quarta-feira, 1 de maio de 2019

DON DIVO BARSOTTI OMELIA NELLA MESSA ESEQUIALE DI S.E. Rev.ma Card. ENNIO ANTONELLI 21/2/2006

                                                                       português
source

 Ha scritto don Divo Barsotti: «Nei santi la presenza di Cristo non è solo reale, ma è visibile ed efficace». E’ forse questo il motivo per cui stasera siamo qui in tanti: Vescovi, Sacerdoti, Religiosi, Cristiani laici, la “Comunità dei Figli di Dio”, Autorità e Cittadini. Questa cara Basilica dell’Annunziata, scelta da don Divo stesso, non è certo sufficiente a contenere tutti coloro che avrebbero desiderato partecipare a questa Messa Esequiale. Don Divo Barsotti è una personalità straordinariamente ricca, che non si lascia comprimere nelle brevi dimensioni di un’omelia. E’ una personalità universalmente nota, che non ha bisogno di essere presentata con un profilo biografico. Mi limiterò perciò a commentare con alcuni suoi testi le letture bibliche che abbiamo ascoltato. Gli presterò la mia voce; ma sarà lui a darci ancora una volta la sua testimonianza e il suo insegnamento. [2] Don Divo è stato Sacerdote, Mistico, Scrittore, Teologo, Predicatore, Consigliere e Padre spirituale, Fondatore della “Comunità dei Figli di Dio”, che ora comprende più di 2000 membri ed è diffusa a livello internazionale. Egli però ha voluto sempre una cosa sola: cercare Dio. La sua lunga vicenda terrena ha seguito una sola traiettoria, quella indicata con intensità di accenti dal Salmo responsoriale: «Una cosa ho chiesto al Signore, questa sola io cerco: abitare nella casa del Signore tutti i giorni della mia vita, per gustare la dolcezza del Signore ed ammirare il suo santuario […] Di te ha detto il mio cuore: Cercate il suo volto; il tuo volto, Signore, io cerco». Già nel 1934, all’età di appena vent’anni, l’anelito del suo giovane cuore vibrava veemente in questa preghiera:

 «O Dio portami in alto! […] Scuotimi dalla mia tiepidezza. Io devo vivere per te, solo per te O Dio che sei Dio, sii il mio Dio […] Io mi consacro alla tua onnipotenza, alla tua sapienza, al tuo amore […] O Signore, prendimi, rapiscimi [….] inabissami in te. Fonte di luce e di amore, vèrsati nell’abisso del mio nulla. Che io viva soltanto davanti ai tuoi occhi: solo con te, tutto con te, sempre con te»
Qui la ricerca di Dio prende la forma di una invocazione appassionata, ardente. Don Divo sa che non si può andare a Dio, se egli stesso non viene a noi.

Egli scrive: «Al centro più segreto della vita dell’universo Egli è presente non più come un Dio che può ancora allontanarsi quando vuole, […] ma come un Dio che, assumendo la nostra natura, indissolubilmente l’ha legata a Se stesso. La radice del mondo, dell’essere creato, la radice nascosta ma reale, principio, sostegno, fondamento di tutto è Gesù, non un Dio invisibile che può ancora sottrarsi». Gesù, Dio fatto uomo, porta a compimento la sua incarnazione nell’Atto supremo della sua morte e risurrezione: comunica lo Spirito Santo e attrae a sé tutte le cose, dando ad esse consistenza, autenticità, armonia e bellezza. 

Scrive don Divo: «In Gesù Dio solleva a sé quasi dall’abisso del nulla la creazione in terra». E ancora: «Noi siamo reali in quanto siamo presi da lui, incorporati da lui, attratti nella sua sfera». Solo in Gesù Cristo possiamo trovare Dio e ottenere vita e salvezza. E’ necessario allora incontrare Gesù Cristo, entrare in relazione con lui, aderire totalmente a lui. E ciò avviene nella fede, pura ed esclusiva, ferma e gioiosa. Nel suo Diario, in data 12 agosto 1944, don Divo scriveva: «Verbum caro factum est. L’incarnazione riempie la storia. Tutto comincia: è come una nuova creazione – e più nulla è impossibile, perché l’impossibile è avvenuto. Senso di novità assoluta. […] Tutto è possibile a chi crede. […] Spògliati di tutta l’umana sapienza e prudenza – vuota l’anima di tutti gli idoli umani, getta via tutto: la fede nel Figlio di Dio è bastevole a riempire la tua anima, a rinnovar la tua vita. […] Non la cultura, non la ricchezza, non la dignità, nemmeno la perfezione morale – la fede: una fede assoluta, piena, che domini sola l’anima e la riempia […] e non sappia più nulla che questo: che Dio si è fatto uomo e vive con noi». La fede «vuota l’anima di tutti gli idoli umani»; getta via preoccupazioni, interessi e piaceri mondani; frantuma ogni egoismo, ogni chiusura, ogni illusoria autosufficienza e autogiustificazione; disperde paure e false sicurezze; libera da ogni conformismo sociale e culturale. Così la vita dell’anima diventa un incessante ritirarsi da tutte le cose per concentrarsi in Dio solo, divenuto presente fra noi mediante Gesù Cristo, il Verbo fatto uomo. Come è noto, questo movimento continuo di ritirata e di concentrazione viene chiamato da don Divo, con suggestiva e paradossale espressione: «La fuga immobile». 

La fuga è necessaria per polarizzarsi su Cristo e su Dio, per raggiungere il centro, il cuore pulsante dell’universo, e rimanere fissi in esso. Se si raggiunge il centro, se si aderisce totalmente a Cristo e si vive in intima comunione con lui, anche gli altri valori sono salvi e trovano consistenza, equilibrio e armonia. Se invece si emargina Cristo, si perdono anche gli altri valori. Su questa assoluta centralità di Cristo nella vita del cristiano e della Chiesa don Divo insiste continuamente, animato da amore appassionato e geloso, con un linguaggio vibrante e a volte perfino polemico. Egli scrive: «La missione della Chiesa non è la pace delle nazioni, l’unità dei popoli, la giustizia sociale […]

La missione della Chiesa è, con l’evangelizzazione, l’inserimento di ogni uomo, di tutta l’umanità nel Cristo morto e risorto […] E’ vero tuttavia che questo inserimento, quando è reale, tende a realizzare anche la pace, la giustizia, l’unità». «La Chiesa è nel mondo, ma non del mondo. Invece spesso si aspira a salvarsi in questo mondo, e magari si preferirebbe anche che il Signore fosse un po’ a servizio dell’uomo. Così si parla molto, nella Chiesa, della mafia, dei debiti, del terzo mondo, degli armamenti, del governo […] Ma chi parla di Cristo morto e risorto?». Ovviamente anche per don Divo l’impegno sociale e politico è necessario; ma è secondario; non deve occupare il centro. A questo proposito ho un ricordo personale che riemerge spesso in me e mi interpella con forza. In una delle mie prime visite a don Divo si parlava, tra le altre cose, dell’impegno sociale e dell’attività caritativa dei cristiani e delle comunità ecclesiali. Don Divo osservò che spesso non
sono segno di autentica fede e carità e aggiunse mestamente: «Molti non amano Gesù Cristo». E vidi due rivoli di lacrime scendere dai suoi occhi e rigare il suo volto. Rimasi intimamente commosso e mi tornò in mente la folgorante parola di San Paolo nella prima lettera ai Corinzi: «Se qualcuno non ama il Signore sia anatema» (1Cor 16,22). Al centro della nostra esistenza ci deve essere soltanto il Signore Gesù: è questo l’appello che don Divo ci rivolge. Interrogato da un giornalista, in occasione dei suoi novant’anni, su quale messaggio intendesse lasciare ai suoi figli spirituali, prontamente rispose: 

«Quello di essere una cosa sola con Gesù. Che Gesù sia veramente la forza della nostra vita, la gioia unica della nostra esistenza, l’unica nostra speranza, l’unico nostro amore. Tutto deve avere termine in lui, perché anche la nostra vocazione è una sola, quella di divenire una cosa sola con lui. Non c’è altra vocazione del cristianesimo che questa, ed è la vocazione più alta che noi possiamo ricevere». [4] La vocazione è quella di diventare figli di Dio in unità con il Figlio Unigenito. E’ la vocazione che ci ha ricordato il Vangelo, proclamato poco fa: «A quanti l’hanno accolto, ha dato il potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, i quali non da sangue, né da volere di carne, né da volere di uomo, ma da Dio stesso sono stati generati». E’ la vocazione che la prima lettura ci ha fatto contemplare come derivata dall’amore gratuito e inaudito del Padre e come destinata alla visione immediata e beatificante di lui: «Quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente! […] Carissimi, noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è» (1Gv 3,1-2). Don Divo, dando al suo movimento spirituale la denominazione di “Comunità dei Figli di Dio”, ha voluto sottolineare semplicemente la dignità e la grandezza dell’essere cristiani. «E’ la vocazione più alta che noi possiamo ricevere». E’ la vocazione comune di tutti i battezzati, all’interno della quale si collocano tutte le vocazioni speciali, come modalità di essa. Attraverso la sua comunità composta di Sacerdoti, di laici, di Vergini e di sposati, don Divo ha voluto testimoniare che tutti i cristiani, e non solo i claustrali, sono chiamati a realizzare praticamente il primato della vita di preghiera e dell’unione con Dio. Questo primato, egli dice «deve essere il fine di tutti i figli di Dio, nel matrimonio e fuori, nel mondo e nel chiostro». E a tutti propone, senza esitazione, la Messa, la liturgia delle ore, la lettura della Scrittura, la meditazione, il silenzio, l’esercizio della divina presenza. 

Una volta che l’anima illuminata dallo Spirito Santo ha posto Cristo e Dio al centro e si è saldamente stabilita in questo centro, può rivolgersi agli altri uomini e a tutte le creature con l’amore stesso di Cristo e di Dio e portare questo amore in tutte le attività e relazioni. Così “la fuga immobile” implica il ritorno al mondo, con uno sguardo e un cuore nuovo. La rinunzia diventa accoglienza autentica. 
Scrive don Divo: «La solitudine del contemplativo non è la solitudine di chi ha fuggito il mondo, ma di colui che è entrato nel suo più intimo cuore, nel suo centro più fondo». E ancora aggiunge: «Il tuo amore deve abbracciare tutto: tutto l’universo, tutta la creazione deve esultare in te nella pienezza della vita divina. L’estasi non strappa alla terra, ma eleva con te la terra, nella luce di Dio – la trasfigura in Dio. Il cristianesimo però ha sempre rinnegato un ascetismo manicheo che vede nella rinunzia e nel rinnegamento il suo fine. Il cristiano non può rinunziare a nulla, tutto è suo – e tutto egli deve portare con sé, elevare con sé fino a Dio nell’amore. Unica legge del cristiano è l’amore – un amore che vince ogni egoismo umano, naturale, istintivo, fino a dar tutto, anche la vita». Il primato dell’unione con Dio viene salvaguardato anche nel momento dell’azione, se questa è compiuta alla presenza di Dio e secondo la sua volontà. A riguardo ecco alcune limpide indicazioni di don Divo: «Bisogna che non vi sia rottura fra la preghiera e l’azione, ma siano in te indissolubilmente unite. Guarda Gesù: la sua vita cogli uomini è unione col Padre». «Con la vita contemplativa ti unisci alle divine Persone e le rappresenti; con la vita attiva comunichi Dio e lo

rappresenti agli uomini». «Né preghiera senza l’azione, né azione senza la preghiera. La preghiera non è vera e perfetta se non è completata dall’azione, così come l’azione si completa nella preghiera». Soprattutto l’Eucaristia ci conduce a fare unità di preghiera e azione, Dio e mondo. L’Eucaristia – insegna don Divo – non è estranea al mondo; «non è un frammento del cielo caduto quaggiù; non sta a fianco del mondo; ma lo sostiene e lo porta». Per questo, egli aggiunge, «Chi vive la Santa Messa vive assieme Dio che si dona, si comunica al mondo e il mondo che sale in Dio. Vivere la Santa Messa non vuol dire sottrarsi al mondo, separarsi dagli uomini. Vuol dire piuttosto vivere l’unità del mondo e di Dio, e soltanto la Messa è questa unità».

 [5] Per noi adesso questa Messa che stiamo celebrando è suprema unità con Cristo e in lui con Maria e i Santi, tra noi e con il nostro amato don Divo. Egli soleva dire che la morte non esiste e, se esiste, è solo come una medicina per aprire definitivamente il nostro io all’amore infinito di Dio. Più avanzava negli anni e più si sentiva vivere. La pace e la gioia che in modo crescente irradiava intorno a sé hanno testimoniato splendidamente che per lui la morte era compimento della vita, in virtù della grazia e della misericordia di Dio. «Il santo» - egli aveva scritto - «è un pover’uomo amato da Dio e che Dio vuole tutto per sé».