quinta-feira, 3 de outubro de 2019

Ecco perché Pietro non può fare a meno di Giovanni (rileggendo don Divo Barsotti)


Cari amici di Duc in altum, torniamo oggi sulla riforma degli ordini contemplativi voluta da alcuni recenti documenti emessi dalla Santa Sede. Lo facciamo con un contributo del professor Benedetto Rocchi che, prendendo spunto da una riflessione di don Divo Barsotti, ci aiuta a cogliere  l’importanza dei ruoli diversi assegnati da Gesù a Pietro e a  Giovanni. Una diversità, che è anche complementarità, purtroppo ignorata dalla riforma.
A.M.V.
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Ho seguito con attenzione e malinconia i vari passaggi della riforma degli ordini contemplativi. E molte delle ben ponderate critiche fatte sul blog Duc in altum e altrove mi sono tornate in mente questa estate quando, potendo dedicare un po’ di tempo a letture «libere», mi sono felicemente imbattuto in un bellissimo libro di don Divo Barsotti su Le apparizioni del risorto (Paoline, Cinisello Balsamo, 2005).
Nel capitolo dedicato all’apparizione sul lago di Tiberiade, raccontata nella «seconda conclusione» del Vangelo di Giovanni, c’è infatti molto da meditare sulla complementarità dei due aspetti della vita della Chiesa (quello missionario e quello contemplativo) che la riforma, purtroppo, sembra nei fatti negare.
Don Barsotti fa giustamente notare che il racconto di Giovanni, tanto spesso ricordato soprattutto per il commovente dialogo d’amore tra Gesù e Pietro, si chiude però parlando di Giovanni, quando Pietro chiede a Gesù cosa sarà di lui e Gesù risponde riservando al mistero della sua amorosa volontà il destino del discepolo «che amava»: «Se voglio che egli rimanga finchè io venga, che importa a te? Tu seguimi».
Don Barsotti spiega in modo mirabile come le missioni che il risorto affida a Pietro e a Giovanni rappresentino due modalità irrinunciabili con cui la Chiesa continua la Sua presenza nel mondo. Il capitolo meriterebbe di essere letto integralmente ma di seguito ne riporto alcuni passi essenziali, prima di proporre qualche riflessione conclusiva.
«Ci sembra … importante riconoscere che la prima intenzione dell’evangelista sia stata quella di sottolineare il ruolo diverso di Pietro e di Giovanni nella comunità dei discepoli. A uno il Cristo chiede l’amore, mentre dell’altro si scrive che è amato dal Cristo. In Pietro è messo in evidenza l’amore attivo, mentre di Giovanni l’amore passivo: uno ama, l’altro è amato. Chi ama tuttavia non può non essere amato; e chi è amato ama. Il testo sembra volerci parlare di una stessa pienezza d’amore, ma vissuto in modo diverso … Così nella Chiesa si perpetua … la presenza di un governo affidato ad alcuni uomini e la presenza segreta di altri, che nella loro comunione con Dio esercitano un’efficacia non certamente inferiore a quella del governo. Sono coloro che Gesù ama e, amandoli, li sottrae a una missione visibile e li conserva nel suo segreto.» (p. 121).
«L’amore in San Giovanni ha meno carattere missionario, ma crea la comunità, crea l’intimità, la comunione fraterna. Tutto termina in questa comunione profonda. Non tanto nell’azione apostolica, quanto nel silenzio di una vita contemplativa. Nel discepolo che Gesù ama si rivela non tanto l’amore dell’uomo verso Dio quanto l’amore di Dio verso l’uomo. E Dio nasconde nel suo segreto l’anima che si è scelta. Giovanni è presente ma non parla, non parla negli atti degli Apostoli, non parla quando corre con Pietro al sepolcro vuoto, non parla nell’apparizione in riva al lago. Le ultime parole di Gesù nel quarto Vangelo sono per lui, ma lui non parla. L’unica parola è quella di un’anima contemplativa che vede e subito riconosce: “È il Signore!”.» (pp. 123-124).
«Vediamo dunque nella presenza di Pietro e di Giovanni, con cui termina il quarto Vangelo, i due volti della Chiesa: un volto visibile e un volto invisibile, la Chiesa-comunione e la Chiesa-società. Nella Chiesa-società: Pietro pasce. Nella Chiesa-comunione: Giovanni che rimane … Il vangelo insegna qual è la condizione della Chiesa fino alla seconda venuta. La Chiesa continuerà la missione di Pietro e continuerà la contemplazione di Giovanni.» (pp. 122-124).
Sul lago di Tiberiade, la luce del Risorto illumina le due anime della Chiesa nascente e le parole di don Barsotti ci immergono in modo mirabile nella tenerezza, nell’intimità e allo stesso tempo nella grandezza di questo momento, facendone emergere con forza tutto il significato fondativo. Tra l’altro don Barsotti nota giustamente che l’episodio del lago di Tiberiade viene aggiunto da Giovanni quando Pietro è già morto e Giovanni è ormai l’ultimo degli Apostoli ancora in vita: e questa è la più alta testimonianza a favore del primato di Pietro.
«Pur essendo il discepolo che Gesù amava, è lui che solennemente, a sigillo del suo Vangelo, ci garantisce il primato di Pietro, anzi una funzione di guida su tutta la Chiesa. Egli non la pretende per sè, neppure ora che Pietro è morto, anche se la guida della comunità deve continuare nel tempo finchè il Cristo non “venga”. Egli rimane, ma rimane nel silenzio.» (p. 125).
Alla luce di questa meditazione quanto mi sembra sbagliata la recente riforma degli ordini contemplativi! Li forza ad uscire dal loro silenzio e isolamento, da quel segreto in cui devono “restare” per coinvolgerli sempre più, volenti o nolenti, nella missione attiva. Usare l’autorità di Pietro per snaturare la missione di Giovanni significa mettere in discussione proprio la più alta testimonianza della autorità stessa di Pietro.
È’ la Chiesa-comunione che conferma l’autorità di colui che pasce la Chiesa-società. Quest’ultima è sempre a rischio di diventare una pura istituzione umana se non è allo stesso tempo Chiesa-comunione; e l’autorità di Pietro rischia di trasformare il suo servizio di amore in un semplice esercizio di potere.
Accanto a questa riflessione un po’ amara, questa lettura estiva me ne ha però anche suggerita una più consolante. Mi sono reso infatti conto di quante opportunità ci sono per il laico comune, quello che nella Chiesa non ha altro ruolo che essere discepolo nella vita di tutti i giorni, per essere «colui che rimane», nel corso di un’intera vita, partecipando all’Eucaristia e mostrando ai propri cari che «È il Signore!». Nascosto nel segreto di una vita quotidiana del tutto ordinaria il laico cristiano riceve l’amore di Dio attraverso i gesti di salvezza della Chiesa, che continua la presenza di Gesù nel mondo.
Benedetto Rocchi
Università degli studi di Firenze