domingo, 6 de outubro de 2019

DON DIVO BARSOTTI: COME L'HO CONOSCIUTO/2




È stato detto che il mondo in cui viviamo è un mondo privo di vita spirituale, Lui era un vero maestro di vita soprannaturale. Lo è stato sempre, anche nei momenti difficili, nel periodo delle novità del ‘68 quando si proponeva una ecclesiologia sociale e la trasformazione della  società attraverso la giustizia. Lui ha sempre sostenuto che il vero e unico salvatore dell'uomo è Cristo e che la salvezza della società avviene attraverso l'inserimento dell'uomo in Cristo. Con la sua fede cristallina e chiara ha fatto tanto del bene, ha salvato tanti preti che facevamo riferimento a Lui e a Giorgio La Pira. In quei tempi ha restituito il coraggio di parlare del primato di Dio, della dimensione religiosa della fede, dell'assoluta necessità della preghiera. I mistici erano i suoi grandi maestri e la somma esperienza umana era l'esperienza di Dio. "I cristiani di domani o saranno dei mistici o non saranno cristiani"  scriveva Rahner –, e il nostro ne era profondamente convinto. Non aveva fatto studi accademici ma aveva una cultura straordinaria e riconosciuta anche da persone dal palato fine. Ricordo, a questo proposito, il Padre Alonso Schökel SJ, docente del P. Istituto Biblico, che rientrato dai suoi esercizi annuali mi raccontò di averli fatti sul libro di Barsotti "La Rivelazione dell'Amore" e che lo aveva trovato straordinario tanto da consigliare l'Editrice AdP di curarne una nuova edizione, cosa che poi avvenne. Se posso osare, penso che la sua specializzazione fosse l'esperienza di Dio. I suoi punti di riferimento erano chiari: la Bibbia, i Padri e la liturgia.
Ha commentato quasi tutti i libri della Bibbia e nei suoi commenti non c'era niente di esegetico ma niente di non vero. I suoi commenti son nati tutti durante la liturgia eucaristica della mattina quando, dopo aver  pregato diverse ore  si alzava poco dopo le tre ogni notte per rimanere in preghiera fino all'Eucarestia –, commentava la prima lettura scelta come lectio continua che i suoi figli diligentemente registravano e pubblicavano per il nutrimento di tutti noi. I suoi erano e sono commenti pregati e si sente bene che riscaldano il cuore, che aiutano l'unione con Dio. In quei libri niente di copiato o di astratto, niente di saccente, sono la parola di Dio metabolizzata dal Padre per i suoi figli.
I Padri erano la sua passione, erano quelli che non avevano separato la teologia dalla preghiera e dalla contemplazione per cui erano i suoi veri maestri. La sua particolare attenzione al mondo orientale era dovuta soprattutto a questo: sono autori veramente spirituali. Infatti, degli autori gli interessava soprattutto la loro esperienza di Dio. Non conosceva soltanto i grandi santi, ma si interessava anche ai più modesti, a quelli di cui, con curiosità, leggeva la biografia su "L'Osservatore Romano" in occasione della loro canonizzazione. Aveva un fiuto particolare, oserei dire un senso spirituale, per riconoscere ciò che veniva da Dio e ciò che era frutto di passione umana o addirittura ostentazione di sé. E allora non faceva sconti a nessuno, era mondanità, e non valeva la pena prenderla in considerazione. Soprattutto se di moda. Non aveva letto soltanto tanti libri, la sua biblioteca ne fa testimonianza, ma anche tante anime, e questo era un elemento centrale della sua cultura. Sentirlo parlare di Candia, di La Pira, del Card. Dalla Costa, di Mons. Facibeni e anche del suo Vescovo Giubbi di cui non condivideva le idee soprattutto politiche, ma "quando entrava in Cattedrale si vedeva che era un uomo di Dio". Aveva una sensibilità particolare per riconoscere la vanità, la ricerca di pubblicità, il mondano che si vestiva di spirituale. Parlando di questa assoluta dimensione soprannaturale della vita, senza concedersi niente che non fosse per Dio o da Dio il Cardinale Biffi mi disse un giorno: "C'è rimasto soltanto Lui". Speriamo di no, ma certamente uomini così son davvero rari.
L'altra fonte insieme alla Bibbia e ai Padri era la liturgia. Basta ricordare "Il mistero cristiano nell'anno liturgico" e "Il mistero cristiano e la Parola di Dio" per capire il nutrimento della sua anima e il pane che ci spezzava. Tutti abbiamo partecipato alla Sua Messa e per esperienza sappiamo cosa traspariva di Lui in quel momento.
Servono maestri, ma sono ascoltati soltanto se sono dei testimoni e don Barsotti lo era. Testimoniava il soprannaturale molto naturalmente. "Era  davvero  naturalmente soprannaturale e soprannaturalmente naturale". Niente pose, niente orpelli, niente atteggiamenti che potessero far pensare ad un santone, come vanno di moda.
Dovessi dire qual era la sua virtù esercitata in grado eroico, non avrei dubbio a dire: la fede. Sentirlo  parlare di fede e della fede pura si sentiva che era nel suo mondo, nei suoi vuoti, nei suoi silenzi, nelle sue sofferenze e sicuramente nelle sue tentazioni in cui il Signore si era fatto incontrare. Sembrava che per il fatto che c'era passato il Padre fosse più facile passarci anche noi, aveva fatto strada. Ci ha comunicato il gusto della fede e l'assoluto dell'esperienza di Dio come la somma esperienza umana. 
Era un mistico e alla mistica orientava più che all'ascetica che era, per Lui, una via alla mistica. Della santità aveva una lettura teologale non moralistica, una santità fatta di fede, di speranza e di carità. Il mistero della Presenza, vivere alla sua Presenza, per diventare segno della sua Presenza. Il mistico è colui che misteriosamente sperimenta ciò in cui crede per cui il suo annuncio è un racconto che acquista una forza straordinaria. "Ciò che abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo della vita, lo annunziamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi" (1Gv 1, 1-3). Quando parlava era evidente che era così e non poteva essere che così: era il testimone. 
Devo dire che qualche volta mi son posto il problema se avesse dei doni particolari di visione, ma non ho mai osato chiederglielo. Mi stupirebbe se uscisse fuori qualche testimonianza del genere, avendolo sempre ritenuto un testimone della pura fede. Lo ha scritto nel suo diario:
"Bisogna che io viva un ideale monastico, anche se l'ideale monastico esige per me la morte... Tu non vedi più nulla non sai più nulla, è un entrare nel buio, un camminare nel buio. E senti che sarà sempre così; un andare avanti senza garanzie, senza approvazioni, senza fretta, perché il cammino è un cammino nel buio, un affondare nel buio. Andare avanti vuol dire in fondo star fermo; fermo in questa tua vita, perché non sei tu che cammini: è questa tua vita che deve portarti".
"Alla fine della vita il Signore mi ha dato la gioia dei figli", mi disse un giorno quando mi complimentavo con Lui nel vedere volti nuovi a Casa San Sergio. "Ma alla fine della vita".
La Comunione con Dio è sempre feconda di grazia, il matrimonio con Cristo non è mai sterile e fu Padre di molti figli. Lo chiamiamo veramente Padre, perché lo è. Su questo argomento penso a don Barsotti con invidia.
Don Barsotti ha soltanto lavorato nelle anime, il suo lavoro resterà per sempre, avrà, come Abramo, diverse generazioni di figli perché ha lavorato sulle anime, non c'è ragione in Lui di una "damnatio  memoriae" ma "memoria eius in benedictione est" e siamo qui a testimoniarlo, siamo tutti quel libro che Lui ha scritto con i caratteri della sua vita e che rappresenta sicuramente il suo biglietto di raccomandazione. Non ha soltanto figli ma anche nipoti e pronipoti. Almeno io gliene ho procurati molti.
Un semplice prete che non ha fatto nessuna carriera ecclesiastica, che ha soprattutto predicato esercizi spirituali, che ha scritto libri di spiritualità e che è vissuto nascosto in una villetta di Settignano potrebbe far pensare ad una visione riduttiva della vita cristiana limitata alle religiose e ai mistici di professione. È vero assolutamente il contrario. La sua proposta è stata per tutti, la santità è per tutti. Si può vivere l'unione con Dio, essere segno della sua presenza nella propria professione, nel mondo, nell'impegno. 
È stato detto che questa è una generazione senza padri ed è per questo che sentiamo la nostalgia di Lui. Senza padri spirituali la Chiesa è un'associazione non una famiglia, i seminari spesso  ahimè  comunità terapeutiche, le comunità religiose senza certezze. I padri non si improvvisano, e devo dire che sono un dono che, come tutti i doni di Dio, ci dobbiamo meritare e preparare.
+  Giuseppe Mani
Arcivescovo emerito di Cagliari

Roma, 15 febbraio 2016
Nel decimo anniversario della morte del Padre