da Petrus (16/09/08)
Non è per nostalgia che vogliamo ricordare il Cardinale Giuseppe Siri, così come ha fatto di recente la Diocesi di Genova, che lo ebbe buon Pastore per oltre quarant'anni. Il nostro vuole essere l'omaggio deferente ad un vero Principe della Chiesa che restò sempre sacerdote. Un sacerdote libero, come lo ha più volte definito Monsignor Mauro Piacenza, suo storico assistente e attuale Segretario della Congregazione per il Clero. «Il sacerdote è infatti un uomo libero, non condizionato e non condizionabile dalle mode»: con questa sintesi lapidaria, Piacenza ha tracciato alla perfezione il profilo e l'impegno apostolico di Siri, il cui ottantesimo anniversario dell’ordinazione è ormai alle porte. Il 22 settembre 1928, infatti, il seminarista Giuseppe Siri diventava presbitero, incamminandosi sulla scia di Gesù, non assecondando nessun altro all’infuori di quel Cristo manifestatosi per volere e amore del Padre.
Lo stesso Cardinale Angelo Bagnasco, attuale Arcivescovo di Genova, nel dare inizio ai lavori convegnistici su Siri, ha rimarcato il concetto della “sacerdotalità” e “pastoralità” dell'Eminentissimo porporato: «Fu sempre e solo un Pastore e volle sempre essere solo un sacerdote». Di sé, il porporato soleva dire: «Sono un uomo che marcia da solo e non fa parte di gruppi. Sono stato sempre presentato a rovescio». Con questa assoluta certezza di fede, Siri non solo spiegava il suo essere spesso frainteso nei comportamenti e nel linguaggio corrente, ma voleva lanciare il messaggio di fede insito e riposto in lui, uomo di azione e di preghiera, uomo colto, saggio, prudente, predicatore raffinato, docente di teologia come non pochi alla sua epoca. Questo illustre Principe della Sede Apostolica, elevato alla dignità cardinalizia dall’indimenticabile Pio XII, non fu profeta di se stesso, se non della Chiesa, che adorava sopra ogni cosa. Piuttosto, fu precursore della storia, tant'è che lo stesso Monsignor Piacenza ha sottolineato «la straordinaria attualità e assonanza» degli scritti del Cardinale Siri con il Magistero di Benedetto XVI. «Temi come il relativismo, l'edonismo, il materialismo sono ben presenti con un profetico anticipo di mezzo secolo».
Il suo ex segretario ha ricordato, inoltre, un altro elemento di novità e attualità nel pensiero del porporato genovese scomparso nel 1989. L'invito che Siri rivolgeva spesso ai suoi sacerdoti era quello di «superare ogni complesso di inferiorità verso il mondo, in particolare verso ciò che è definito moderno». Un messaggio forte, impregnato di sofferenza e di speranza gioiosa, da autentico messaggero e apostolo delle genti. Un messaggio attuale ancora adesso che tutti, conservatori e progressisti, stanno imparando a rispolverare i grandi insegnamenti di uno dei Cardinali più illuminati che abbiano mai fatto parte del sacro Collegio. Qualcuno direbbe, una riabilitazione a posteriori. Ma Siri non ha bisogno di essere riabilitato, perché è stato un pilastro, una colonna incrollabile nella vita della Chiesa, anche con le asprezze e le amarezze di alcuni momenti, anche con i dissapori del tempo. Di lui, oggi, è importane ricordare la sua fede e la sua fedeltà al primato di Cristo racchiuso nel successore di Pietro, il Principe degli Apostoli, che è il Papa. Di lui è significativo ricordare l'ardente passione per il bello, per il sacro, per il nobile, per il divino. La concordia del cuore con la mente, nel rendere onore e gloria a Dio, fanno del sacerdote consacrato, del vescovo, del Cardinale, del Pontefice e di ogni anima eletta al Divino Mistero dell'Amore, la persona che si sintonizza armonicamente e coralmente con le antenne dell'infinito assoluto, per captare i segni dei tempi e trasmetterli sulle onde dell'eternità.
Questo è stato Siri per la Chiesa, al contrario dell’immagine da Cardinale retrivo che certa storiografia ha tentato di far giungere sino a noi. Basti pensare, poi, alle generazioni di illustri sacerdoti, prelati e porporati che ha allevato alla sua scuola, che in definitiva era la scuola di Cristo, sino a farli giungere ad ampie vette con umiltà e grande spirito di servizio. Ne citiamo solo alcuni: i Cardinali Bertone e Bagnasco, entrambi suoi successori a Genova, il primo attuale braccio destro del Papa, il secondo Presidente della CEI (proprio come lui); Monsignor Guido Marini, Maestro delle cerimonie liturgiche del Santo Padre, il già citato Monsignor Piacenza, Vescovo ed importante esponente vaticano. Non si tratta di una discendenza dinastica, ma di una scuola di pensiero molto apprezzata da Benedetto XVI, che ha fatto degli allievi prediletti di Siri i suoi più stretti collaboratori. La felice ricorrenza del genetliaco sacerdotale del Cardinale riporta alla mente un giudizio espresso da un altro sacerdote genovese, Don Gianni Baget Bozzo: «In Siri vi fu assoluta ortodossia cattolica, fedeltà alla Chiesa tradizionale, fedeltà alle istituzioni ecclesiastiche, omogeneità e obbedienza alla Santa Sede». Ecco, questo e altro ancora è stato il maestro che adesso vede, sia pure da lontano, assurgere a posti di rilievo e di prestigio nella gerarchia vaticana coloro che lui stesso ha forgiato con la sua parola, con la sua intelligenza, con la sua lungimiranza da profeta.
Ma tra i tanti ricordi, come non fare riferimento alle ore scismatiche e traumatiche all'interno della Chiesa che videro protagonisti i tradizionalisti di Monsignor Marcel Lefebvre? Siri, insieme ad altre poche Diocesi italiane, accolse nel seminario di Genova molti seminaristi “tradizionalisti”, che, altrimenti, sarebbero usciti dalla Chiesa cattolica, fino al punto da ordinarli sacerdoti, nonostante lo scontento di una parte del clero del capoluogo ligure. Qualcuno, sussurra, che per questo fu emarginato. Ma l'uomo che attingeva alla fonte del Vangelo, fuori dagli schemi propagandistici del carrierismo, avvertiva con quella sua scelta, la coerenza al messaggio di Cristo: «Non ho perduto nessuno di quelli che mi sono stati affidati”. «Non Nobis Domine»: questo fu il suo motto episcopale, il suo programma racchiuso in poche parole, a dimostrazione di come fu uomo autentico di Dio e della Provvidenza, così come dovrebbero essere i molti che lo hanno offeso e oltraggiato nella persona, nel tempo e nella memoria.
fonte:http://cristianesimocattolico.splinder.com/
Non è per nostalgia che vogliamo ricordare il Cardinale Giuseppe Siri, così come ha fatto di recente la Diocesi di Genova, che lo ebbe buon Pastore per oltre quarant'anni. Il nostro vuole essere l'omaggio deferente ad un vero Principe della Chiesa che restò sempre sacerdote. Un sacerdote libero, come lo ha più volte definito Monsignor Mauro Piacenza, suo storico assistente e attuale Segretario della Congregazione per il Clero. «Il sacerdote è infatti un uomo libero, non condizionato e non condizionabile dalle mode»: con questa sintesi lapidaria, Piacenza ha tracciato alla perfezione il profilo e l'impegno apostolico di Siri, il cui ottantesimo anniversario dell’ordinazione è ormai alle porte. Il 22 settembre 1928, infatti, il seminarista Giuseppe Siri diventava presbitero, incamminandosi sulla scia di Gesù, non assecondando nessun altro all’infuori di quel Cristo manifestatosi per volere e amore del Padre.
Lo stesso Cardinale Angelo Bagnasco, attuale Arcivescovo di Genova, nel dare inizio ai lavori convegnistici su Siri, ha rimarcato il concetto della “sacerdotalità” e “pastoralità” dell'Eminentissimo porporato: «Fu sempre e solo un Pastore e volle sempre essere solo un sacerdote». Di sé, il porporato soleva dire: «Sono un uomo che marcia da solo e non fa parte di gruppi. Sono stato sempre presentato a rovescio». Con questa assoluta certezza di fede, Siri non solo spiegava il suo essere spesso frainteso nei comportamenti e nel linguaggio corrente, ma voleva lanciare il messaggio di fede insito e riposto in lui, uomo di azione e di preghiera, uomo colto, saggio, prudente, predicatore raffinato, docente di teologia come non pochi alla sua epoca. Questo illustre Principe della Sede Apostolica, elevato alla dignità cardinalizia dall’indimenticabile Pio XII, non fu profeta di se stesso, se non della Chiesa, che adorava sopra ogni cosa. Piuttosto, fu precursore della storia, tant'è che lo stesso Monsignor Piacenza ha sottolineato «la straordinaria attualità e assonanza» degli scritti del Cardinale Siri con il Magistero di Benedetto XVI. «Temi come il relativismo, l'edonismo, il materialismo sono ben presenti con un profetico anticipo di mezzo secolo».
Il suo ex segretario ha ricordato, inoltre, un altro elemento di novità e attualità nel pensiero del porporato genovese scomparso nel 1989. L'invito che Siri rivolgeva spesso ai suoi sacerdoti era quello di «superare ogni complesso di inferiorità verso il mondo, in particolare verso ciò che è definito moderno». Un messaggio forte, impregnato di sofferenza e di speranza gioiosa, da autentico messaggero e apostolo delle genti. Un messaggio attuale ancora adesso che tutti, conservatori e progressisti, stanno imparando a rispolverare i grandi insegnamenti di uno dei Cardinali più illuminati che abbiano mai fatto parte del sacro Collegio. Qualcuno direbbe, una riabilitazione a posteriori. Ma Siri non ha bisogno di essere riabilitato, perché è stato un pilastro, una colonna incrollabile nella vita della Chiesa, anche con le asprezze e le amarezze di alcuni momenti, anche con i dissapori del tempo. Di lui, oggi, è importane ricordare la sua fede e la sua fedeltà al primato di Cristo racchiuso nel successore di Pietro, il Principe degli Apostoli, che è il Papa. Di lui è significativo ricordare l'ardente passione per il bello, per il sacro, per il nobile, per il divino. La concordia del cuore con la mente, nel rendere onore e gloria a Dio, fanno del sacerdote consacrato, del vescovo, del Cardinale, del Pontefice e di ogni anima eletta al Divino Mistero dell'Amore, la persona che si sintonizza armonicamente e coralmente con le antenne dell'infinito assoluto, per captare i segni dei tempi e trasmetterli sulle onde dell'eternità.
Questo è stato Siri per la Chiesa, al contrario dell’immagine da Cardinale retrivo che certa storiografia ha tentato di far giungere sino a noi. Basti pensare, poi, alle generazioni di illustri sacerdoti, prelati e porporati che ha allevato alla sua scuola, che in definitiva era la scuola di Cristo, sino a farli giungere ad ampie vette con umiltà e grande spirito di servizio. Ne citiamo solo alcuni: i Cardinali Bertone e Bagnasco, entrambi suoi successori a Genova, il primo attuale braccio destro del Papa, il secondo Presidente della CEI (proprio come lui); Monsignor Guido Marini, Maestro delle cerimonie liturgiche del Santo Padre, il già citato Monsignor Piacenza, Vescovo ed importante esponente vaticano. Non si tratta di una discendenza dinastica, ma di una scuola di pensiero molto apprezzata da Benedetto XVI, che ha fatto degli allievi prediletti di Siri i suoi più stretti collaboratori. La felice ricorrenza del genetliaco sacerdotale del Cardinale riporta alla mente un giudizio espresso da un altro sacerdote genovese, Don Gianni Baget Bozzo: «In Siri vi fu assoluta ortodossia cattolica, fedeltà alla Chiesa tradizionale, fedeltà alle istituzioni ecclesiastiche, omogeneità e obbedienza alla Santa Sede». Ecco, questo e altro ancora è stato il maestro che adesso vede, sia pure da lontano, assurgere a posti di rilievo e di prestigio nella gerarchia vaticana coloro che lui stesso ha forgiato con la sua parola, con la sua intelligenza, con la sua lungimiranza da profeta.
Ma tra i tanti ricordi, come non fare riferimento alle ore scismatiche e traumatiche all'interno della Chiesa che videro protagonisti i tradizionalisti di Monsignor Marcel Lefebvre? Siri, insieme ad altre poche Diocesi italiane, accolse nel seminario di Genova molti seminaristi “tradizionalisti”, che, altrimenti, sarebbero usciti dalla Chiesa cattolica, fino al punto da ordinarli sacerdoti, nonostante lo scontento di una parte del clero del capoluogo ligure. Qualcuno, sussurra, che per questo fu emarginato. Ma l'uomo che attingeva alla fonte del Vangelo, fuori dagli schemi propagandistici del carrierismo, avvertiva con quella sua scelta, la coerenza al messaggio di Cristo: «Non ho perduto nessuno di quelli che mi sono stati affidati”. «Non Nobis Domine»: questo fu il suo motto episcopale, il suo programma racchiuso in poche parole, a dimostrazione di come fu uomo autentico di Dio e della Provvidenza, così come dovrebbero essere i molti che lo hanno offeso e oltraggiato nella persona, nel tempo e nella memoria.