domingo, 6 de outubro de 2019

Don Divo Barsotti in una rara intervista


di Tommaso Romano

Nella primavera del 1991, chi scrive insieme a Pietro Mirabile e Giulio Palumbo – due straordinari amici e poeti spirituali, figli elettivi di San Pio da Pietrelcina con cui vissero spesso a fianco – ci recammo a Settignano, sulle colline di Firenze, a Casa San Sergio fondata da uno dei protagonisti del cattolicesimo novecentesco: Don Divo Barsotti, un grande mistico, autore di pagine sterminate e immense, fondatore della Comunità dei Figli di Dio. Fummo “affidati” al Padre Serafino Tognetti che fu poi il primo superiore della comunità dopo la morte di Don Barsotti (1914-2006), e vivemmo giorni che solo la Parola nello Spirito potrebbe raccontare compiutamente. I lunghi dialoghi e i silenzi intessuti con il Padre, la Santa Messa come autentica adorazione del Sacrificio e della Gloria, i suoi ammaestramenti, risuonano ancora in me. Incontrai successivamente a Palermo, ospite della CFD, il Padre ed anche in quella occasione ebbi forte l’esperienza dell’Incontro con un autentico uomo di Dio. Conservo di Don Divo lettere, giudizi sulle mie opere (specie su “Il Cristo di ogni giorno”) e alcuni brevi testi destinati e pubblicati da Spiritualità & Letteratura, nonché una straordinaria prefazione per una Antologia del Sacro, da me pubblicata. Questi materiali preziosi unitamente a delle considerazioni storiche e spirituali con la narrazione di quelle esperienze di incontro saranno oggetto di un profilo che intendo presto dedicare alla Sua Memoria viva e Santa.

(il testo che segue, curato da me e da Giulio Palumbo, fu pubblicato per la prima volta su Spiritualità & Letteratura nel 1991 ed è stato riproposto nel volume curato da Giovanni Dino sugli Editoriali scritti da Giulio Palumbo (1936-1997) per la nostra rivista che ancora francescanamente continua a pubblicarsi e che furono editi nella collana Ercta della Provincia Regionale di Palermo nel 2006, che allora dirigevo).


La Casa San Sergio a Settignano sorge in una zona verde e di silenzio, ben adatta a quello spirito di riposo e riflessione di cui l’uomo d’oggi e di sempre ha bisogno. Si tratta di una piccola Comunità di dieci persone. In un clima di fraternità e semplicità, essa trascorre le proprie giornate nella preghiera, nel lavoro, nello studio, nella vita comunitaria. Don Barsotti svolge i suoi molteplici impegni nel suo ampio studio. Un grande crocefisso di singolare espressività pende alla parete, posto sotto lo sguardo di chi siede al tavolo di lavoro. Una vastissima biblioteca con volumi di ogni sorta, di spiritualità e di studio, riempie tutt’intorno la stanza. Nella sala del pranzo comune, un ritratto di Mons. Giulio Facibene, una delle personalità che Don Barsotti ha frequentato familiarmente ed ha avuto modo di apprezzare. Niente radio, né televisione. Solo un ritrovare se stessi e tenersi liberi da ogni condizionamento.

D.- Quando e come è nata, Padre, questa accogliente sede della Comunità?
R.- Nel 1955 vi era qualche giovane che aspirava a vivere in Comunità insieme a me. Cercavo una sede idonea. Ero intanto cappellano delle Suore della Calsa a Firenze. Poi rimasi per sei mesi a Monte Senario, nella casetta eremitica di San Filippo Benizi. Successivamente mi venne indicata questa casa attuale e, vistala, feci il compromesso. La casa apparteneva ad una principessa rumena, una pretendente al trono di Romania, cugina di Vladimiro Ghika, di cui è in corso il processo di beatificazione come martire in Romania. Nel sessanta si aprì un’altra Comunità alla “Fornace”presso Pisa. I giovani che qui stavano, affermando di voler fare vita del tutto contemplativa, non condividevano i miei impegni nella predicazione degli Esercizi spirituali, ai quali da parte mia non intendevo rinunziare. Così si separarono da me. E da allora non si sono più mantenuti insieme tra loro. E’ stato un dramma per me, com’è testimoniato nel Diario “L’acqua e la pietra”. Così per vent’anni ho sperimentato la solitudine qui, nella Casa San Sergio. Finché nel 1985 sono venuti questi nuovi giovani, due dei quali, sono già sacerdoti, mentre altri due si preparano a diventarlo. In tutto siamo dieci. Ed altri giovani ancora dovranno venire.
D. - Quindi la consolazione dopo l’amarezza.
R. - Proprio così. Forse l’obbiezione di quei primi giovani, fortemente persuasi da qualcuno tra loro, era un pretesto per distruggere tutto.
D. - Mi pare ci siano anche delle suore nella Comunità.
R. - Sì, esistono due case di Suore, una delle quali e vicina alla nostra.
D. - Che cosa può dire dei suoi venti anni trascorsi qui da solo?
R. - Sono stati anni di studio e di preghiera. Tenevo esercizi spirituali nei monasteri specie presso i Carmelitani.
D. - Lei risolve nella ragione e nella fede i problemi dell’uomo - la morte, la solitudine - che altri non risolvono…
R. - La fede dovrebbe conoscere questa problematica ed avere in sé la capacità di risolverla. Essa
conosce il superamento della solitudine. Il Signore, infatti, è con noi. Lui era presente nei miei vent’anni di solitudine. Mi amava. Così superai la solitudine umana di cui senso a volte mi prendeva. Quanto alla morte, chi veramente crede vive al di là della morte.
D. - La realtà di Dio che ci riempie è un suo atto di fede e una sua conquista personale, come risulta da tutte le sue opere...
R. - La fede è la cosa più miracolosa. L’uomo sa di essere un nulla, un lampo. Ma crede, anzi è
certo, di essere il temine di un Amore infinito. Ecco il miracolo operato delle fede. Certo, è difficile credere. Vincere questo vertiginoso abisso che si apre all’uomo. Difficile perché le cose di
Dio non sono mai facili, ma debbono essere affrontate e superate. Anch’io potrei perdermi se Dio
non mi sostenesse. Infatti, è più facile non credere che credere. E l’uomo spesso sceglie la via più
facile. Anche ciò che insegna l”Islam è facile. “Come fa Dio ad amare l”uomo?”, esso si chiede.
E il più grande mistico musulmano fu martirizzato per aver affermato l'amore di Dio all’uomo. La
morte è il problema fondamentale. Tutto passa attraverso di essa. Anche la storia finisce. Dunque
il problema vero è la fede, che supera la prigionia del tempo. Essa sola ti rivela lo stupore e l'assurdo dell’Infinito che ti conosce e ti ha.
D. – L’eterno opposizione tra cultura e fede da tanti è vista come inevitabile. In quali termini Lei
la risolve?
R. - Per molti c’è opposizione tra cultura e fede perché si teme per la propria autonomia. Ma questo è un falso concetto. La fede infatti non è opposizione. E la natura non può stare senza fede.
D. - Quale il suo pensiero sui momenti storici attuali e sulle profezie, sui fenomeni di “apparizioni” e sui “messaggi”, oggi particolarmente abbondanti nella Chiesa? Quale il futuro che Lei prevede?
R. - Da quando Gesù ascese al cielo, la Chiesa non ha mai conosciuto tanti diretti interventi di Dio. Quindi non c’è abbandono da parte Sua verso di noi, e ciò è assicurato da tanti assidui interventi. Quanto al futuro, molti aspettano un intervento divino. E’ difficile, infatti, pensare come si possa arrivare ad una ripresa, e all’attuale situazione, attraverso le sole vie umane. Tanto tutto è stato sconvolto. E questi interventi divini fanno pensare ad una azione prossima di Dio nel mondo. Come, non sappiamo. Tali segni sono necessari per chi ha poca fede. Medugorje, ad esempio, rivela più del Concilio, attraverso le conversione anche i vescovi devono capire ciò. L”uomo è smarrito. Ed ecco che Cristo dice: «ci sono Io››. Questo è l’apparizione. Necessaria perché oggi non c’è più la testimonianza. Cinquant’anni fa o ancor più di recente c'erano grandi figure in Italia: I Card. Schustrer e Dalla Costa, Don Orione, Padre Pio. Ora è buio. Ecco la necessità di una luce. Che ci dice: Dio è con noi.
D. - Lei scrive in “Cento pensieri sull’amore”: «Il dialogo non crea l’unità, la suppone». Quindi vi è oggi anche nella Chiesa, una eccessiva o errata fiducia nel dialogo, come mezzo capace di avvicinare le tesi e le fedi più opposte.
R. - I dialoghi sono parole. Restano parole. E le divisioni egualmente rimangono. Come si realizza, infatti, l'unità? Forse col rinunciare a Cristo? Ai misteri? o con l’approdare ad una religiosità vaga? Quando saremo uno in Cristo, solo allora sapremo dialogare nella Carità e comprenderci. Solo allora saprem realizzare l’unità.
D. - Quindi solo lo Spirito realizzerà l'unità e l'ecumenismo.
R. - Esattamente. E l'unica via per arrivarci è la preghiera, attraverso la quale Egli solo realizzerà l’unità.                  

(intervista realizzata a San Sergio a Settignano (Firenze), condotta e realizzata insieme a Tommaso
Romano, in occasione di una visita/soggiorno spirituale unitamente a Pietro Mirabile nel 1991)