- E senti o espírito inundado por um mistério de luz que é Deus e N´Ele vi e ouvi -A ponta da lança como chama que se desprende, toca o eixo da terra, – Ela estremece: montanhas, cidades, vilas e aldeias com os seus moradores são sepultados. - O mar, os rios e as nuvens saem dos seus limites, transbordam, inundam e arrastam consigo num redemoinho, moradias e gente em número que não se pode contar , é a purificação do mundo pelo pecado em que se mergulha. - O ódio, a ambição provocam a guerra destruidora! - Depois senti no palpitar acelerado do coração e no meu espírito o eco duma voz suave que dizia: – No tempo, uma só Fé, um só Batismo, uma só Igreja, Santa, Católica, Apostólica: - Na eternidade, o Céu! (escreve a irmã Lúcia a 3 de janeiro de 1944, em "O Meu Caminho," I, p. 158 – 160 – Carmelo de Coimbra)
domingo, 6 de outubro de 2019
DIVO BARSOTTI L’ATTESA Diario: 1973 – 1975
DIVO BARSOTTI
L’ATTESA
Diario: 1973 – 1975
Introduzione
di Pietro Zovatto
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© EDIZIONI SAN PAOLO s.r.l., 2014
Piazza Soncino, 5 – 20092 Cinisello Balsamo (Milano)
www.edizionisanpaolo.it
Distribuzione: Diffusione San Paolo s.r.l.
Piazza Soncino, 5 – 20092 Cinisello Balsamo (Milano)
ISBN 978-88-215-9182-2
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NOTA DEI CURATORI
Questa seconda edizione del diario L’attesa, pubblicata diciannove anni dopo la prima edizione della SEI (1995), è frutto di
un attento lavoro di revisione del testo sul manoscritto originale,
realizzato da Stefano Albertazzi, Ireneo Mesti e Agostino Ziino.
Sono stati corretti fraintendimenti più o meno vistosi nella lettura, causati in buona parte dalla difficoltà di interpretare la
scrittura di Barsotti, e sono state aggiunte parole mancanti nella
prima edizione in quanto non facilmente decifrabili.
Si è rimasti fedeli alla scelta operata allora da don Divo
nell’escludere dalla pubblicazione o nel modificare rispetto al
manoscritto alcune sezioni del testo relative a sue considerazioni
personali su eventi e persone.
È stata infine rivista la punteggiatura del testo, al fine di renderne più scorrevole la lettura.
Nell’Introduzione di Pietro Zovatto, scritta quando ancora
Divo Barsotti era in vita, sono stati apportati, in parentesi, alcuni aggiornamenti redazionali relativi alla bibliografia, richiesti
dallo stesso autore.
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INTRODUZIONE
[1995]
Non è facile avviare il lettore alla meditazione e ancor più
propriamente alla elevazione di così alta densità spirituale quale appaiono i Diari di Divo Barsotti, che vive a Settignano nella Comunità dei figli di Dio, da lui fondata[1]. Teologo spirituale, scrittore mistico, agiografo di notevole talento, di prestigio
europeo, presenta un suo itinerario che sfugge le aride astrattezze di una teologia speculativa, ove la ragione non si annienta davanti a Dio, ma lo rende «oggetto» di sillogismi raffinati
di «pura razionalità», senza la testimonianza vissuta dell’esperienza cristiana. Egli prende pure le distanze da una teologia
del sociale, che oltre a nutrire il rischio di squalificare Dio al
ruolo di «oggetto d’indagine» cerca i vantaggi del Dio per noi
nel processo della evoluzione sociale. Questa disciplina sociale
si muove nel segno delle apparenze senza poter penetrare all’interno dell’uomo che vive di pura fede e che cerca Dio solo in
un universo totalmente mistico.
La teologia di Divo Barsotti si colloca al centro di una testimonianza di vita che ha penetrato fino in fondo il magistero
[1] Su Divo Barsotti è fondamentale AA.VV., Cerco Dio solo. Omaggio a Divo Barsotti a cura di S. Tognetti, P. Guarnieri, L. Russo, Settignano (FI) 1994, di cui raccomando
l’intervento di apertura di H. U. von Balthasar, di E. Grasso e per i Diari quello di
G. Mazzanti. Buono è il saggio di E. Grasso, Fondamenti di una spiritualità missionaria
secondo le opere di Don Divo Barsotti, Roma 1986. [Sui diari cfr. anche S. Albertazzi,
Sull’orlo di un duplice abisso. Teologia e spiritualità monastica nei diari di Divo Barsotti,
San Paolo Edizioni, Cinisello Balsamo (MI) 2009].
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mistico di Newman: «Io e il mio Dio»[2]. Questo essenziale
rapporto delinea in termini fondanti un itinerario dell’io che si
trascende in Dio e da Dio passa all’io senza determinare un
gioco dialettico di un sistema filosofico platonizzante, ma sigilla la pregnanza di vita divina nell’uomo assetato dell’Uno. Egli
già scriveva in un precedente diario (1992), La presenza donata
(1979 – 1980) (4.1.1980): «Tutta la vita è solo rapporto col
Cristo ed Egli è la sola Realtà». Cristo assume quindi ne L’attesa la statura di centro, di Assoluto, di Trascendente incondizionato, egli è «la mèta», non «la via»; contiene in sé la ragione
di fine aristotelico-tomistica, e non può essere abbassato a ragione di mezzo. Cristo si delinea come il «Tutto» e il «Tutto è
l’Unità del Cristo, il Christus Totus» (27.6.1973).
Cristo è Dio ed esiste un’unica via per giungere all’Amore:
l’amore. «Dio è trascendenza infinita e immanenza assoluta; tu
discendi nell’umiltà, tu sali nella preghiera, il termine è Lui e
in Lui per l’umiltà, tu riposi e hai pace» (28.6.1973).
Per giungere a Dio, per realizzare la prima unione con Lui
è necessario passare per il deserto del nulla – vedere «sprofondare la Chiesa nel vuoto», sopportare il «silenzio di Dio», portare «il male del mondo» – ma soprattutto fare il vuoto nell’uomo con le sue passioni devastanti.
La frantumazione del deteriore dell’uomo impegna l’anima
in una vigorosa battaglia interiore di carattere ascetico la quale più che consistere in atti positivi capaci di controllare e sradicare i vizi si precisa come un’apertura a Dio e alla sua grazia.
Siffatta grazia divina nel suo irrompere nell’uomo non sopporta ostacoli di sorta. «Ogni sua grazia deve distruggermi», deve
«consumare tutto l’umano»: «Strapparsi a se stessi». Sul confronto tra Dio e l’uomo si instaura una dialettica d’antagonismo
[2] D. Barsotti, Itinerario dell’anima a Dio, Vicenza 1963; sulla vasta letteratura intorno a Newman, oltre H. Bremond, L. Bouver, M. Nédoncelle, vedi: J. Honoré, Presence
au monde et parole de Dieu, la catéchèse de Newman, Paris 1969 e ancor più idem,
Itinéraire spirituel de Newman, Paris 1964.
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secondo cui l’uomo deve essere davanti a Dio nella condizione
di «nudità», di «vuoto», di pura attitudine ricettiva. «Non essere nulla, questa è la condizione necessaria per riprendere.
Dio non sarà mai Dio per te finché tu sei qualcosa o vuoi essere qualcosa» (23.6.1973).
Di qui consegue coerentemente che nel ventaglio delle discipline ideologiche religiose si dà un’univoca prospettiva soteriologica per l’uomo: «Nessuna mistica e nessuna metafisica
che non sia il mistero di Cristo». Barsotti si comprende solo
in un universo mistico il cui centro è Cristo. Il peccato dell’uomo consiste nel ritenersi indipendente, nel credere di rivestire
un significato, di essere un quid assiologico. Per Barsotti ha
valore esaustivo un principio trascendente di natura teistica
(che è insieme teandrica): «Dio non è che Dio; Dio non può
volere che Dio», perché Dio è la definizione di se stesso e
gioca sempre in casa. «La presenza di Dio è amore, l’agàpe.
Un puro effondersi, un dilatarsi sino agli estremi confini» con
la conseguenza «che nulla più sia fuori di te!», perché al di
fuori di Dio l’uomo si dissolve nel nulla. È col «fuoco che ti
brucia, ti distrugge, che Dio si fa presente. La presenza di Dio
è la passione dei santi». «La presenza di Dio è la tua morte.
Essere cristiani è come credere al “Consummatum est” e cadere nell’abisso della morte». «La morte è la solitudine
dell’uomo», è «il piccolo resto», è «il silenzio di Dio»; l’apparenza del vinto e «dell’assurdo». Solo tramite questa trasformazione l’uomo può raggiungere l’ultima perfezione «che è
quella di essere “un Dio secondo”, Dio per grazia» (dall’11.6
al 12.10.1973).
Questo radicalismo mistico secondo cui «la presenza di Dio»
entra sovrana nella dimensione interiore dell’anima, esige una
«pura umiltà», una «pura trasparenza» davanti alle prerogative
assolute di Dio che è Tutto ed esige tutto dalla creatura. Divo
Barsotti dopo aver impostato il problema mistico dell’itinerario
dell’anima a Dio ricupera la mortificazione della tradizione
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classica, fatta di restrizioni nel mangiare, di moderazione nel
bere, ma soprattutto in una parola chiave per chi si dedica con
integralità a Dio, «il silenzio», e con il silenzio «l’unità» e «la
pace» della persona con se stessa.
Tutto questo lavoro ascetico sulle smagliature dell’io comporta una specie di autodistruzione nel superamento di sé, di
trascendimento dell’«ego», di morte degli egocentrismi riaffioranti che compongono ogni umana esistenza, volta naturalmente alla affermazione di sé, sopra tutto e sopra tutti, con una
aspirazione illimitata.
La fede è l’unico «cammino che ci porta nel centro», essa
ha il ruolo di inserire nella «Realtà», e si configura conseguentemente come «plenitudine e unità». La fede possiede la capacità di inserire nel reale il cristianesimo che è la più violenta
«passione» donata da Dio all’uomo, come viene indicato dal
«padre della fede (che) è soltanto Abramo» (5.7.1973).
L’impegno alla santità che si opera nello svuotamento di sé
consiste nel prendere consapevolezza del primato geloso di Dio
nello spirito interiore dell’uomo. La santità richiede un perseverante e diuturno impegno personale. L’uomo della modernità abdica a questo imperativo categorico della sua perfezione
e trova più comodo scaricare sullo stato, sul partito e sulla
Chiesa ogni personale responsabilità. Al potere vengono riconosciuti i caratteri della divinità, fino a sacralizzarlo, pur di
eludere l’individuale corresponsabilità di ogni persona nelle
cose dello spirito.
Una affermazione così accentuata del coinvolgimento personale alla santità mira al rinnovamento radicale del profondo
essere dell’uomo. La fede si mantiene difendendosi dall’assedio
di ogni idolo, perché essa possiede l’ultima esigenza di trascendere ogni tempo, ogni situazione, ogni creatura. In questa interiore tensione essa provoca senso di vuoto, sentimento di
desolazione, una «attesa senza fine» che finisce solo con la
morte.
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«Stanchezza infinita di tutto», «nausea» di vivere sono le
componenti psicologiche e gli stati d’animo che accompagnano
l’uomo mistico[3].
Più che suggestionato Divo Barsotti è folgorato dalla esperienza della santità che nella Chiesa ha esibito le espressioni più
prestigiose, basti pensare a S. Caterina, a S. Teresa, a S. Giovanni della Croce, S. Veronica Giuliani, B. Maria Maddalena Martinengo, S. Antonio eremita e S. Serafino di Sarov ecc., ma anche
più umili espressioni come S. Teresa di Gesù Bambino, S. Gemma Galgani e Madre Speranza. Questa tradizione di alta santità
paradigmatica si definisce sempre come un entrare nel mistero
di Dio, un accettare volontariamente di essere nel «gioco di Dio»
sulla propria «carne» mortale, fino all’olocausto della morte che
è trionfo della luce di Dio, portale mistico alla Realtà duratura.
E «santi» viventi che hanno destato il suo stupore sono due
eminenti personalità ecclesiastiche, Giovanni XXIII «immagine della bontà» ed il card. Elia Dalla Costa. I santi formano
delle costellazioni che tra loro differiscono nel cielo della Chiesa come splendida stella da un’altra stella più splendida. In
Barsotti essi rivivono come «le grandi anime del passato», perché le rivisitazioni biografiche non finiscono in una intellettuale ricostruzione erudita, ma sono trasmissioni di vissuto vitale
di grazia, il privilegiato “luogo di Dio”. Ogni santo[4] diventa
«soggetto» di Dio, nel quale «Egli vive ed è». La sua comunione con i grandi santi non gli impedisce di mettersi in ascolto
anche dei grandi peccatori: Shakespeare, Goethe, Hölderlin,
[3] D. Barsotti, Per l’acqua e per il fuoco. Gli esercizi al papa, Treviso 1994, p. 88. [4] Su Barsotti agiografo e agiografia intesa come commentario spirituale alla S. Scrittura, si veda D. Barsotti, La parola e lo spirito. Saggio sull’esegesi spirituale, Milano 1971;
e in AA.VV., Cerco Dio solo, op. cit., gli interventi di B. Calati, Mistagogia e agiografia,
pp. 299-313; Giovanna della Croce, Divo Barsotti e i grandi santi del Carmelo, pp. 315-
331; A. Cattari, Don Divo Barsotti e l’Istituto delle Figlie della Carità Canossiane, pp.
333-342. Per la bibliografia barsottiana sui santi, ibidem, pp. 362-365. Sui santi mi limito a segnalare di Barsotti: Nella comunione dei santi, Milano 1970; Magistero di santi,
Roma 1971; La teologia di San Giovanni della Croce, Milano 1988; Elogio della santità
cristiana, Treviso 1990.
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Dostoevskij, Hardy, Strindberg per assumere il travaglio di
ognuno. Sotto questo profilo, come ogni uomo benefica del
bene di tutti, nell’ontologico dinamismo del corpo mistico, così il cristiano deve portare i peccati del mondo. Anche la lettura di un libro ateo, di un autore come Nietzsche, il più originale e fascinoso dei maestri del sospetto, può diventare corroborante per lo spirito, perché stimola «un richiamo all’atto di
fede», più di quanto non riesca qualche teologo con la sua
«sicurezza tranquilla». L’esito di questo filosofo non ha altro
sbocco che il fallimento della vita, perché negando Dio si sottrae il fondamento al vero, al giusto, al bene aprendo le porte
all’assurdo prima ancora che al nichilismo.
L’attenzione puntata all’Assoluto non può sopportare di assumere altra finalità che non sia Dio; per questo gli uomini
«vogliono servirsi di te, non ti chiedono che tu debba servire
Dio» (12.8.1973). Proprio «l’efficacia storica», l’istanza sociale,
l’efficientismo del benessere voltano le spalle a Dio. Divo Barsotti ha sempre guardato con diffidenza il mondo (contemptus
mundi), tutto quanto appare realizzazione storica, frutto d’industria mondana, perché contro di esso ha già messo in guardia
e combattuto S. Giovanni, l’autore del quarto vangelo.
La trascendenza di Dio avvia l’uomo alla trasformazione in
Dio (che ha la premessa nella incruenta distruzione dell’io) che
è sempre dovuta alla virtualità ontologica della presenza divina.
In questa presenza che diventa «fuoco» e «morte» si genera
una particolare situazione in cui «l’immanenza di Dio nell’uomo suppone nell’uomo il trascendimento infinito di se stesso.
E la conoscenza di Dio implica la fede pura, l’amore di Dio la
tua morte» (22.8.1973). In Dio si genera la mistica trasformazione: «Il mio io sei Tu».
La morte biologica dell’uomo non è il risultato di una finitudine specifica della natura umana, ma coincide con l’evento
tramite il quale si apre la visione diretta del divino; la morte
diventa rivelazione diretta di Dio.
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E con i segni che sono sparsi nella storia l’uomo è in permanenza sospinto alla «attesa di un compimento»: questa attesa
è sempre attuale «mentre il compimento è sempre rinviato».
Questa lunga, interminabile attesa provoca una tensione interiore che non riesce a comporsi in unità, perché i sentimenti, i
pensieri non portano in nessun luogo. «Dispersione, ma senza
angoscia. Sembra che l’anima sia altrove». Come nel precedente diario (1994) Per l’acqua e per il fuoco. Gli esercizi al papa,
nelle prime pagine Barsotti prova angoscia per la Comunità dei
figli di Dio di S. Sergio (Settignano, presso Firenze), perché
non ancora consolidata nella sua struttura, perché non sa se
avrà continuità storica; ma la sua fiducia in Dio va al di là di
ogni possibile scacco, perché ha la consapevolezza «di essersi
donato». E La presenza donata (l’altro suo Diario), delinea il
gioco del dono Dio-uomo, perché al Dio che si dona corrisponde un io che si è donato nell’asse della presenza che è sempre
gratuita, «donata» dalla liberalità divina.
Il mondo che ci circonda, tutti gli accadimenti che formano
«la storia» non possono assurgere allo statuto ontologico, non
sono che false apparenze, peccato destinato alla menzogna. «La
storia non è la realtà, al massimo è la maschera della realtà…
il mondo vero è Dio ed è solo in Lui che tu puoi conoscere gli
uomini» (18.9.1973). L’unico universo vero è il paesaggio di
Dio, ma «Dio è il nome del silenzio». Questo Dio si colloca
realmente nella natura segreta delle cose: «al fondo delle cose,
è Dio». E il cristianesimo stesso appare al Barsotti una menzogna se assicura solo una morale o una dimensione sociale agli
uomini, perché il cristianesimo è luogo della presenza di Dio,
è forma mistica che modifica le profonde radici dell’io. Abbassare la Chiesa al sociale è unirsi in alleanza agli atei e combattere dall’interno la compagine stessa della Chiesa. Anche l’introduzione del divorzio nella legislazione italiana (1974), passato con il sessanta per cento delle adesioni, non lo rende
«scontento», perché il delicato problema non è stato imposta001_272_L'ATTESA.indd 13 20/02/14 14:01
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to come una «prova di coscienza morale, ma una presa di potere». Per Barsotti «solo la presenza di Dio nei suoi santi farà
rivivere» la Chiesa, non tecniche di potere. Per il teologo mistico ogni attività diventa periferica, ogni strategia inefficiente,
qualora ignori Dio. Un impegno per la vita sociale dev’essere
vivificato dal rapporto con Dio. Anche Giorgio La Pira che
cercava conforto in Divo Barsotti si trovava sospinto solo nella
esperienza del divino, al «porro unum» dell’Assoluto che non
concede transazioni alle realtà terrene.
Proprio Giorgio La Pira[5] (1904-1977) ha individuato una
dimensione, quella politica – la più refrattaria alla Presenza –
ove il divino è ricercato e adombrato, poiché «il deputato di
Dio» concepisce la politica «scienza architettonica della polis»,
che coinvolge ogni persona di buona volontà, unendola ad una
visione mistica e messianica. Personalmente era impegnato a
vivere «il secolo» nella prospettiva dei voti del celibato, della
povertà, della obbedienza. Divo Barsotti sembra scommettere
tutto e solo sulla vita del consacrato a Dio nella via classica
monastica, e del solo itinerario possibile al divino compreso
entro i termini dell’io e di Dio, tutto il resto fa parte «dell’attività dispersiva» e della «periferia».
Sotto il profilo culturale il Barsotti spazia dalla Sacra Scrittura alla patristica, dal mistero liturgico ai grandi della letteratura. Si rivela un fine intenditore dei più rappresentativi scrittori di valore mondiale specialmente russi (Tolstoj, Dostoevskij)
perché portatori in positivo o in negativo di messaggi umani di
portata universale, o perché espressero esigenze in modo distorto sotto forma di grandi peccatori[6]. Alessandro Manzoni intes-
[5] Si veda, oltre L’Attesa, D. Barsotti, Testimonianza, in La Pira oggi (Atti del II
Convegno di studi sul messaggio di Giorgio La Pira nella presente epoca storica, Firenze 4-7 novembre 1981), Firenze 1983, pp. 125-129. E. Grasso, L’esperienza di Don Divo
Barsotti attraverso la lettura dei diari, in AA.VV., Cerco Dio solo cit., p. 45, n. 167.
Sulla politica mistica lapiriana: P. Vanzan, Giorgio La Pira: «Ambasciatore di Cristo»,
in «La Civiltà Cattolica» IV, 1994, pp. 552-566. [6] Su letteratura e cristianesimo Barsotti ha scritto numerosi saggi in riviste come
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se I Promessi Sposi di un pervadente afflato religioso, ma questa
religione non imbocca la strada del Dio personale, nella icona
di Gesù Cristo, ma quella dei moralisti francesi fissata nella
ideologia della religione-etica, salvaguardia dei poveri e difesa
dei deboli. Il Dio manzoniano è sempre vicino con «la presenza pura» di una Provvidenza amorevole, ma non possiede mai
la concretezza di un volto, «è un Dio che ancora non parla».
Anche Montale crede in un dio, ma nel dio di questo mondo,
«per questo la sua poesia è apocalittica e religiosa» e pensa che
scomparendo il mondo perirà anche il cristianesimo. In realtà
morranno coloro che non credono alla verità che è data da «Io
sono di Dio» e dalla «Presenza immacolata di Cristo».
Anche il Concilio Vaticano II[7], e più precisamente nella
costituzione Gaudium et spes, non sfugge all’ambiguità nel determinare il rapporto chiesa-mondo e si lascia sfuggire un’occasione unica, quella di porre la Croce al centro della assise
conciliare. Forse i padri conciliari opinavano di non prendere
di petto l’orientamento prevalente del «processo della storia»
in corso verso la mondanità, mentre proprio questo «ipostatizzare la vita del mondo» (20.7.1974) è come legittimare il rifugio
dell’uomo in un luogo dove non si trova che l’assenza di Dio,
nella «vanità di ogni valore creato».
L’uomo, questo «sradicato» di fronte a Dio, è pur sempre
un angelo decaduto, il «sacramento vivo, il sacramento unico,
eterno della sua presenza», ma solo «il santo è la sua presenza
reale». L’uomo «è pura condizione alla Presenza» di Dio, un
non essere di fronte all’Essere che si fa capace del divino apren-
«Città di vita» su Italo Svevo (1967); Pirandello (1967); Pavese (1968); Palazzeschi (1968)
[questi saggi sono stati ripubblicati nel volume curato da S. Albertazzi: D. Barsotti,
Dire Dio raccontando l’uomo, Fede e dissacrazione nella letteratura italiana del ‘900,
Rubbettino Editore, Catanzaro 2013, con prefazione di M. Naro]. Notevole è la monografia sul poeta di Recanati: La religione di Giacomo Leopardi, Brescia 1975 [testo ripubblicato da San Paolo Edizioni nel 2008 con prefazione di M. Naro]. [7] Nel presente diario a più riprese si tocca il tema conciliare; sull’assise ecumenica
egli aveva già scritto un volume: Dopo il Concilio. Crisi nella Chiesa?, Padova 1970.
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dosi al celeste visitatore che a lui si fa incontro nella grazia
della Presenza. Lo Spirito Santo sempre ha assistito la sua Chiesa, e il Concilio Vaticano II nel cambiare tutto, a cominciare
dalla pietas con il «culturismo liturgico», fa quasi un atto di
accusa allo Spirito Santo che fino agli anni Sessanta non avrebbe assistito la sua Chiesa in modo adeguato.
Il diario termina con un soggiorno (luglio 1975) di Barsotti
a Cortina d’Ampezzo nell’offrirsi dei suoi monti «pallidi», ove
«sentirsi assorbiti da quel silenzio infinito» è come avvertire
l’esperienza dello stupore puro di fronte al creato fattosi spettacolo. Qui il cristianesimo scopre «la grandezza assoluta
dell’uomo» e il suo esser «solidale con tutti», ma ancor più «la
vita contemplativa». Sull’impareggiabile scenario rupestre del
monte Cristallo le tensioni mistiche si stemperano in una tranquilla possessione di Dio, mentre la natura sublime della valle
ampezzana rivela l’unico mistero di Dio al diverso mistero
dell’uomo. E il tormentato itinerario mistico di Barsotti sembra
finalmente acquietarsi nel «riposo e gioia dello spirito e del
corpo, di tutto l’uomo».
Questo diario rispetto a tutti gli altri (L’Attesa è il quindicesimo) penetra con sondaggi psicologici e riflessioni teologicospirituali la drammaticità del mistero dell’uomo, di quell’uomo
mistico che non registra una traiettoria omogenea di ascesa al
Dio trascendente, ma trova lungo questo itinerario lo scoramento, le crisi e gli slanci che lo riportano alla contemplazione
della Presenza di Dio, sperimentato nel suo più profondo essere. Il tema della morte, della presenza, del male nella gerarchia ecclesiastica, della santità, o la vicenda epica della chiesa
che celebra il Concilio Vaticano II, trovano in questo diario
una inquadratura «organica», non sistematica, al di là del dettato presentato sotto forma di frammento e delle intuizioni
offerte al lettore, perché tutto questo complesso organismo
viene elevato ad una visione di fede pura. Anche se certi appunti sembrano graffiare qualche personalità ecclesiastica, con
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un supplemento di fede Barsotti ricupera subito dopo una dimensione di saggezza cristiana, che compone ogni contrapposizione degli opposti nella visione di un nesso teandrico che
rimanda al Padre[8].
Anche se L’Attesa non va annoverata tra le opere teologiche
di Barsotti, alcune delle quali restano giustamente fondamentali – come Il mistero cristiano nell’anno liturgico (1950) – ma
va considerata più opportunamente come una esperienza spirituale sotto forma di diario, essa sottende un pensiero teologico preciso, come su un altro piano lo Zibaldone del Leopardi.
Sono intuizioni, sentimenti mistici, rilievi sul quotidiano, giudizi talvolta crudi e critici, con cui egli vede la fugace vicenda
del mondo e anche della chiesa, che restano immagini, perché
metafore della Realtà assoluta che è sempre e solo Dio. Si tratta quindi di un documento autobiografico, di una testimonianza palpitante di vita interiore, di uno stile esperienziale ove si
avverte un certo platonismo. Al di là delle scarne influenze
letterarie c’è il flusso di una esistenza tesa nel travaglio del ritorno all’Uno, a Dio, solo evento significativo che si rivela nella morte.
La drammaticità viene spesso sfumata nel sobrio lirismo del
respiro poetico, mentre numerose elevazioni teologico-mistiche
prendono il tono pregnante della preghiera mormorata nella
solitudine dell’io che non si sente schiacciato dal «cercare Dio
solo», per quel filo della figliolanza divina che ci sospinge a
chiamarlo Padre.
Pietro Zovatto
[8] Un primo breve profilo su Barsotti si può trovare in G. Penco, Storia della Chiesa
in Italia nell’età contemporanea, II (1945 – 1965), Verso il Concilio Vaticano II, Milano
1986, pp. 274-275; 331-339. Si veda pure F. Castelli, Divo Barsotti. «Come vorrei che la
parola fosse fuoco», in “La Civiltà Cattolica” II, 1994, pp. 260-263 [P. Zovatto (a cura
di), Storia della Spiritualità italiana, Roma 2002, pp. 698-701; S. Tognetti, Divo Barsotti.
Il sacerdote, il mistico, il padre, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2012].
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1973
16 giugno
Fui ieri dalla Elisa. Com’è terribile la vecchiaia! La vita si
riduce a qualche brandello di coscienza. Tutto si impoverisce
e si perde.
Un senso di sgomento e di paura e nello stesso tempo di
stanchezza, di abbandono triste alla sconfitta.
Solo una vita religiosa autentica e viva può conservare alla
vecchiaia la serenità, la luce di una gioia dolce e pacifica.
Rimanere in perfetta tranquillità. Non la stoica atarassia e
impassibilità di fronte alla rovina del mondo, ma la sicurezza
che l’umanità e il mondo sono nelle mani di Dio. Nessuna sia
pur grande distruzione può compromettere il compimento della sua Volontà; nessuna rovina può sottrarre l’uomo alla sua
onnipotenza d’amore.
Umanamente non c’è mai speranza, ma oggi sembra certa la
fine. E tuttavia la inevitabilità della fine non può farti dimenticare la libertà infinita di Dio.
La vita del cristiano è sempre la stessa. Dio non ti sottrae ad
alcuna difficoltà, ad alcuna prova; Dio sembra abbandonarti
alla forza di distruzione del male: se Egli vive in te, è il male
che viene distrutto.
Non ti dispensa da alcuna tribolazione, non ti risparmia alcuna pena, non ti difende da alcuna persecuzione, da alcun
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tradimento, da alcun abbandono, ma nella tua pena, nell’abbandono di tutti, nel silenzio di una vita che sembra affondare
nel nulla, Egli è con te. La sua presenza cancella tutto, vanifica
tutto. Se non fosse così, Egli non sarebbe più Dio.
E solo così Egli può essere Dio per te, non in quanto si
misura con la potenza del male, ma in quanto lo ignora. Per
questo Egli sembra lasciare ogni libertà alla potenza del male,
ma il male in realtà non lo raggiunge, e nella misura che lo
raggiunge si disfà. Ogni male: il male fisico, come il male morale.
Solo Dio può permettere il male e, in quanto lo permette,
lo vince; se non lo permettesse, non sarebbe vinto.
Bisogna che ogni strada sia chiusa perché tu possa camminare con Lui, perché Egli possa portarti.
17 giugno
Verona.
Nulla mi pesa più che parlare, e non faccio altro. Siamo ripetitori della Parola e ci sentiamo condannati da quello che
predichiamo; ma forse proprio per questo possiamo e dobbiamo parlare.
Dio ci usa come vuole, per quello che vuole. Qualunque sia
il nostro servizio, è sempre Lui che vive in noi; a noi chiede
solo un consenso che spesso è soltanto rassegnato e senza gioia. E anche questo può esser bene.
18 giugno
Sono assolutamente vuoto.
Ogni volta che inizio un corso di esercizi è sempre così; è
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come se dovessi affrontare una condanna, è come se mi dovessi esporre da me stesso al compatimento, allo scherno.
19 giugno
I motivi di credibilità che fanno razionale il tuo atto di fede
consistono sempre più nell’esigenza che questa fede ti impone
di trascendere via via ogni tuo pensiero, ogni tua sicurezza, ogni
speranza umana.
La rivelazione sembra dimostrarsi vera precisamente nel
sacrificio che ti impone di superare ogni tua attesa e visione.
Proprio per questo è lo sprofondare della Chiesa nel vuoto, il
silenzio di Dio, il male del mondo, il segno vero della sua Presenza.
La visione di Dio e il suo sacramento non è forse Gesù Crocifisso?
Come tutto questo diviene ogni giorno più vero! Non il
male in quanto si oppone a Lui, ma il male in quanto Egli lo
assume; non il silenzio in quanto lo nega, ma il silenzio in quanto lo esprime.
Ma rimane silenzio e solo per colui che ha la fede proprio il
silenzio è la sua Parola; rimane il male e solo per colui che ha
fede il male è segno della sua Presenza; rimane il vuoto, il fallimento, la morte e solo per colui che ha fede sono il segno e il
sacramento della sua Gloria, della sua Potenza, della sua Vita.
20 giugno
Veramente la funzione esteriore non vale se non in quanto
stimola l’uomo, nel più profondo l’unione col Cristo ci fa partecipi della sua santità e della sua missione nella misura della
carità che possediamo. Così tu devi sentire, perché devi essere
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INDICE
Introduzione, di Pietro Zovatto pag. 7
1973 » 19
Giugno » 19
Luglio » 30
Agosto » 48
Settembre » 62
Ottobre » 77
Novembre » 83
Dicembre » 90
1974 » 97
Gennaio » 97
Febbraio » 105
Marzo » 113
Aprile » 122
Maggio » 132
Giugno » 137
Luglio » 147
Agosto » 155
Settembre » 158
Ottobre » 172
Novembre » 182
Dicembre » 185
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1975 pag. 191
Gennaio » 191
Febbraio » 197
Marzo » 204
Aprile » 215
Maggio » 224
Giugno » 235
Luglio