domingo, 6 de junho de 2010

il Concilio e la crisi della vita devota

Il Santo Padre Benedetto XVI nella Lettera alla chiesa d'Irlanda del 19 marzo individuava nella diminuzione della vita devota una delle cause dello scadimento morale del clero: "Molto sovente - scriveva il Papa - le pratiche sacramentali e devozionali che sostengono la fede e la rendono capace di crescere, come ad esempio la frequente confessione, la preghiera quotidiana e i ritiri annuali, sono state disattese. Fu anche determinante in questo periodo la tendenza, anche da parte di sacerdoti e religiosi, di adottare modi di pensiero e di giudizio delle realtà secolari senza sufficiente riferimento al Vangelo. Il programma di rinnovamento proposto dal Concilio Vaticano Secondo fu a volte frainteso e in verità, alla luce dei profondi cambiamenti sociali che si stavano verificando, era tutt’altro che facile valutare il modo migliore per portarlo avanti. In particolare, vi fu una tendenza, dettata da retta intenzione ma errata, ad evitare approcci penali nei confronti di situazioni canoniche irregolari". Fu un fraintendimento del Concilio o il Concilio vi ha messo del suo? Ecco il primo di una serie di contributi per riflessione sul tema.


LA CRISI DELLA VITA DEVOTA E LE RESPONSABILITÀ DEL CONCILIO

1. APPARENTE SCOMPARSA DELLA VITA DEVOTA IN SENSO PROPRIO

È opinione sempre più diffusa che uno dei segni evidenti dell’ odierna crisi della Chiesa sia rappresentato dalla sostanziale assenza di riferimenti al Sovrannaturale e alla Grazia nella prassi ecclesiale quotidiana, ivi compresi documenti ufficiali del Magistero. Quali le cause di questo silenzio? La causa remota è da ricercarsi, ad avviso di molti, nell’antropomorfismo penetrato nella dottrina e nella pastorale della Chiesa a partire dal Vaticano II, il cui “spirito” è notoriamente risultato essere quello di una conciliazione-compromesso dei valori del Cristianesimo con quelli del mondo, anziché quello di un rinnovato slancio missionario per convertire il mondo.

Tra le cause prossime, possiamo annoverare il declino della vita devota presso il clero ed i fedeli, con le sue tradizionali pratiche, pubbliche e private. Grazie a queste ultime, il singolo credente si manteneva in costante contatto giornaliero con il Sovrannaturale, le cui Grazie, indispensabili alla salvezza della sua anima, erano continuamente da lui impetrate, con il dovuto timore e rispetto e nello stesso tempo con fiducia. Tra le varie pratiche (orazioni, meditazioni, mortificazioni, digiuni) la preghiera costituiva l’elemento fondamentale. Onde l’antica massima: “chi non prega, si danna”.

La preghiera nel senso della vera devozione cristiana non è da intendersi come mero omaggio formale, esteriore alla divinità al fine di ingraziarsela per riceverne benefici, incluse le grazie necessarie alla nostra santificazione individuale. Nel senso più autentico, essa è invece da intendersi come manifestazione dell’interiore e più profondo significato di una vita devota, improntata, giusta la celebre definizione di S. Francesco di Sales, a quella pietas che altro non è se non il vero amor di Dio: “La vera e viva divozione, o Filotea, vuole prima di tutto l’amore di Dio, anzi non è altro che vero amor di Dio; ma non è però un amore mediocre. Devi sapere che l’amore divino, in quanto abbellisce le anime nostre, si chiama grazia, perché ci rende simili alla divina Maestà; in quanto ci comunica la forza di operare il bene, dicesi carità; ma quando è arrivato a tal grado di perfezione, che, oltre a farci fare il bene, ce lo fa fare con diligenza, assiduità e prontezza, allora piglia il nome di divozione [...] A dirla in breve, la divozione è un’agilità e vivacità spirituale, con cui la carità opera in noi e noi operiamo nella carità prontamente e con trasporto, cosicché, mentre è ufficio della carità farci osservare i comandamenti di Dio, è poi ufficio della devozione farceli osservare con prontezza e diligenza.

Dunque chi non osserva tutti i comandamenti di Dio, non può esser giudicato né buono né divoto: non buono, perché a essere buono si richiede la carità; non divoto, perché a essere divoto, oltre la carità, ci vuole anche ardore e speditezza a fare le azioni proprie della carità”.
La vita devota è, pertanto, quella che si svolge all’insegna della carità ovvero in spirito di preghiera poiché è guidata dall’intenzione di chi, volendo fare in tutto la volontà di Dio, allo stesso modo di Nostro Signore, per amor di Dio e per la Sua Gloria, impetra ogni giorno l’aiuto di Dio a questo scopo.

Il surrogato: i cosiddetti “movimenti ecclesiali”

Lo spirito di preghiera non può mantenersi senza il pregare effettivo, costituito dalle nostre orazioni quotidiane con le loro connesse meditazioni. In passato, meditazioni e preghiere trovavano la loro perfetta sintesi negli esercizi spirituali condotti secondo il metodo di S. Ignazio di Loyola, riconosciuto e raccomandato dalla Chiesa come il migliore nel suo genere, anche nella versione ridotta ad una sola settimana. Ma oggi, a quanto sembra, sono pochi quelli che si affidano ancora alle pratiche tradizionali della vera devozione cattolica. Quest’ultima trovava il suo humus nella ricca vita liturgica delle parrocchie di un tempo. Oggi, invece, la povertà spirituale della vita parrocchiale è desolante, devastata com’è dalla creatività liturgica e dalle molteplici iniziative “ecumeniche” cui sono costretti i parroci. È comprensibile che i fedeli cerchino di surrogare questo vuoto partecipando ai movimenti carismatici o all’ambiguo cattolicesimo per così dire di gruppo di Comunione e Liberazione o dei Focolarini. La vera devozione privata cattolica è stata sostituita dalla devozione pubblica nel movimento, o nel gruppo-movimento, nel cui ambito si prega e si canta collettivamente, con slancio, per così dire ntusiastico, al fine di ottenere un beneficio, una guarigione o comunque per sentirsi “illuminati” dallo spirito, possibilmente illico et immediate.

Questi “movimenti”, le cui “liturgie” molti aderenti surrogano a quella della Messa, provengono originariamente, come sappiamo, dalla multiforme frangia coribantica del protestantesimo ed è alquanto improbabile che sia possibile ritornare per loro tramite alla vera devozione cattolica. Il rito del Novus Ordo ha di fatto tolto la Santa Croce (il santo sacrificio propiziatorio della misericordia divina per i nostri peccati) dal centro della Messa stessa, con il presentarla quale assemblea che celebra, sotto la presidenza del sacerdote, il memoriale del Mistero Pasquale ovvero della Resurrezione di Cristo. Allo stesso modo, la devozione dei fedeli ha in sostanza perduto il suo fondamentale carattere di pietas individuale e privata, di culto interno orientato all’amor di Dio e quindi all’imitazione quotidiana della S. Croce, con metodo e disciplina approvati dalla Chiesa, per attuarsi oggi sempre più spesso nelle forme del collettivo rappresentato dal “movimento”, il quale dal suo canto persegue un rapporto spurio, chiaramente non-cattolico, con il Sovrannaturale (di frequente sostituito dal preternaturale diabolico).

(tratto da Sì Sì No No del 15 febbraio 2009)

continua...
fonte:una Fides