domingo, 14 de fevereiro de 2010

L’allora Cardinale Joseph Ratzinger sulla liturgia tradizionale



“Va qui ricordato quanto osservò il Cardinale Newman: nel corso della sua storia la Chiesa non ha
mai abolito o proibito forme ortodosse di liturgia, perché ciò sarebbe estraneo allo spirito stesso
della Chiesa. […]
In molti luoghi persistono e si perpetuano difficoltà perché alcuni vescovi, preti e fedeli considerano
questo attaccamento alla vecchia liturgia come un elemento di divisione che non può non disturbare
la comunità ecclesiale […]. Qual è la ragione profonda di questa sfiducia e del rifiuto di perpetuare
le antiche forme liturgiche? […]
Esaminiamo ora l'altro argomento, quello secondo cui l'esistenza di due riti è un ostacolo all'unità.
Occorre qui distinguere fra l'aspetto teologico e quello pratico. Dal punto di vista teoretico e
fondamentale occorre rendersi conto che sono sempre esistite molte forme del rito latino e che esse
sono gradualmente cadute in disuso in seguito alla maggiore coesione delle culture secolari europee.
Fino al Concilio, a fianco del Rito Romano sono esistiti quello Ambrosiano, quello Mozarabico di
Toledo, quello di Braga, quello di Chartreux, quello dei Certosini, quello dei Domenicani, il più
noto di tutti, e forse altri di cui non ho conoscenza. Nessuno si è mai scandalizzato che i
Domenicani, spesso presenti nelle nostre parrocchie, non celebrassero come i preti secolari ma
seguissero un rito proprio. Non abbiamo mai avuto alcun dubbio che il loro rito fosse cattolico al
pari di quello romano ed eravamo fieri della ricchezza di tante diverse tradizioni. Inoltre si può dire
questo: che viene spesso ampliata la libertà che il nuovo Ordo Missae lascia alla creatività, e che la
differenza fra liturgie che si celebrano secondo i nuovi libri, così come vengono di fatto messe in
pratica e celebrate nei diversi luoghi, è spesso più grande di quella tra l'antica e la nuova liturgia
[…].
Il cristiano medio considera essenziale nella nuova liturgia che essa sia celebrata nella lingua
corrente e rivolti ai fedeli, che sia lasciato ampio spazio alla libera creatività e all'esercizio per i
laici di un ruolo attivo; nella vecchia liturgia al contrario ritiene essenziale che essa sia in latino, che
il sacerdote sia rivolto verso l'altare, che il rito si svolga secondo tutte le prescrizioni e che i fedeli
seguano la Messa in preghiera silenziosa senza alcun ruolo attivo.
[Dobbiamo essere] capaci di persuadere i vescovi che la presenza dell'antica liturgia non turba né
rompe l'unità delle loro diocesi, ma è invece un dono destinato a rafforzare il Corpo di Cristo, del
quale siamo tutti i servitori. Così, miei cari amici, vorrei esortarvi a non perdere la pazienza, a
continuare ad essere fiduciosi e ad attingere dalla liturgia la forza per rendere testimonianza al
Signore in questo nostro tempo. […]
Non è stato il Concilio a riformare i libri liturgici, esso ne ha ordinato la revisione e, a questo fine,
ha fissato alcuni principi fondamentali. In primo luogo il Concilio ha dato una definizione di che
cos'è la liturgia e questa definizione fornisce un metro di giudizio per ogni celebrazione liturgica. Se
si ignorano queste regole essenziali e si accantonano le «normae generales» formulate nei numeri
34-36 della Costituzione De Sacra Liturgia, allora sì che si disubbidisce al Concilio! [...] Cosi il
Concilio ha ordinato una riforma dei libri liturgici, ma non ha proibito i libri precedenti. […] Nella
«Costituzione sulla Sacra Liturgia» non si parla di celebrazione verso l'altare o verso il popolo; in
tema di lingua si dice che il latino deve essere mantenuto pur dando un più ampio spazio al
vernacolo «specialmente nelle letture e nelle monizioni, in alcune preghiere e nei canti» (SL, n. 36,
2). […]
In una parte dei liturgisti moderni c'è purtroppo la tendenza a sviluppare i princìpi del Concilio in
una sola direzione, rovesciando così gli intendimenti stessi del Concilio. [...] C'è poi una pericolosa
tendenza a minimizzare il carattere sacrificale della Messa e ad indurre alla sparizione del mistero e
del sacro con il pretesto - un pretesto asserito imperativo - che in questo modo ci si fa comprendere
meglio. Infine si percepisce la tendenza a frammentare la liturgia, mettendo arbitrariamente in
rilievo il suo carattere comunitario. […] Le diverse comunità che sono sorte grazie al documento
pontificio hanno dato alla Chiesa un gran numero di vocazioni sacerdotali e religiose che con zelo,
in letizia e in stretta unione con il Papa, hanno offerto il loro servizio alla Chiesa in questo nostro
attuale periodo storico”, Joseph RatzingerA dieci anni dal Motu proprioEcclesia Dei, Roma 24
ottobre 1998. Conferenza, tenuta presso l'Hotel Ergife, in occasione delle celebrazioni per i dieci
anni del Motu proprio "Ecclesia Dei", traduzione dall'originale francese tratta dal Notiziario n. 126-
127 di UNA VOCE, Associazione per la salvaguardia della liturgia latino-gregoriana, pp. 4-7.
"Per una retta presa di coscienza in materia liturgica è importante che venga meno l'atteggiamento
di sufficienza per la forma liturgica in vigore fino al 1970. Chi oggi sostiene la continuazione di
questa liturgia o partecipa direttamente a celebrazioni di questa natura, viene messo all'indice; ogni
tolleranza viene meno a questo riguardo. Nella storia non è mai accaduto niente del genere; così è
l'intero passato della Chiesa a essere disprezzato. Come si può confidare nel suo presente se le cose
stanno così? Non capisco nemmeno, ad essere franco, perché tanta soggezione, da parte di molti
confratelli vescovi, nei confronti di questa intolleranza, che pare essere un tributo obbligato allo
spirito dei tempi, e che pare contrastare, senza un motivo comprensibile, il processo di necessaria
riconciliazione all'interno della Chiesa", Joseph Ratzinger, da Dio e il mondo, Edizioni Paoline,
2001, p. 380.
È precisamente quest’«opera di Cristo» il vero contenuto della liturgia […] divenuto estraneo al
pensiero moderno, tanto che trent’anni dopo il concilio anche fra i liturgisti cattolici è oggetto di un
punto interrogativo. Chi parla oggi ancora di “divino sacrificio eucaristico”? Certo, le discussioni
attorno alla nozione di sacrificio sono ridivenute sorprendentemente vive tanto in ambito cattolico
che protestante. […]
Restano ancora vive alcune vecchie posizioni illuministe con i loro pregiudizi verso la magia e il
paganesimi [del sacrificio]. Così poco tempo fa Stefan Orth, in un ampio panorama della
bibliografia recente consacrata al tema del sacrificio, ha creduto di poter concludere la sua ricerca,
con la seguente constatazione: «Oggi infatti molti cattolici sottoscrivono essi stessi la sentenza e le
conclusioni cui pervenne Martin Lutero, per il quale parlare di sacrificio era “il più grande e più
spaventoso abominio” nonché una “maledetta empietà”». […]
Non ho certo bisogno di dire che io non appartengo a questi “numerosi cattolici” che, con Lutero,
considerano come il più spaventoso abominio e una maledetta empietà il fatto che si parli di
sacrificio della Messa. Si capisce dunque perché il redattore [Orth] abbia rinunziato a citare il mio
libro sullo spirito della liturgia, nel quale si analizza nei particolari la nozione di sacrificio. Ma la
sua diagnosi resta tale da sgomentare. È vera? Io non conosco questi numerosi cattolici i quali
ritengono una maledetta empietà l’intendere l’Eucarestia come sacrificio. [Ma certo] una parte non
trascurabile di liturgisti sembra praticamente giunta al risultato di dare sostanzialmente ragione a
Lutero contro [il concilio di] Trento nella disputa del XVI secolo. […] È soltanto partendo da lì,
dalla squalificazione pratica di Trento che si può intendere l’esasperazione che accompagna la lotta
contro la possibilità di celebrare ancora, dopo la riforma liturgica, la Messa secondo il messale del
1962. Questa possibilità rappresenta la più forte contraddizione e perciò la meno tollerabile per
l’opinione che ritiene che la fede nell’Eucarestia formulata da Trento abbia perduto la sua validità
[…].
Il nuovo illuminismo oltrepassa però di gran lunga Lutero: mentre questi prendeva ancora alla
lettera le parole dell’istituzione [eucaristica] e le poneva, come norma normatrice, a fondamento dei
suoi tentativi di riforma, oggi, dopo tanto tempo, le ipotesi formulate dalla critica storica sono sulla
via di provocare un’ampia erosione dei testi stessi. Dietro le parole dell’Ultima Cena, che appaiono
come un prodotto della costruzione liturgica della comunità, si cerca un Gesù storico, il quale
naturalmente non poteva aver pensato al dono del suo corpo e del suo sangue, né aver inteso la sua
crocefissione come sacrificio espiatorio. […] Ritorniamo al nostro quesito fondamentale: è giusto
qualificare l’Eucarestia come Divin Sacrificio o è questa una maledetta empietà? […] La Scrittura e
la Tradizione formano un tutto inseparabile, ed è questo che Lutero […] non ha potuto vedere. [..]
Nella citata rivista bibliografica, Stefan Orth afferma che il fatto che dopo il vaticano II, si sia
evitata la nozione di sacrificio, ha indotto a “pensare il culto divino soprattutto a partire dalla festa
di Pasqua in relazione alle parole dell’Ultima Cena”. […] Ma ciò che soprattutto sorprende nella
formulazione di Orth è l’opposizione che viene introdotta fra l’idea di sacrificio e la Pasqua. […]
Se cito questa strana opposizione fra la Pasqua e il sacrificio, è perché essa rappresenta l’architrave
anche di un libro recentemente pubblicato dalla Fraternità Pio X, nel quale si pretende ch’esista una
rottura dogmatica fra la nuova liturgia di Paolo VI e la tradizione liturgica precedente. La rottura è
vista precisamente nel fatto che s’interpreta ormai tutto, presumibilmente, a partire da questo
«mistero pasquale» invece che come sacrificio redentivo d’espiazione operato da Cristo. La
categoria del «mistero pasquale» sarebbe insomma l’anima della riforma liturgica e questo parrebbe
precisamente la prova della rottura rispetto alla tradizione classica della Chiesa. È chiaro che vi
sono degli autori, i quali prestano il fianco ad un tale malinteso. Ma che si tratti di un malinteso, è
del tutto evidente per chi osservi le cose più da vicino. In effetti l’espressione «mistero pasquale»
rinvia chiaramente ai fatti avvenuti nei giorni che vanno dal Giovedì Santo fino al mattino di Pasqua:
l’Ultima Cena come anticipazione della croce, il dramma del Golgota e la resurrezione del Signore.
Nelle parole «mistero pasquale», tutti questi episodi sono letti sinteticamente come un unico
avvenimento, unitario, come «l’opera di Cristo» così come noi all’inizio abbiamo sentito dire dal
concilio. […]
La teologia della Pasqua è una teologia della Redenzione, una liturgia del sacrificio espiatorio. Il
Pastore è divenuto agnello. L’immagine dell’agnello, che fa la sua apparizione nella storia d’Isacco,
dell’agnello che s’impiglia nei cespugli e che viene offerto in riscatto per il figlio, è divenuta una
verità: il Signore di fa agnello, si lascia legare, sacrificare, per liberarci. […] Tutto questo è
divenuto estremamente estraneo al modo di pensare contemporaneo. […]
Così la crisi della liturgia investe delle concezioni che sono centrali per l’uomo: per superarla, non
basta banalizzare la liturgia e trasformarla in un semplice raduno o in un pasto fraterno. […] Questo
è il sacrificio cristiano: i molti-un solo corpo in Cristo […]. Chi ha inteso questo, non sarà più del
parere che parlare di sacrificio della Messa è per lo meno fortemente ambiguo e anche un
abominevole orrore. […]
La reazione dei Gesù contro i mercanti del tempio era in pratica un attacco contro l’immolazione di
animali ivi presentati, dunque un attacco alla forma esistente di culto, di sacrificio in generale. È per
questo che le autorità giudaiche competenti gli domandano a buon diritto com’egli giustifichi un tal
gesto, che doveva considerarsi equivalente a un attacco alla legge di Mosè e alle sacre prescrizioni
dell’Alleanza. E Gesù risponde “Distruggete (sciogliete) questo tempio; e in tre giorni lo
riedificherò” (Giov. 2, 19). […] Gesù, secondo Giovanni, fu crocifisso esattamente nel momento in
cui gli agnelli pasquali venivano immolati nel tempio. Nel momento in cui il Figlio si costituisce
egli stesso quale agnello, cioè a dire si dona liberamente al Padre e anche a noi, egli pone fine alle
antiche prescrizioni cultuali che non potevano essere che un segno di una realtà autentica. […]
Un sacrificio di lode […] il sacrificio della preghiera non deve essere puramente discorsivo, bensì la
trasmutazione del nostro essere nel logos, l’unione con lui. […] La nostra conformità a Dio […]
ecco cosa significa il «sacrificio della Messa». […] Se il canone romano menziona Abele, Abramo,
Melchisedec, includendo fra di loro coloro che celebrano l’Eucarestia, ciò è nella convinzione che
in essi, nei grandi offerenti, è Cristo che travalica i tempi. […] La teologia della Patristica quale
troviamo nel canone, non nega l’inutilità e l’insufficienza dei sacrifici pre-cristiani; il canone
include del resto, assieme alle figure di Abele e di Melchisedec, anche i “santi pagani”, essi
medesimi entro il mistero di Cristo. […]
Trento non si è ingannato, collocato com’era sulle solide fondamenta della Chiesa. Esso resta un
criterio affidabile. […] Ma questa comprensione rinnovata e approfondita [di Trento] possa, grazie
in particolare alla mediazione delle chiese orientali, rendersi accessibile ai cristiani protestanti. Una
cosa dev’essere chiara: la liturgia non dev’essere un terreno per sperimentare ipotesi teologiche.
Troppo rapidamente in questi ultimi decenni, le concezioni di alcuni periti sono entrate nella pratica
liturgica, aggirando spesso l’autorità ecclesiale, attraverso commissioni che si assicurano la
diffusione di un consenso momentaneo a livello internazionale e di emanare praticamente delle
leggi per l’azione liturgica.
[Invece bisogna] servire colui che è il vero soggetto della liturgia: Gesù Cristo. La liturgia non è
l’espressione della coscienza di una comunità, del resto sparsa e mutevole. Essa è la rivelazione
accolta nella fede e nella preghiera, Joseph Ratzinger, da La teologia della liturgia, Abbazia di
Fontgombault, 22-24 luglio 2001.
Oggi sembra assurda una “celebrazione verso la parete” o “un mostrare le spalle al popolo” (p. 75).
Ma con la celebrazione versus populum ”si è introdotta una clericalizzazione quale non si era mai
data in precedenza. Ora, infatti, il sacerdote … diventa vero e proprio punto di riferimento di tutta la
celebrazione. Tutto termina su di lui. … L’attenzione è sempre meno rivolta a Dio… Il sacerdote
rivolto al popolo dà alla comunità l’aspetto di un tutto chiuso in sé. Essa non è più – nella sua forma
– aperta in avanti e verso l’alto, ma si chiude in se stessa. L’atto con cui ci si rivolgeva tutti verso
oriente non era “celebrazione verso la parete”, non significava che il sacerdote “volgeva le spalle al
popolo”: egli non era poi considerato così importante. Difatti, come nella sinagoga si guardava tutti
insieme verso Gerusalemme, così qui ci si rivolgeva insieme “verso il Signore” Per usare
l’espressione di uno dei padri della costituzione liturgica del concilio Vaticano II, J.A. Jungmann, si
tratta piuttosto di uno stesso orientamento del sacerdote e del popolo, che sapevano di camminare
insieme verso il Signore. Essi non si chiudono in cerchio, non si guardano reciprocamente, ma,
come popolo di Dio in cammino, sono in partenza verso l’oriente, verso il Cristo che avanza e ci
viene incontro.” (p. 76)” - ““Con disgusto di molti liturgisti nel 1978 avevo sostenuto che non è
affatto detto che tutto il canone deve essere pronunciato a voce alta. Dopo averci riflettuto, vorrei
ripeterlo ancora una volta con forza, nella speranza che dopo vent’anni questa tesi possa trovare un
po’ più di comprensione. Nel frattempo i liturgisti tedeschi, nella preoccupazione di riformare il
messale, hanno essi stessi dichiarato espressamente che proprio il punto più alto della celebrazione
eucaristica, il canone, è divenuto il loro vero punto di crisi. A partire dalla riforma si è cercato di
fargli fronte anzitutto con l’invenzione continua di nuove preghiere eucaristiche, precipitando così
ulteriormente nel banale. La moltiplicazione delle parole non aiuta…. Non è affatto vero che la
recitazione ad alta voce, ininterrotta, della preghiera eucaristica sia la condizione per la
partecipazione di tutti a questo atto centrale della celebrazione eucaristica. La mia proposta di allora
era: da una parte l’educazione liturgica deve far sì che i fedeli conoscano il significato essenziale e
l’indirizzo fondamentale del canone; dall’altra, le prime parole delle singole preghiere dovrebbero
essere pronunciate a voce alta come un invito a tutta la comunità, così che, poi, la preghiera
silenziosa di ciascuno faccia propria l’intonazione e possa portare la dimensione personale in quella
comunitaria, quella comunitaria nella dimensione personale” (da Joseph Ratzinger Introduzione
allo spirito della liturgia,Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo MI 2001. pp. 210-11).
Reverendi Padri, rispondendo alla vostra richiesta, presento volentieri la ristampa del Messale
Romano in vigore nel 1962. Questa liturgia, della quale papa Giovanni Paolo II ha voluto concedere
l'uso a tutti coloro che vi sono legati, fa parte integrante della "ricchezza che rappresenta per la
Chiesa la diversità dei carismi e delle tradizioni di spiritualità e di apostolato" (cfr. Motu proprio
Ecclesia Dei del 2 luglio 1988).
È un bene che siano posti a disposizione dei fedeli il testo latino e la traduzione francese di questo
Messale, ove, come ha affermato Papa Paolo VI, "innumerevoli santi hanno nutrito
abbondantemente la loro pietà verso Dio, attraverso le sue lezioni delle sacre scritture o le sue
preghiere, il cui ordinamento generale risale nell'essenziale a san Gregorio Magno" (Costituzione
apostolica Missale Romanum del 3 aprile 1969).
Mi auguro dunque che la presente ristampa risponda alle attese di questi fedeli, e li aiuti a
partecipare attivamente alla celebrazione della santa messa. Essa contribuirà del pari nel modo che
le è proprio al rinnovamento liturgico voluto dal concilio Vaticano II, evidenziando "la bellezza
dell'unità nella varietà" (Motu proprio Ecclesia Dei). Città del Vaticano, 18 luglio 1990.Joseph
Ratzinger, da Missel quotidian complet comprenant toutes les Messes du Missel Romain, les Offices
de la Semaine Sainte, les fêtes de l'année et les fêtes propres des diocèses, ainsi qu'un choix de
prières et de méditations, par le R. P. O' Connor, Nouvelle édition par les moines bénédictins de
l'abbaye du Barroux, Turnhout, Éditions Sinte-Madeleine, 1990.

fonte:http://introiboadaltaredei.wordpress.com/2007/02/