Già nelle ore precedenti il conclave del 2005 il vaticanista statunitense John Allen inserisce il cardinale francocanadese Marc Ouellet tra i papabili. Allen motiva così la sua candidatura: “Le persone che lavorano con lui lo descrivono come una persona affabile, umile e flessibile, e non un uomo così prigioniero del proprio sistema intellettuale da renderlo incapace di ascoltare gli altri. Inoltre parla correntemente inglese, francese, italiano e tedesco”. In quelle ore anche un altro vaticanista di prestigio, Sandro Magister, parla di lui: insieme all’italiano Angelo Scola e al francese Philippe Barbarin, dice Magister, Ouellet è tra i più promettenti allievi-modello di Hans Urs von Balthasar, il gigante della teologia del secondo Novecento. Oggi, con Benedetto XVI saldamente al governo, ogni discorso sui papabili risulta aleatorio e prematuro. Eppure c’è un dato oggettivo che va rilevato: l’imminente annuncio di Ouellet quale nuovo prefetto della Congregazione dei vescovi, al posto del cardinale Giovanni Battista Re, resta un’indicazione importante offerta direttamente dal Papa alla chiesa che verrà.
Ouellet, 66 anni, è un religioso sulpiziano originario di La Motte, piccolo centro nei pressi della città canadese francofona di Amos. A differenza del cardinale Re che si era formato principalmente all’interno della curia romana – per undici anni ricoprì uno dei più alti compiti ai quali può aspirare un diplomatico vaticano, sostituto della segreteria di stato – la formazione di Ouellet è più variegata: vescovo in Quebéc, primate del Canada, è stato per poco più di un anno segretario del Pontificio consiglio per l’unità dei cristiani. Perché il Papa l’ha scelto? Ci sono dei motivi tecnici: il segretario di stato Tarcisio Bertone voleva un non italiano e Benedetto XVI l’ha assecondato. Ma il Papa si è indirizzato su Ouellet soltanto in un secondo momento, dopo che la candidatura del cardinale autraliano George Pell, arcivescovo di Sydney, è decaduta per colpa del montare delle proteste di un’associazione di vittime della pedofilia irlandese, che ha contestato al cardinale la gestione di vecchi casi di abusi. Il primo caso di una nomina mancata per le proteste preventive mosse dalle vittime della pedofilia.
Ouellet è un allievo di Von Balthasar, e la cosa non è da sottovalutare: “Von Balthasar mi ha introdotto alla figura unica di Cristo, chiave della realtà totale”, disse il porporato nel 2004 ospite del Meeting di Cl a Rimini. Membro della rivista Communio, della quale il teologo svizzero fu uno dei fondatori assieme a Joseph Ratzinger, Henri de Lubac e Jean-Luc Marion, è tra i rappresentanti del collegio cardinalizio più vicini, intellettualmente e teologicamente parlando, all’attuale Pontefice. Di questo, infatti, Benedetto XVI sembra avere bisogno: di un prefetto che sappia interpretare, nel delicatissimo compito che è quello di scegliere i vescovi, il suo pensiero e le sue aspettative.
Sostituire Re non è impresa facile. Re conosce i meccanismi e la burocrazia della curia romana come pochi. Formatosi alla scuola diplomatica della Pontificia accademia ecclesiastica, vanta un legame coi nunzi sparsi nel mondo difficilmente superabile. Questo legame è stata la sua forza ma anche, per alcuni, una sua debolezza: alcune delle nomine di Re hanno subìto il peso dei nunzi e delle diverse conferenze episcopali del mondo. Re ha avuto una parabola singolare: inzialmente legatissimo a Giovanni Paolo II e al cardinale Camillo Ruini in alternativa all’asse diplomatico rappresentato in Vaticano da Agostino Casaroli prima, Achille Silvestrini poi, negli ultimi anni ha tendezialmente portato all’episcopato uomini che di quell’asse sono discepoli.
Benedetto XVI già nel 2008 volle mettere al centro dell’attenzione delle gerarchie Ouellet. Nel sinodo dei vescovi sulla Parola di Dio dell’autunno del 2008, lo nominò relatore generale. Fu un segnale preciso. Il Papa indicava il nome di un vescovo di frontiera, capace di resistere ancorato alla dottrina nonostante tutt’intorno avanzasse una secolarizzazione galoppante: il Québec, un tempo una delle regioni più cattoliche del Nordamerica, è oggi terra di missione da scoprire e conquistare. Ouellet in quei giorni non si tirò indietro. Condusse i lavori del Sinodo e fece parlare di sé per un intervento “ratzingeriano” scritto per la rivista Vita e Pensiero. Disse: “E’ giunta l’ora di frenare il fondamentalismo laicista imposto per mezzo dei fondi pubblici e ritrovare un equilibrio migliore fra tradizione e innovazione creatrice al servizio del bene comune. Si deve imparare di nuovo il rispetto della religione che ha forgiato l’identità della popolazione e il rispetto di tutte le religioni, senza cedere alla pressione degli integralisti laici che reclamano l’esclusione della religione dallo spazio pubblico”.
Benedetto XVI nel 2009 ha subìto diverse critiche. Molte di queste sono giunte anche da dentro la chiesa, soprattutto a motivo della revoca della scomunica concessa al vescovo lefebvriano e negazionista sulla Shoah Richard Williamson. In quelle ore, fu il cardinal Ouellet a spendersi più di altri in difesa del Papa. Criticò gli uomini di chiesa. Disse: “A tutti i livelli della leadership della chiesa non è stata raggiunta l’unità con Pietro”.
C’è una volontà che pare evidente dietro la nomina di Ouellet: il Papa vuole accanto a sé una persona della sua linea, un amico della cui fedeltà non debba dubitare. Secondo molti osservatori la nomina assomiglia molto a quella di Antonio Cañizares Llovera alla Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti. Altre nomine di tal fattura sono attese negli ultimi due tasselli che presto resteranno scoperti nel puzzle della curia romana disegnata da Ratzinger: il prefetto del clero e il prefetto dei religiosi.
Pubblicato sul Foglio mercoledì 30 giugno 2010
fonte:palazzo apostolico