di 150 libri, molti dei quali tradotti in lingue straniere, e diverse centinaia di articoli su quotidiani e riviste di spiritualità. Ha scritto commenti alla Sacra Scrittura, studi su vite di santi, diari e poesie. Tra i suoi testi più importanti: Introduzione al breviario. Lo spirito della liturgia delle ore; Pasqua - La trasparenza del Cristo risorto nell’Eucaristia; Le apparizioni del risorto; La preghiera, lavoro del cristiano; La fuga immobile - Diario spirituale; Il mistero cristiano nell’anno liturgico, tutti quanti editi dalla San Paolo. E inoltre, pubblicati da Queriniana: Meditazione sul libro di Giobbe; Meditazione sul libro di Rut; Meditazione sul Cantico dei cantici; Meditazione sui due libri di Samuele; Meditazione su gli Atti degli Apostoli. |
I quattro rami dei "Figli di Dio"La Comunità dei Figli di Dio è stata fondata nel 1947 da don Divo Barsotti. Il nome della comunità vuole evidenziare la profonda consapevolezza che deve animare i suoi membri in ordine al richiamo battesimale. La Casa madre, luogo nel quale dal 1955 ha vissuto don Divo, è "Casa San Sergio", a Settignano, sopra Firenze. Canonicamente, la Comunità è un’associazione pubblica di fedeli. Dal settembre 1995, suo superiore è don Serafino Tognetti. Attualmente sono più di 2 mila i membri della Comunità, presenti anche in Colombia, Benin, Sri Lanka e Australia. Quella dei Figli di Dio è una comunità che vuole vivere, nel mondo, l’esperienza monastico-contemplativa, l’esperienza del cosiddetto «monachesimo interiorizzato», secondo l’affermazione dell’ex arcivescovo di Firenze, il cardinale Piovanelli. Sul significato di questa espressione, nel 1993 Barsotti si espresse così: «Siamo monaci perché non vogliamo dimenticarci che Dio deve essere il primo amato, che Dio deve essere la meta ultima del nostro cammino. Il nostro deve essere un monachesimo interiorizzato, un monachesimo per questo libero da regole che impediscono a tutti di sentirsi fratelli, di vivere tutti uno stesso cammino». Per questo, ascolto della Parola e preghiera sono i tratti fondamentali della Comunità che, pur ispirata monasticamente, ha scelto di non avere legami con le forme monastiche tradizionali. Don Divo Barsotti nel 1989 (foto R. Siciliani). «È di essenziale importanza capire», diceva don Barsotti in proposito, «che la distinzione dei gradi nella comunità non dipende assolutamente dall’impegno religioso dei singoli che invece deve essere uguale in tutti, se sono chiamati alla santità; ma da uno stato oggettivo, da una condizione di vita in cui ha voluto ciascuno il Signore. Non dunque l’impegno soggettivo determina l’appartenenza nella Comunità a un grado piuttosto che a un altro, ma la volontà adorabile del Signore». Il quarto ramo, dopo un’iniziale esperienza nel primo quinquennio degli anni ’60, si era "estinto" ma è ritornato a esistere nel 1985, quando don Divo aveva già compiuto 71 anni. E proprio per l’esistenza di fratelli e sorelle che fanno vita comune – a Settignano, al Santuario del Sasso (tra Firenze e Fiesole), a San Donato in Poggio (Firenze) e a Vigliano Biellese, in Piemonte – la Comunità dei Figli di Dio può essere annoverata tra le nuove comunità monastiche italiane.
Mario Torcivia
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