Centenario di nascita del Card. Siri
Genova, Palazzo Ducale,
4 maggio 2006
4 maggio 2006
Il Cardinale Tarcisio Bertone ed il Presidente Giulio Andreotti in occasione del Convegno in memoria del centenario della nascita del Cardinale Giuseppe Siri |
Nel grande affresco che stiamo tracciando sulla imponente figura del Card. Giuseppe Siri, mi sembra che sia doveroso, bello e costruttivo rievocare il rapporto speciale di profonda venerazione e insieme di amicizia che ha legato il Card. Siri con i Papi del suo tempo. Poi raccoglieremo qualche suo insegnamento sull'amore al Papa, e sull'attaccamento all'altissimo ufficio di S. Pietro e dei Suoi Successori, "che genera l'unità della Chiesa".
Lo faccio volentieri sia come suo successore sulla cattedra di San Siro, sia come Salesiano, e sia come collaboratore per oltre 25 anni di Papa Giovanni Paolo II tanto stimato dal Card. Siri.
Gli eventi ecclesiali che ci hanno sopraffatti nel 2005, definito l'anno dei due Papi, ci hanno ricordato, se ce ne fosse bisogno, che la vita di un Vescovo e di un Cardinale, e direi in generale la vita di ogni fedele cattolico, non può dipanarsi e svolgersi senza riferimento a quel Centro della fede e dell'unità visibile che è la Sede di Roma, la sede del Successore di Pietro.
Ristudiando i rapporti del Card. Siri con i singoli Papi del sec. XX (escludendo i primi tre Pio X, Benedetto XV e Pio XI, i Papi della sua giovinezza), tenterò anche di illuminare il ruolo che il nostro Cardinale ha avuto nei vari Conclavi ai quali ha partecipato, dal 1958 al 1978.
Il Card. Siri e Pio XII
Pio XII è il Papa che lo ha nominato Vescovo ausiliare del Card. Boetto l'11 marzo 1944 e l'ha promosso Arcivescovo di Genova il 14 maggio 1946. La stima di Pio XII verso il giovane Arcivescovo (a 40 anni!) è immensa ed è sicuramente ricambiata. Il 12 gennaio 1953 gli conferirà la porpora cardinalizia (a 47 anni con una schiera di nomi eccellenti! [tra i quali Wyszinski, Roncalli, Ottaviani, Lercaro, Stepinac]) e gli attribuirà diversi prestigiosi incarichi (legazioni pontificie a Loyola in Spagna nel 1956, per il IV centenario della morte di S. Ignazio, e in Belgio nel 1958, in occasione dell'Esposizione Universale, presidente del Comitato permanente delle Settimane sociali dal 1951 al 1970, presidente della CEI dal 1958 al 1965). Per il Card. Siri Papa Pio XII resterà soprattutto il Papa del governo ecclesiastico, profondo conoscitore degli uomini di Chiesa, capace di scegliere i suoi collaboratori e di mettere gli uomini giusti al posto giusto (ha tentato invano di portare il Card. Siri a Roma, accanto a sé!).
Ricordava che, durante un'udienza, Pio XII gli aveva fatto una lunga esposizione dei mali del mondo e delle tribolazioni della Chiesa, da lui particolarmente sentite in quel periodo. Alla fine dello sfogo, il Cardinal Siri gli disse: «Santità, da quando i Papi scrivono encicliche, sono soliti descrivere le sorti del mondo in termini come questi: "Ingravescentibus malis, et prope ad finem vertente saeculo..."; ma poi succede che il mondo si riprende e la Chiesa è sempre viva. C'è dunque da farsi coraggio...».
Pio XII conchiuse il colloquio con una franca risata.
Il Conclave del 1958 (25-28 ottobre)
Gli elettori sono 51 e tra di essi circola la candidatura del Card. Siri, ritenuto «il delfino» di Pio XII: l'iniziativa sarebbe stata adottata dai Cardinali Gaetano Cicognani, Aloisi Masella e Ignace Gabriel Tappouni, patriarca di Antiochia dei Siri. Secondo Cicognani, Siri sarebbe «l'unico in grado di continuare il magistero di Pacelli». Però una candidatura del genere urta, se non sul rifiuto dell'interessato, certo sulla sua troppo giovane età (52 anni appena) che male si adatta alla prospettiva di un «pontificato di transizione».
Dal Conclave perciò uscirà eletto il Patriarca di Venezia Card. Angelo Roncalli (Giancarlo Zizola, nel suo volume "Il Conclave – storia e segreti", Roma 1993, 218-227, ripercorre la cronaca dei preparativi fino ai giorni del Conclave, dal 25 al 28 ottobre 1958, e corregge alcune affermazioni di Benny Lai, Il Papa non eletto, Bari 1993, traendo più documentate informazioni dal Diario dell'anima di Giovanni XXIII e dalle memorie di Mons. Loris Capovilla).
Il Card. Siri e Giovanni XXIII
Papa Giovanni XXIII gli riserverà grande stima e lo nominerà suo legato (ad es. per il matrimonio di Re Baldovino con Fabiola del Belgio) e poi membro della Commissione preparatoria del Concilio Vaticano II, e ancora membro del Consiglio di Presidenza del Concilio stesso.
Di Giovanni XXIII narrò più volte che un giorno lo aveva condotto nei Giardini Vaticani fino alla statua della Madonna della Guardia. In quell'ambiente «genovese» il Papa l'aveva fatto sedere, e poi gli aveva chiesto un parere sulla opportunità di ricevere in udienza Aleksei Adjubei, il genero di Kruscev, con la moglie, come altri gli consigliavano, e come di fatto avvenne il 7 marzo 1963. Forse il Papa si aspettava che il Cardinal Siri gli desse una risposta sfavorevole. E invece lui replicò subito: «Ma lo riceva, Santità. Lei sa che, quando cercano noi preti, è segno che sentono avvicinarsi la fine...».
E anche in quel caso ci fu una bella risata del Papa, che si sentiva incoraggiato e soddisfatto di quella risposta. (Non dirò che ci fu profezia, né in Papa Giovanni né nel Cardinal Siri, sulla Russia, né accetterei di mettere in relazione la frase del Cardinale relativa all'...Olio Santo con gli avvenimenti del 1989. Basterà dire che ci fu una intelligente lettura della storia).
Il Conclave del 1963 (19-21 giugno)
Del Concilio, Giovanni XXIII non riuscì a vedere il compimento, poiché morì dopo la prima sessione. Il grande movimento di rin novamento che era stato suscitato aveva tuttavia ormai iniziato il suo cammino, pur fra varie difficoltà, presenti anche in un episcopato e in un collegio cardinalizio talvolta diviso tra sostenitori e oppositori del modo di concepire la posizione della Chiesa nel mondo che le discussioni conciliari stavano definendo.
Il conclave apertosi alla sua morte non era il primo a svolgersi durante un concilio: era successo a Costanza nel 1417, nel 1513 durante il Lateranense V e ben quattro volte durante il lungo Con cilio di Trento. Questa volta non ci fu tentativo alcuno da parte dei vescovi di violare la competenza esclusiva dei cardinali nell'elezione del pontefice, competenza recentemente ribadita proprio da Giovanni XXIII. Venne dunque in tutto rispettata la regola per cui il concilio non doveva interferire nel conclave e tuttavia si può dire che la riunione elettorale fu in qualche modo condizionata dall'assise ecumenica che pure, a norma del diritto canonico, era da considerare formalmente sciolta con la morte del pontefice. Tutto si giocò infatti - e la cosa non apparirà sorprendente al lettore - sulla discussione relativa al proseguimento del concilio e a chi avrebbe potuto e saputo meglio interpretare le esigenze di una Chiesa ormai apertasi consapevolmente a un confronto radicale con le istanze dell'umanità intera, alla ricerca delle nuove forme in cui potesse realizzare la propria perenne vocazione all'annuncio del Vangelo.
è Giovanni XXIII che apporta alcune novità significative allo statuto giuridico del cardinalato: anzitutto decide di superare il numero massimo fissato da Sisto V che era di 70 (infatti il numero dei Cardinali sarà lasciato alla libera designazione del Papa).; successivamente assegna alle Diocesi suburbicarie vescovi diversi dai cardinali-vescovi, i quali conserveranno solo il titolo ma non più l'autorità sulle Diocesi stesse, ed infine decide che tutti i membri del collegio cardinalizio dovranno ricevere la consacrazione episcopale, «a motivo del carattere genuinamente ecclesiastico dell'attività del Collegio, nonché dell'impegno nel servizio delle anime e del Sommo Pontefice nel governo universale e in vista della parificazione di tutti i componenti del S. Collegio dei cardinali in una stessa dignità di ordine sacro, di episcopale sacramento». Sappiamo che il teologo Karl Rahner, in un articolo del 1963 sulla rivista Stimmen der Zeit approvò in pieno la decisione di Giovanni XXIII e ne spiegò l'alto significato ecclesiologico, in quanto «chi prende parte in effetti al supremo organo direttivo della Chiesa deve ricevere anche la pienezza sacramentale e la grazia di stato». In quella sede veniva profilato ed auspicato il conferimento del cardinalato ai Patriarchi Orientali, effettivamente attuato poi da Paolo VI nel 1965.
In soli tre giorni, il conclave che vedeva radunati ottanta cardinali, numero mai visto fino allora, elesse Giovanni Battista Montini, arcivescovo di Milano, che si volle chiamare Paolo VI (1963-1978). La scelta del nome dell'apostolo dei Gentili suggerì immediatamente un'apertura anche verso quella parte dell'umanità che non apparteneva alla Chiesa cattolica, e la sua immediata dichiarazione (ancora a conclave chiuso, appena eletto, e pubblicamente il giorno successivo) di voler riaprire e proseguire il Concilio non fece che confermare quel suggerimento.
Si attribuisce al Card. Siri e al Card. Ottaviani una vigorosa e ostinata opposizione alla candidatura del Card. Montini, Arcivescovo di Milano, «delfino» di Giovanni XXIII (vedi Zizola cit., 242). Ma in realtà già il 20 giugno Montini primeggiava, con accanto, a distanza, i Cardinali Antoniutti e Lercaro, genovese, che, a quanto si dice, nella terza votazione fece confluire i suoi voti su Montini. Probabilmente fu già eletto alla quarta votazione, alla sera del 20 giugno, ma volle che ci si pensasse la notte. E così fu. L'elezione fu confermata la mattina del 21 giugno. Io stesso, studente a Roma, corsi a piazza San Pietro per l'annuncio e vidi nettamente il Card. Siri (era il decano dell'Ordine dei Cardinali "preti") accanto al nuovo Papa, sulla loggia centrale della Basilica.
Il Card. Siri e Paolo VI
Durante il Pontificato di Paolo VI il Card. Siri partecipò a 3 Sinodi dei Vescovi. Il Papa lo cercava, soprattutto nei momenti più difficili. Lo considerò sempre "fedele e sincero amico" (altri non erano tali). Il Card. Siri glielo dimostrò ad es. quando uscì l'enciclica Popolorum Progressio, che egli non condivideva (il Papa gli aveva inviato preventivamente le bozze). Quando fu pubblicata, nonostante tutto, il Card. Siri corse a Roma a commentarla e difenderla alla Radio Vaticana. «Meno male che c'è Lei», gli disse una volta e lui rispose: «Resto, finché resta Lei, Santità».
Paolo VI, che ebbe a soffrire molto per talune forme di dissenso intraecclesiale, si rasserenava nella preghiera piena di fiducia e di abbandono nel Signore, e si corroborava con gli atti di fede, privati e pubblici. Forse solo alla fine colmò un certo jatus psicologico che rimaneva nel suo rapporto tra l'uomo aperto, sensibile, portato ad apprezzare e a valorizzare tutto ciò e tutti quelli che gli parevano portar luce sulla via del Credo, e il Papa che per ufficio - ma anche per intima convinzione - era il custode e il tutore di quel Credo immutabile e inviolabile. Non un contrasto, si noti bene, tra l'uomo e il Papa, ma una certa difficoltà psicologica di armonizzazione, forse sì.
Il Cardinal Siri gli fu accanto in certi momenti cruciali, e si sentì dire da lui: «Quando c'è lei mi sento sicuro: lei chiarisce le questioni».
Egli confidò che il Papa aveva lacerato sotto i suoi occhi un documento già pronto per essere pubblicato e che, a giudizio del Cardinale, manifestato sinceramente al Papa, avrebbe portato non poco scompiglio nella struttura della Chiesa: si trattava della composizione del Collegio Cardinalizio.
Paolo VI ha stabilito alcune modifiche del corpo elettorale col motu proprio Ingravescentem aetatem del 1970 e ne ha fissato il modo di esercitare le funzioni nella costituzione Romano Pontifici eligendo del 1975, confermando tuttavia il principio per cui «l'elezione del vescovo di Roma, secondo l'antica tradizione, è di competenza della Chiesa di Roma, cioè del collegio dei cardinali, che la rappresentano». La norma è espressa al n. 33 con questa formula categorica: «Il diritto di eleggere il vescovo di Roma spetta unicamente ai cardinali di santa romana Chiesa, esclusi, a norma della legge precedentemente pubblicata, quelli che, all'ingresso in conclave hanno già compiuto l'80° anno di età. Il massimo numero dei cardinali elettori non deve superare i 120. è assolutamente escluso ogni intervento di qualsiasi altra dignità ecclesiastica o potestà laica di qualsivoglia grado o ordine». Sono stati esclusi quindi i ventilati inserimenti dei Patriarchi orientali, non cardinali, e dei membri componenti il Consiglio della Segreteria permanente del Sinodo dei Vescovi. È su questo progetto che si appuntò l'opposizione del Card. Siri.
Il primo Conclave del 1978 (25-26 agosto)
Si tratta di un Conclave lampo con la partecipazione di 111 Cardinali. La clausura, come sempre, è reale nel senso stretto della parola: porte chiuse, dall'esterno, finestre occultate con una mano di pittura, e con gli infissi sigillati, niente radio, niente giornali, niente posta. Il caldo, nell'agosto romano, è asfissiante: «La mia camera era un forno» ricorda il Card. Suenens, belga.
Tutti si lamentano e ottengono di aprire almeno i finestroni del «serraglio».
Secondo una ricerca di Vaticanisti i primi tre votati sono il Card. Siri, il Card. Luciani di Venezia, e il Card. Pignedoli, grande amico di Paolo VI. Dal secondo scrutinio sale vertiginosamente il Card. Luciani fino a ottenere al quarto scrutinio 101 voti su 111 elettori, una maggioranza straordinaria, un esito quasi plebiscitario.
Io ricordo personalmente la confidenza del Card. Raul Silva Henriquez, Arcivescovo di Santiago del Cile. I Cardinali Sudamericani, che erano ben 19, si erano posti tre domande: 1) Eleggiamo un Cardinale italiano o un Cardinale non italiano? Risposta - Eleggiamo un italiano. 2) Un Cardinale di Curia o un Arcivescovo residenziale? Risposta - Un Arcivescovo residenziale. 3) Quale dei Cardinali Arcivescovi Diocesani? Risposta - Dalla loro ricerca ritenevano il Card. Lucani il più idoneo a un Pontificato pastorale che attuasse integralmente gli indirizzi conciliari.
A chiedergli l'accettazione formale si avvicinano al seggio di Luciani il Card. Villot, il Card. Felici e il Card. Siri. Conosciamo il nome che prenderà Papa Luciani: Giovanni Paolo (I, precisa il Card. Siri).
Il suo pontificato però durerà il soffio di appena 33 giorni.
Il Card. Siri e Giovanni Paolo I
Giovanni Paolo I dopo l'elezione gli disse: «Venga, venga a trovarmi», ma la domanda di udienza non ebbe risposta; lo cercò diverse volte per telefono e lo consultò in particolare per un discorso importante ai Gesuiti che non fece tempo a pronunciare.
Il secondo Conclave del 1978 (14-16 ottobre)
Non c'è dubbio che tra i 111 Cardinali elettori la scena pubblica del secondo Conclave dell'anno era dominata dalla candidatura del Card. Siri che aveva ricevuto almeno 25 voti nel primo scrutinio del 26 agosto, voti poi in parte passati al Card. Luciani.
L'ascesa della candidatura di Siri
L'arcivescovo di Genova in un'intervista al Lavoro di Genova, aveva fornito di sé un'immagine rassicurante ed evolutiva: «Non sono né conservatore né progressista e ho spesso osservato che queste definizioni sono superfi ciali: nella vita i migliori progressisti sono i peggiori conservatori e i mi gliori conservatori sono i peggiori progressisti. Se dovessi qualificarmi, vorrei essere considerato un indipendente, un uomo che marcia da solo e non fa parte di gruppi. Cerco di osservare, e di fare osservare, la legge di Cristo». Inoltre, egli aveva abbozzato un programma altrettanto poliva lente, indicando, come problema maggiore per il nuovo papa, di fronte al governo della Chiesa, quello di «difendere la purezza della dottrina di Cristo, difendere la legge cristiana di vita; e la disciplina interna della Chiesa, che è molto mal combinata. Ma il problema più grande è di ag giornare la Chiesa di fronte ai cambiamenti immani del mondo di oggi... La Chiesa, fedele a Cristo, deve sapersi adattare, senza toccare le cose intoccabili, ma cambiando quel che è giusto aggiornare, negli spazi che gli sono consentiti... La Chiesa non può; essere immobile» (Cesare Lanza, «Parla Siri prima del Conclave», Il Lavoro - Genova-, 1° ottobre 1978).
Arrivato a Roma, Siri aveva esaltato Papa Luciani, nel novendiale del 5 ottobre, per il suo «richiamo non casuale, ma organico e coerente, alla dottrina di Dio e alla spiritualità» e per aver ripreso «il necessario discor so della fermezza sulla dottrina cattolica, sulla disciplina ecclesiastica, sulla spiritualità». Circolavano voci di un suo accordo con il gruppo più forte della Curia, che si riconosceva nel cardinale Felici, già Segretario Generale del Concilio Vaticano II, e di un suo ten tativo di sondaggio con il gruppo che si riconosceva nel cardinale Benelli, di Firenze.
La questione della «restaurazione dottrinale e disciplinare» era discussa con fervore nelle congregazioni generali di quei giorni. In particolare si poneva il problema di un riesame della dissidenza di monsignor Lefebvre, le cui attività - ritenevano alcuni cardinali di Curia e lo stesso Siri - avrebbero potuto essere recuperate con un loro spazio legittimo nella Chiesa cattolica, per evitare un allargamento incontrollato dello scisma.
Anche il Card. Wyszinski, pensava a lui («E adesso Lei si prepari a un grande compito» gli disse a Roma).
Poi le cose andarono diversamente, e dalle testimonianze rimaste possiamo dire che il Card. Siri ne fu contento. Ma dopo quelle vicende e dopo le indiscrezioni e manipolazioni giornalistiche egli giunse ad auspicare che si abolisse il segreto del Conclave, perché così le cose si svolgessero alla luce del sole.
Tuttavia rimase sempre persuaso che il primo e vero protagonista di ogni Conclave fosse lo Spirito Santo.
Nella intervista pubblicata su Il Sabato del 4-10 agosto 1984, il Cardinal Siri raccontò, correggendo in parte la versione di Benny Lai: «Quando Giovan ni Paolo II, nome scelto da Wojtyla, si recò nella sacrestia della Sistina per indossare gli abiti bianchi, il Card. Wyszinski, il quale sedeva accanto a me, mi appog giò quasi la testa sulla spalla sconsolato. E disse: "Ho perso un amico".
Io gli risposi: «Gli amici che si hanno in minoribus non si perdono mai quando si sale. Lei non perderà un amico. Il Papa la terrà ancor più caro. Dovrà guardarsi da quelli che gli diverranno amici da ora in poi. Se è furbo, se ne guarderà».
La crisi della candidatura Siri
Gli ultimi giorni del pre-conclave furono polemici, aspri. L'unico da to sicuro era la mancanza di un accordo preliminare. Ciò faceva preve dere una soluzione incerta, forse sorprendente, e un Conclave più lungo di quanto fosse stato immaginato. Le tensioni fra gli Italiani, anziché di minuire si erano aggravate: ciò lavorava segretamente per l'alternativa.
La candidatura di Siri mostrava segni di crisi. L'Osservatore Roma no, uscito la sera di venerdì 13 ottobre, prendeva posizione a favore di un papa che si impegnasse a sviluppare la collegialità episcopale nel go aerno, la partecipazione dei laici e l'ecumenismo. Era il giornale ufficia le della Santa Sede che scendeva in campo, uscendo dalle sue abitudini neutrali, in una fase delicatissima.
L'articolo in prima pagina, a firma del gesuita della Gregoriana Juan Alfaro, significava che i vertici della Curia gestiti in sede vacante dal Cardinale camerlengo Jean Villot, avevano valutato la pericolosità della situazione e cercavano all'ultimo momento di isolare le spinte controriformistiche. La frase principale era la seguente: «la posizione presa dal Vaticano II intorno alla collegialità e corresponsabilità dell'episcopato col papa, la cui attuazione è stata iniziata da Paolo vi (conferenze episcopali, sinodi dell'episcopato) domanda un impulso ulteriore verso strutture concrete più efficienti, in modo che il mutuo interscambio fra il centro della Chiesa e quella presente in tutto il mondo (con la diversità delle loro situazioni e culture) venga intensificato e reso così più fecondo. Non la paura paralizzante ma il dinamismo della speranza cristiana potrà creare nuovi rapporti di comunione e di vita».
Sabato 14 ottobre, a poche ore dall'inizio del Conclave, i Cardinali di ritorno dalla messa «dello Spirito Santo» in San Pietro potevano leggere sulla Gazzetta del popolo - recapitata ai loro indirizzi romani -, un'in tervista del Cardinale Siri. Era una critica a talune riforme del Conci lio e in particolare alla collegialità episcopale, con una svalutazione degli impegni programmatici assunti in tal senso da Papa Luciani nel primo discorso.
Diceva: «Non so neppure cosa voglia dire lo sviluppo della collegiali tà episcopale... Il Sinodo non potrà mai diventare istituto deliberativo nella Chiesa perché non è contemplato nella costituzione divina della Chiesa». Inoltre: «Dire soltanto la parola pastore è decapitare la figura del papa. Non umiliarla, ma decapitarla. Deve essere un pastore, d'ac cordo, ma deve essere uno che governa la Chiesa. Se non governa la Chiesa, cosa sta a fare lì, a pascolare le pecorelle?».
L'immagine «continuistica» e indipendente che il cardinale Siri si era costruita subiva un colpo probabilmente nefasto. Egli aveva chiesto al giornalista che l'intervista – strappata a forza e registrata in modo maldestro - fosse pubblicata quando gli elettori, ormai segregati in conclave, non avreb bero potuto leggerla. Lo riferì lo stesso giornale, mettendo a disposizio ne del cardinale la bobina con l'intervista, per rispondere a una sua smentita. Gli elettori furo no accompagnati dal rumore dell'intervista nell'ora dell'ingresso nella Sistina; l'arcivescovo di Vienna confermerà che l'intervista «circolò all'interno del conclave».
Questi episodi indicavano allo stesso tempo la spregiudicatezza dei mezzi usati nello scontro, la difficoltà di una composizione in conclave per l'irridu cibilità delle posizioni e infine l'altezza della posta in gioco, costituita esplicitamente dalla ricezione o dal rigetto della riforma conciliare nel programma pontificale.
Le discutibili ricostruzioni giornalistiche dell'andamento degli scrutini
Le votazioni in Conclave cominciarono la mattina di domenica 15 ot tobre e si conclusero la sera del 16 ottobre. Gli scrutini furono otto, quindi sfociati nella zona statutaria ove è prevista l'elezione a maggioranza semplice. Le ricostruzioni delle fasi del conclave, pubblicate da numerosi organi di stampa nel mondo, hanno rivelato una difficoltà maggiore di quelle sul conclave del 26 agosto.
Infatti non hanno potuto basarsi su dichiarazioni, per quanto fram mentarie, degli elettori, i quali hanno mantenuto il segreto tanto più ri gorosamente quanto più lo avevano forzato uscendo dall'altro concla ae. In difetto di dichiarazioni pubbliche, sono state utilizzate indiscre zioni estremamente generiche. Esse sono alla base dei racconti pubblica ti da Newsweek (30 ottobre), da Time (30 ottobre), da Le Point (23 otto bre) e da L'Express (21-28 ottobre). Lo schema che essi hanno suggerito è unico, con poche varianti non sostanziali. Le notizie in nostro possesso se ne discostano tuttavia su punti di qualche importanza.
Secondo le ricostruzioni della stampa internazionale, il conclave si sareb be aperto con il duello tra Siri e Benelli. Il cardinale di Genova avrebbe rice auto, al primo scrutinio, 25 voti, quello di Firenze 35 (Newsweek). Le Point ha assegnato 30 voti a Siri e circa altrettanti a Benelli. Tutti hanno indicato che, alle spalle dei due antagonisti, v'era una grande dispersione di voti tra altri candidati italiani e che alcuni voti erano andati a Wojtyla (forse, cin que). L'Express ha indicato in questa prima fase l'affiorare della candida tura del cardinale Felici. «Nel primo giorno», ha detto il cardinale Marty, «abbiamo cercato di sapere se andavamo in Italia o no.»
Per il secondo scrutinio, le versioni divergono: per Newsweek, Benelli avrebbe ricevuto «tra due e quindici voti meno dei 75 necessari per l'ele zione», mentre per Time, sarebbe stato Siri a raggiungere 46 voti, segui to da Benelli, con alcuni blocchi di voti minori per Colombo, Pignedoli e Ursi. Si sarebbe determinata allora una reazione degli Italiani più vicini alle posizioni della Curia non favorevoli all'ex sostituto di Paolo vi.
Al terzo scrutinio, Benelli avrebbe ricevuto 36 voti, Siri sarebbe dimi nuito e si sarebbe affacciato sulla scena elettorale con 30 voti il cardinale Poletti (secondo Time). Per Le Point, sarebbe stato Benelli a far votare Poletti. Sul quarto scrutinio, l'ultimo della prima giornata elettorale, Le Point ha indicato «Felici ben piazzato» e Newsweek la discesa di Benelli, 30 voti per Siri e l'insistenza di cinque voti per Wojtyla.
Gran parte delle versioni hanno indicato, per la sera di domenica, che diversi Cardinali avevano sostenuto come la lotta interna tra gli Italiani imponesse una scelta di compromesso al di fuori dei ranghi italiani e che si cominciò a parlare di non italiani come «per combustione spontanea». Il germe della candidatura di Wojtyla «nacque durante la notte», «una parola qui, un'altra là», e sostanzialmente per arrestare la salita del car dinale Felici.
Lunedì 16 ottobre, alla quinta votazione, si sarebbe determinato uno spostamento sensibile verso Colombo e Poletti, mentre anche l'olandese Willebrands avrebbe ricevuto una «rispettabile» manciata di voti. L'ipotesi che un accordo fosse stato raggiunto su un candidato non italiano è basata da alcuni su una dichiarazione del Cardinale francese Gouyon: «andando lunedì al Conclave, sapevo che la sera avremmo avuto il papa».
Tutte le versioni hanno indicato che, al sesto scrutinio, la candidatura di Wojtyla fece un balzo in avanti notevole, e che il cardinale Willebrands aveva deciso di ritirarsi a favore del Cardinale polacco. Lo scruti nio dovette svolgersi più rapidamente del previsto, dato che la «fumata nera» apparve dal comignolo della Cappella Sistina già alle 11.15, invece che alle 12.
Alcuni hanno riferito che a pranzo Wojtyla «era così visibilmente sconvolto dalle forze che si coagulavano intorno a lui che i suoi amici te mettero che potesse rifiutare il papato».
«Ebbi paura che in quel momento potesse rifiutare», ha detto König. «Certamente non era Wojtyla il candidato all'elezione. Non posso dire di più». Perciò Wyszynski lo prese da parte e gli rammentò che l'accet tazione è il dovere di un cardinale.
Secondo Newsweek, erano gli Americani e i Tedeschi, che sostengono molte Diocesi nel Terzo Mondo, ad aver persuaso precedentemente i loro amici in Africa e in America Latina, a unirsi a loro. Secondo Time, «solo la mancanza di voti tra gli Italiani continuava a bloccare l'elezione di Wojtyla al settimo scrutinio».
All'ottavo, «Benelli cedette il suo pacchetto di voti a Wojtyla» (Newsweek). L'elezione dell'Arcivescovo di Cracovia sarebbe avvenuta con 104 voti secondo Newsweek, con 94 voti, per il rifiuto degli ultraconser aatori di appoggiarlo, secondo Time, «con un po' più di 75 voti» secon do Le Point. Si è riferita la dichiarazione del cardinale Marty: «sono sta to colpito dalla grande disponibilità di tutti i Cardinali italiani, senza ec cezione, verso un papa non italiano». Ciò non significava peraltro che tutti gli Italiani lo avessero votato.
La svolta del conclave
Se confrontiamo queste ricostruzioni con altre fonti di informazione come i colloqui riservati di alcuni Cardinali, ci imbattiamo in una visione più complessa di quella se gnata dalla polarizzazione tra Siri e Benelli. Secondo queste fonti il pri mo giorno del conclave non fu determinato dall'antitesi Siri-Benelli, bensì da un confronto tra settori di Curia, giudicati conservatori, da un lato, e Benelli dall'altro. Ciò poteva significare all'inizio una polarità tra Felici e Benelli, con alcuni elettori che rivolgevano i loro voti d'assaggio all'arcivescovo di Milano Giovanni Colombo e al vicario di Roma Ugo Poletti.
Secondo alcune fonti a lui vicine, al cardinale Siri mancarono «pochi voti» per ottenere la maggioranza stabilita: «non più di quattro o cin que». Tuttavia alcuni cardinali consideraro no già al termine della prima giornata, cioè dopo soltanto quattro scruti ni, che la candidatura di Siri aveva raggiunto il colmo delle sue possibili tà e che doveva perciò essere abbandonata.
«Dio si è servito della malignità degli uomini e della divisione degli ita liani», dirà il cardinale di Madrid Tarancon riferendosi alle manovre adottate dagli Italiani per contendersi il papato.
«Certi di essere diretti verso il Polo Sud», dirà pittorescamente Sue-nens, «siamo arrivati al Polo Nord. Ancora una volta il Signore ha com piuto prodigi».
Dinnanzi allo spettacolo poco edificante di queste lacerazioni, gli in certi non potevano non sentirsi attirati da una soluzione estranea all'agi tato campo italiano. La prospettiva di un Conclave lungo, che avrebbe aggravato gli astii, era ormai nei timori diffusi. Il processo elettorale ap pariva bloccato. Ma anche il settore tedesco era diviso: «peccato che la leadership di Julius Doepfner non abbia trovato un erede», dicevano a Roma in quei giorni. Più tardi si potè comprendere ciò che questa critica poteva significare: Joseph Ratzinger era indubbiamente a favore di Benelli, ma non era riuscito a trascinare con sé il potente Höffner, che con tinuava a votare Siri, o Felici oppure Poletti durante i primi scrutini.
Inoltre, le fonti fanno supporre che potrebbe essersi verificato un evento, che aveva creato ulteriore incertezza. Si fa ritenere che la candi datura di Colombo avesse cominciato a salire, raccogliendo i voti degli insoddisfatti dell'andamento del Conclave, fino a essere considerata co me la terza via certamente vincente tra i due litiganti maggiori. Ma si la scia anche immaginare che Colombo avesse recisamente ricusato di esse re candidato.
In questa situazione di stallo, e di depressione, lo stesso Cardinale König avrebbe adottato un'iniziativa forte, irrituale. In accordo col Card. Rat-zinger, egli avrebbe proposto al Conclave di applicare il modello dell'E sodo biblico, abbandonando le logiche degli schieramenti, e di verificare, quasi per un sondaggio libero, la disponibilità del collegio all'accetta zione di una candidatura sorprendente, come quella di Karol Wojtyla. L'idea sarebbe stata lanciata la sera di domenica 15 ottobre e avrebbe co minciato a navigare la mattina di lunedì 16, trovando subito vento pro pizio. Al sesto scrutinio la candidatura dell'Arcivescovo di Cracovia do aeva essere già ben sostenuta se il Cardinale Wyszynski, che fino a quell'ora aveva votato per Siri, sussurrò al collega polacco: «Se ti eleggono, ti prego, non rifiutare».
Nell'intervallo fra le votazioni, i sostenitori di Wojtyla avvicinarono altri invitandoli ad associarsi alla soluzione, in un clima già più sereno. Fra aperitivi, digestivi e caffè, nella sala vicina a quella del refettorio, il Conclave maturò la tappa decisiva. Al secondo scrutinio di quella sera di lunedì, ottavo dei due giorni di Conclave, l'arcivescovo di Cracovia Karol Wojtyla raggiunse più dei 75 voti necessari all'elezione, addirittura 99 secondo la lettera di un Cardinale riportata da Giulio Andreotti. An che gli Italiani, più o meno volenti, si associarono.
Per questo il Cardinale Marty poteva dichiarare che «tutti gli italiani, senza eccezione» avevano mostrato «grande disponibilità» verso un pa pa non italiano, il primo papa slavo della storia. «Siamo rimasti sorpresi dall'emergere di questo candidato», disse il Cardinale di Dakar, Hyacinthe Thiandoum. «Se il suo nome fosse emerso il primo giorno, tutto si sarebbe svolto più presto.» Alla domanda se non si trattasse di una scelta anticomunista, Thiandoum rispondeva negativamente, non senza un profumo d'ironia: «Se si trattava solo di trovare qualcu no che fosse contro il comunismo, l'elezione si faceva subito».
Il Card. Siri e Giovanni Paolo II
Di Giovanni Paolo II il Card. Siri ammirava l'ardore, lo zelo, l'attaccamento alla fede, la carità dimostrata anche nei confronti di mons. Marcello Lefebvre, che lui aveva cercato di ridurre a miti consigli e di aiutare nella sottomissione al Papa. Il Cardinal Siri aveva prospettato a Giovanni Paolo II, fin dall'inizio del pontificato, una certa soluzione della penosa questione, che il Papa si era proposto di esaminare con larghezza di mente e di cuore. Secondo Siri qualche ingranaggio della curia non aveva funzionato, ma soprattutto la dura cervice dell'uomo-Lefebvre, che pure era stato così benemerito come missionario e come vescovo, aveva creato difficoltà insormontabi li. Dopo faticose ed estenuanti trattative alle quali anch'io partecipai come membro della Commissione nominata dal Papa, e presieduta dal Card. Ratzinger, si arrivò così a quel gravissimo gesto di disubbi dienza formale del 30 giugno 1988, al quale non tut ti, forse, erano d'accordo di dare il valore e, diciamo pure, l'importanza di uno scisma, ma che il Cardinal Siri fu il primo a deplorare e riprovare. È di quei giorni l'ultimo suo passo presso mons. Lefebvre, con la breve lettera che riportiamo in seguito, nella quale splendeva tutta la grandezza della carità e del dolore di un vescovo della Chiesa cattolica nell'ora della caduta di un confratello.
Si tratta del messaggio mandato all'uomo di Ecône, il 22 giugno 1988. Il biglietto diceva: «Monsignore, Vi prego in ginocchio di non staccarvi dalla Chiesa. Voi siete stato un apostolo, un grande vescovo; Voi dovete restare al vostro posto. Alla nostra età noi siamo davanti alla porta dell'eternità. Riflettiamo. Io sempre vi attendo, qui nella Chiesa e poi in paradiso».
Il messaggio forse non giunse al destinatario né prima né dopo il 30 giugno, giorno della rottura. In ogni caso rimase senza risposta. Il Cardinale avrebbe portato con sé nella tomba anche questo dolore.
La visita di Giovanni Paolo II a Genova
Il Cardinal Siri aveva invitato Giovanni Paolo II a visitare Genova fin dal 5 luglio 1984, proponendo gli già da quel primo momento che nel programma della visita fosse compreso il pellegrinaggio al san tuario della Madonna della Guardia. Gli fece anche balenare la possibilità di un arrivo alla città dal mare, in quello stupendo scenario di colline, di promontori, di bacini del porto, di grattacieli, di chiese, di ca se disseminate in pianura e sui monti, dominato dal la «Lanterna», che veramente è unico al mondo.
Essendo in corso e prossimo alla conclusione il processo canonico per la beatificazione della Serva di Dio Virginia Centurione Bracelli, nobile genove se del sec. XVII, fondatrice delle religiose di N.S. del Monte Calvario (Brignoline), la visita venne ri mandata al momento in cui il Papa potesse compiere in Genova stessa tale atto solenne. E ciò avvenne la domenica 22 settembre 1985 durante la Messa cele brata dal Papa, dal Cardinale e dai Vescovi liguri all'altare innalzato nell'immensa Piazza della Vittoria, gremita di folla. Fu un evento memorabile.
Il Papa era arrivato il pomeriggio del sabato, alle sei, all'aeroporto. Di qui era passato per una prima visita ai lavoratori dell'Italsider, e poi era salito col Cardinale su una motovedetta della Marina, sulla quale aveva attraversato il porto, veduto e goduto la splendida città. I genovesi scorgevano le due figure affiancate a prua. Era uno spettacolo incantevole, così rievocato su Il Lavoro del 7 maggio 1989: «Suonano le sirene delle altre navi, sventolano le bandie rine con i colori del Vaticano: giallo e bianco, che migliaia di persone tengono in mano. Il Cardinale si china spesso a parlare con il pontefice, da lui ha già ascoltato quella parola: "Grazie" che lo compensa di tante amarezze.
Si commuove quasi, il freddo e austero Cardina le genovese, quando, poco più tardi, rivolge il saluto ufficiale a Giovanni Paolo II nella cattedrale di San Lorenzo, restaurata nella facciata e negli interni: "Ci siamo tutti, Santità, - scandisce la voce ancora ferma dell'anziano Arcivescovo - vescovi, padri provincia li, preti e suore. Ora ci sentiamo un cuore solo".
Un groppo in gola gli impedisce di proseguire. Il Papa gli si fa incontro e lo abbraccia...».
La sera il Papa cenò col Cardinale nella sala del piccolo appartamento ricavato sotto le soffitte dell'arcivescovado, dove passò la notte. La mattina do po, di buon'ora, il Papa scese silenziosamente attra aerso la scala interna nella cappella del primo piano per dedicare, come al solito, le prime ore della gior nata alla preghiera. Il Cardinale era già lì per la stessa ragione.
Dopo la preghiera il tour de force senza sosta, da un capo all'altro della città: ancora in duomo, al san tuario della Guardia, al Paverano fondato da don Orione per gli anziani, all'Istituto Gaslini per i bam bini, al Palasport in mezzo a ventimila giovani..., fi no alla conclusione in Piazza della Vittoria. Quando il Papa ripartì in macchina passando sulla sopraele aata per raggiungere l'aeroporto, ormai imbruniva e nella città si accendevano migliaia di luci che gli per mettevano di vedere un altro meraviglioso spettaco lo. Il Papa era raggiante. Il Cardinale tornò in arci aescovado felice.
Qualche giorno dopo concesse un'intervista a Sergio Trasatti, pubblicata su L'Osservatore Roma no del 14 ottobre 1985, per fare un bilancio della vi sita. Era anche una sintesi del suo episcopato quasi quarantennale e, per lui, ancora aperto sull'avvenire.
L'ufficio di Pietro e la persona del Papa
La succinta cronaca che abbiamo fatto della vita del Card. Siri e dei suoi rapporti con i Papi ci ha riempito di ammirazione. Alla base dei suoi atteggiamenti, al di là della stima goduta e meritata, c'era una salda fede nella Chiesa e nelle note teologiche che la caratterizzano: una, santa, cattolica e apostolica, e inoltre nell'ufficio di Pietro e dei suoi Successori: dono trascendente alla Chiesa che cammina nella storia.
Sentiamo un tratto di un'omelia pronunciata dal Card. Siri in Cattedrale, il 29 giugno 1977. Può ben suggellare questa nostra commemorazione.
«La verità è questa: il primo dovere di Pietro è di parlare in nome di Dio e di aver siglato in Cielo quello che, nelle debite forme, viene presentato al mondo nella sua qualità di maestro e capo supremo, Vicario di Dio in terra. Questo è l'ufficio. Quest'ufficio, però, sopravanza Pietro, perché se si compara questo testo del XVI cap. di Matteo con il XXI cap. dell'evangelo di Giovanni, si deduce con chiarezza che Gesù sapeva benissimo che Pietro sarebbe morto, anzi disse «con quale morte - lo annota Giovanni - con quale morte avrebbe glorificato Dio» (Gv. 21,19), mentre nel vangelo di Matteo parla della fine dei tempi e dell'impossibilità per le potenze dell'Inferno di scuotere giammai questa roccia, il che vuol dire che il morituro Pietro avrebbe lasciato la guida della Chiesa ad un suo successore.
A questo punto troviamo questo fatto che accompagna, come un miracolo vivente, tutta la vita e la storia della Chiesa: un tale ufficio che parrebbe doversi consegnare soltanto ad un angelo già costituito in gloria, è affidato ad un uomo che rimane perfettamente libero e che può anche comportarsi meno bene, come è accaduto talvolta nella storia. Questo è meraviglioso: che una cosa talmente grande e talmente impegnativa - voi capite bene che le parole dette da Gesù Cristo a Cesarea di Filippo sono state una cambiale in bianco - è messa nelle mani dell'uomo. Dio solo poteva prendersi un simile lusso, di mettere, cioè, una cosa tanto grande, tanto fissa, tanto immutabile, tanto infallibile ed indefettibile nelle mani di un uomo, che lasciava con la sua libertà e con la sua umana debolezza. Questo è l'ufficio.
Cari sacerdoti, abbiate sempre in voi la distinzione tra il vostro ufficio, che ovviamente non è quello di Pietro, ma che è un frammento di quello di Pietro, e la vostra persona, la distinzione. Perché i primi a dover portare rispetto a quest'ufficio dovete essere voi. I primi a dover obbedire alle regole che questo ufficio impone con una logica decisa, che oggi piace a pochi, siete voi! Dovrete molte volte fermare in voi l'uomo, figlio di Adamo, debole, ed imporre allo stesso uomo d'essere eroe perché c'è un ufficio che lo sopravanza, ben più di quanto le molli piane di questo mondo sono sopravanzate dai monti più alti, ed è questo ricordo che lascio a voi.
Distinguete sempre e fate in modo che l'uomo obbedisca all'ufficio, lo rispetti e ascolti gli imperativi di quest'ufficio che molte volte possono chiedere, anche nel più profondo silenzio, là dove nessuno segue le nostre azioni, atti di vero e proprio eroismo, e Dio vi conceda la grazia di compierli, come l'ha data a Pietro».
XTarcisio Card. Bertone
Arcivescovo di Genova
FONTE:http://www.diocesi.genova.it/
Arcivescovo di Genova