sexta-feira, 30 de novembro de 2012

Benedetto XVI: La Buona Novella si può riassumere in poche parole: Dio, creatore dell'uomo, in suo figlio Gesù ci fa conoscere il suo amore per l'umanità: «Dio è amore» (cfr. i Gv), Egli vuole la felicità delle sue creature, di tutti i suoi figli.

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VISITA "AD LIMINA APOSTOLORUM" DEGLI ECC.MI PRESULI DELLA CONFERENZA EPISCOPALE DI FRANCIA (3° GRUPPO), 30.11.2012

Alle ore 11 di questa mattina, nella Sala del Concistoro del Palazzo Apostolico Vaticano, il Santo Padre Benedetto XVI incontra i Presuli della Conferenza Episcopale di Francia (3° gruppo: province ecclesiastiche di Clermont, Lyon, Marseille, Montpellier e Toulouse), ricevuti in questi giorni, in separate udienze, in occasione della Visita "ad Limina Apostolorum".

Riportiamo di seguito il testo del discorso che il Papa rivolge ai Vescovi presenti nel corso dell’incontro:

DISCORSO DEL SANTO PADRE



Signor cardinale,
cari fratelli nell'episcopato,

Conservo sempre vivo il ricordo del mio viaggio apostolico in Francia in occasione delle celebrazioni per il centocinquantesimo anniversario delle apparizioni a Lourdes dell'Immacolata Concezione. Siete l'ultimo dei tre gruppi di vescovi di Francia venuti in visita ad limina. La ringrazio, eminenza, per le sue cordiali parole. Rivolgendomi a quanti vi hanno preceduto, ho aperto una sorta di trittico la cui indispensabile predella potrebbe essere il discorso che vi ho rivolto a Lourdes nel 2008. L'esame di questo insieme inscindibile vi sarà certamente utile e guiderà le vostre riflessioni.
Voi siete responsabili di regioni in cui la fede cristiana si è radicata molto presto e ha recato frutti ammirevoli. Regioni legate a nomi illustri che si sono adoperati tanto per il radicamento e la crescita del Regno di Dio in questo mondo: martiri come Potino e Blandina, grandi teologi come Ireneo e Vincenzo di Lérins, maestri della spiritualità cristiana come Bruno, Bernardo, Francesco di Sales e tanti altri. La Chiesa in Francia s'iscrive in una lunga stirpe di santi, dottori, martiri e confessori della fede. Siete gli eredi di una grande esperienza umana e di un'immensa ricchezza spirituale, che, senza alcun dubbio, sono quindi per voi fonte d'ispirazione nella vostra missione di pastori.
Queste origini e questo passato glorioso, sempre presenti nel nostro pensiero e tanto cari al nostro spirito, ci permettono di nutrire una grande speranza, insieme salda e audace, al momento di raccogliere le sfide del terzo millennio e di ascoltare le aspettative degli uomini della nostra epoca, alle quali Dio solo può dare una risposta soddisfacente. La Buona Novella che abbiamo il compito di annunciare agli uomini di tutti i tempi, di tutte le lingue e di tutte le culture, si può riassumere in poche parole: Dio, creatore dell'uomo, in suo figlio Gesù ci fa conoscere il suo amore per l'umanità: «Dio è amore» (cfr. i Gv), Egli vuole la felicità delle sue creature, di tutti i suoi figli. La costituzione pastorale Gaudium et spes (cfr. n. 10) ha affrontato le questioni chiave dell'esistenza umana, sul senso della vita e della morte, del male, della malattia e della sofferenza, così presenti nel nostro mondo. Ha ricordato che, nella sua bontà paterna, Dio ha voluto dare delle risposte a tutti questi interrogativi e che Cristo ha fondato la sua Chiesa affinché tutti gli uomini potessero conoscerle. Perciò uno dei problemi più seri della nostra epoca è quello dell'ignoranza pratica religiosa in cui vivono molti uomini e donne, compresi alcuni fedeli cattolici (cfr. esortazione apostolica Christifideles laici, capitolo v).
Per questo motivo la nuova evangelizzazione, nella quale la Chiesa si è risolutamente impegnata dal concilio Vaticano II e della quale il motu proprio Ubicumque et semper ha delineato le principali modalità, si presenta con un'urgenza particolare, come hanno sottolineato i padri del Sinodo che si è da poco concluso. Essa chiede a tutti i cristiani di rendere ragione della speranza che è in loro (cfr. 1 Pt 3, 15), consapevole che uno degli ostacoli più temibili della nostra missione pastorale è l'ignoranza del contenuto della fede. Si tratta in realtà di una duplice ignoranza: un disconoscimento della persona di Gesù Cristo e un'ignoranza della sublimità dei suoi insegnamenti, del loro valore universale e permanente nella ricerca del senso della vita e della felicità. Questa ignoranza provoca inoltre nelle nuove generazioni l'incapacità di comprendere la storia e di sentirsi eredi di questa tradizione che ha modellato la vita, la società, l'arte e la cultura europee.
Nell'attuale Anno della fede, la Congregazione per la Dottrina della Fede, nella nota del 6 gennaio 2012, ha dato le indicazioni pastorali auspicabili per mobilitare tutte le energie della Chiesa, l'azione dei suoi pastori e dei suoi fedeli, al fine di animare in profondità la società. È lo Spirito Santo che, «con la forza del Vangelo la fa ringiovanire, continuamente la rinnova» (Lumen gentium, 4).
Questa nota ricorda che «ogni iniziativa per l'Anno della fede vuole favorire la gioiosa riscoperta e la rinnovata testimonianza della fede. Le indicazioni qui offerte hanno lo scopo di invitare tutti i membri della Chiesa ad impegnarsi perché quest'Anno sia occasione privilegiata per condividere quello che il cristiano ha di più caro: Cristo Gesù, Redentore dell'uomo, Re dell'Universo, “autore e perfezionatore della fede” (Eb 12, 2)». Il Sinodo dei vescovi ha proposto di recente a tutti e a ognuno i mezzi per condurre a buon fine questa missione. L'esempio del nostro divino Maestro è sempre il fondamento di tutta la nostra riflessione e della nostra azione. Preghiera e azione, questi sono i mezzi che il nostro Salvatore ci chiede ancora e sempre di utilizzare.
La nuova evangelizzazione sarà efficace se coinvolgerà a fondo le comunità e le parrocchie. I segni di vitalità e l'impegno dei fedeli laici nella società francese sono già una realtà incoraggiante. Molti sono stati in passato gli impegni dei laici; penso a Pauline-Marie Jaricot, della cui morte abbiamo celebrato il centocinquantesimo anniversario, e alla sua opera per la diffusione della fede, così determinante per le missioni cattoliche nel XIX e XX secolo. I laici, con i loro vescovi e i sacerdoti, sono protagonisti nella vita della Chiesa e nella sua missione di evangelizzazione. In diversi suoi documenti (Lumen gentium, Apostolicam actuositatem, tra gli altri), il concilio Vaticano II ha sottolineato la specificità della loro missione: permeare le realtà umane dello spirito del Vangelo. I laici sono il volto del mondo nella Chiesa e allo stesso tempo il volto della Chiesa nel mondo. Conosco il valore e la qualità del multiforme apostolato dei laici, uomini e donne. Unisco la mia voce alla vostra per esprimere loro i miei sentimenti di stima.
La Chiesa in Europa e in Francia non può restare indifferente dinanzi alla diminuzione delle vocazioni e delle ordinazioni sacerdotali, e neppure degli altri tipi di chiamate che Dio suscita nella Chiesa. È urgente mobilitare tutte le energie disponibili, affinché i giovani possano ascoltare la voce del Signore. Dio chiama chi vuole e quando vuole. Tuttavia, le famiglie cristiane e le comunità ferventi restano terreni particolarmente favorevoli. Queste famiglie, queste comunità e questi giovani sono dunque al centro di ogni iniziativa di evangelizzazione, malgrado un contesto culturale e sociale segnato dal relativismo e dall'edonismo.
Essendo i giovani la speranza e il futuro della Chiesa e del mondo, non voglio tralasciare di menzionare l'importanza dell'educazione cattolica. Questa svolge un compito ammirevole, spesso difficile, reso possibile dall'instancabile dedizione dei formatori: sacerdoti, persone consacrate o laici. Al di là del sapere trasmesso, la testimonianza di vita dei formatori deve permettere ai giovani di assimilare i valori umani e cristiani al fine di tendere alla ricerca e all'amore del vero e del bello (cfr. Gaudium et spes, 15). Continuate a incoraggiarli e ad aprire loro nuove prospettive affinché beneficino anche dell'evangelizzazione. Gli istituti cattolici sono chiaramente al primo posto nel grande dialogo tra la fede e la cultura. L'amore per la verità che irradiano è di per sé evangelizzatore. Sono ambiti d'insegnamento e di dialogo, e anche centri di ricerca, che devono essere sempre più sviluppati, più ambiziosi.
Conosco bene il contributo che la Chiesa in Francia ha apportato alla cultura cristiana. So della vostra attenzione -- e vi incoraggio in tal senso -- a coltivare il rigore accademico e a tessere legami più intensi di comunicazione e di collaborazione con università di altri Paesi, sia perché beneficino degli ambiti in cui eccellete, sia perché impariate da loro, al fine di servire sempre meglio la Chiesa, la società, l'intero uomo. Sottolineo con gratitudine le iniziative prese in alcune vostre diocesi per favorire l'iniziazione teologica di giovani studenti di discipline profane.
La teologia è una fonte di sapienza, di gioia, di meraviglia che non può essere riservata solo ai seminaristi, ai sacerdoti e alle persone consacrate. Proposta a numerosi giovani e adulti, essa li conforterà nella fede e farà di loro, senza alcun dubbio, apostoli audaci e convincenti. È dunque una prospettiva che potrebbe essere ampiamente proposta agli istituti superiori di teologia, come espressione della dimensione intrinsecamente missionaria della teologia e come servizio della cultura nel suo significato più profondo.
Quanto alle scuole cattoliche che hanno modellato la vita cristiana e culturale del vostro Paese, esse hanno oggi una responsabilità storica. Ambito di trasmissione del sapere e di formazione della persona, di accoglienza incondizionata e di apprendimento della vita in comune, godono spesso di un meritato prestigio. È necessario trovare i percorsi affinché la trasmissione della fede resti al centro del loro progetto educativo. La nuova evangelizzazione passa per queste scuole e per la multiforme opera dell'educazione cattolica che sottende numerose iniziative e movimenti, per la qual cosa la Chiesa è riconoscente. L'educazione ai valori cristiani è la chiave della cultura del vostro Paese. Aprendo alla speranza e alla libertà autentica, essa continuerà ad apportarle dinamismo e creatività. L'ardore conferito alla nuova evangelizzazione sarà il nostro contributo migliore allo sviluppo della società umana e la risposta migliore alle sfide di ogni tipo che tutti devono affrontare in questo inizio del terzo millennio. Cari fratelli nell'episcopato, affido voi, come pure il vostro lavoro pastorale e l'insieme delle comunità che vi sono state affidate, alla sollecitudine materna della Vergine Maria che vi accompagnerà nella vostra missione nel corso degli anni a venire! E come ho affermato prima di lasciare la Francia nel 2008: «Da Roma vi resterò vicino e quando sosterò davanti alla riproduzione della Grotta di Lourdes, che da oltre un secolo si trova nei Giardini Vaticani, penserò a voi. Che Dio vi benedica!».

© Copyright 2012 - Libreria Editrice Vaticana

Il Papa a Bartolomeo I: La sfida più urgente, sulla quale ci siamo sempre trovati in totale accordo con Vostra Santità, è oggi quella di come far giungere l’annuncio dell’amore misericordioso di Dio all’uomo del nostro tempo, così spesso distratto, più o meno incapace di una riflessione profonda sul senso stesso della sua esistenza, preso come tale a partire da progetti e da utopie che non possono che deluderlo


IL RIAVVICINAMENTO FRA CATTOLICI E ORTODOSSI

MESSAGGIO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI A SUA SANTITÀ BARTOLOMEO I, PATRIARCA ECUMENICO, PER LA FESTA DI S. ANDREA, 30.11.2012

Nel quadro del tradizionale scambio di Delegazioni per le rispettive feste dei Santi Patroni, il 29 giugno a Roma per la celebrazione dei Santi apostoli Pietro e Paolo e il 30 novembre a Istanbul per la celebrazione di Sant’Andrea apostolo, il cardinale Kurt Koch, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, guida quest’anno la Delegazione della Santa Sede per la Festa del Patriarcato Ecumenico. Il cardinale Koch è accompagnato dal vescovo Brian Farrell, segretario del Dicastero, e da Monsignor Andrea Palmieri, sottosegretario. Ad Istanbul, si è unito alla delegazione il nunzio apostolico in Turchia, l’arcivescovo Antonio Lucibello. La Delegazione della Santa Sede ha preso parte alla solenne Divina Liturgia presieduta da Sua Santità Bartolomeo I nella chiesa patriarcale del Fanar, ed ha avuto un incontro con il Patriarca e conversazioni con la Commissione sinodale incaricata delle relazioni con la Chiesa cattolica. Il cardinale Koch ha consegnato al Patriarca Ecumenico un messaggio autografo del Santo Padre, di cui ha dato pubblica lettura alla conclusione della Divina Liturgia, accompagnato da un dono. Il cardinale ha inoltre incontrato i rappresentanti della comunità cattolica locale e si è intrattenuto in una conversazione con il Comitato ecumenico del Vicariato apostolico della Chiesa cattolica d’Istanbul.
Pubblichiamo di seguito il testo del Messaggio del Santo Padre Benedetto XVI al Patriarca Ecumenico:

MESSAGGIO DEL SANTO PADRE


A Sua Santità Bartolomeo I
Arcivescovo di Costantinopoli
Patriarca Ecumenico

«Che il Cristo abiti per la fede nei vostri cuori» (Ef 3, 17)

Animato da sentimenti di gioia profonda e di vicinanza fraterna, vorrei oggi fare mio questo auspicio, che san Paolo rivolge alla comunità cristiana di Efeso, per formularlo a lei, Santità, ai membri del Santo Sinodo, al clero e a tutti i fedeli, riuniti in questo giorno di festa per celebrare la grande solennità di sant’Andrea. Seguendo l’esempio dell’Apostolo, anche io, in quanto vostro fratello nella fede, «piego le ginocchia davanti al Padre» (Ef 3, 14), per chiedere che vi conceda «di essere potentemente rafforzati dal suo Spirito» (Ef 3, 16) e di «conoscere l’amore di Cristo che sorpassa ogni conoscenza» (Ef 3, 19).
Lo scambio di Delegazioni tra la Chiesa di Roma e la Chiesa di Costantinopoli, che si rinnova ogni anno in occasione delle rispettive feste patronali di sant’Andrea al Fanar e dei santi Pietro e Paolo a Roma, testimonia in modo concreto il legame di vicinanza fraterna che ci unisce. È una comunione profonda e reale, sebbene ancora imperfetta, che si fonda non su ragioni umane di cortesia e di convenienza, ma sulla fede comune nel Signore Gesù Cristo, il cui Vangelo di salvezza ci è pervenuto grazie alla predicazione e alla testimonianza degli apostoli, suggellato dal sangue del martirio. Potendo contare su questo solido fondamento, possiamo procedere insieme con fiducia nel cammino che conduce verso il ripristino della piena comunione. In questo cammino, grazie anche al sostegno assiduo e attivo di Vostra Santità, abbiamo compiuto tanti progressi, per i quali le sono molto riconoscente. Anche se la strada da percorrere può sembrare ancora lunga e difficile, la nostra intenzione di proseguire in questa direzione resta immutata, confortati dalla preghiera che nostro Signore Gesù Cristo ha rivolto al Padre: «siano anch’essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda» (Gv 17, 21).
Santità, in questo momento desidero rinnovarle l’espressione della mia viva riconoscenza per le parole pronunciate al termine della celebrazione per il cinquantesimo anniversario dell’apertura del concilio Vaticano II e per l’apertura dell’Anno della fede, che si è tenuta a Roma a ottobre, parole mediante le quali lei ha saputo farsi interprete dei sentimenti di tutti i presenti. Conservo vivi ricordi della sua visita a Roma in quella circostanza, durante la quale abbiamo avuto l’opportunità di rinnovare i vincoli della nostra sincera e autentica amicizia. Questa amicizia sincera che è nata tra di noi, con una grande visione comune delle responsabilità alle quali siamo chiamati come cristiani e come pastori del gregge che Dio ci ha affidato, è motivo di grande speranza affinché si sviluppi una collaborazione sempre più intensa, nel compito urgente di rendere, con rinnovato vigore, testimonianza del messaggio evangelico al mondo contemporaneo. Ringrazio inoltre di tutto cuore lei, Santità, e il Santo Sinodo del Patriarcato Ecumenico per aver voluto inviare un delegato fraterno affinché partecipasse all’Assemblea ordinaria generale del Sinodo de vescovi sul tema: «La nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana».
La sfida più urgente, sulla quale ci siamo sempre trovati in totale accordo con Vostra Santità, è oggi quella di come far giungere l’annuncio dell’amore misericordioso di Dio all’uomo del nostro tempo, così spesso distratto, più o meno incapace di una riflessione profonda sul senso stesso della sua esistenza, preso come tale a partire da progetti e da utopie che non possono che deluderlo.
La Chiesa non ha altro messaggio oltre al «Vangelo di Dio» (Rm 1, 1) e non ha altro metodo oltre all’annuncio apostolico, sostenuto e garantito dalla testimonianza di santità della vita dei pastori e del popolo di Dio. Il Signore Gesù ci ha detto che «la messe è molta» (Lc 10, 2), e non possiamo accettare che vada perduta a causa delle nostre debolezze e delle nostre divisioni.
Santità, nella Divina liturgia odierna che avete celebrato in onore di sant’Andrea, patrono del Patriarcato ecumenico, avete pregato «per la pace nel mondo intero, per la prosperità delle sante Chiese di Dio e per l’unione di tutti». Con tutti i fratelli e le sorelle cattolici, mi unisco alla vostra preghiera. La piena comunione alla quale aspiriamo, è un dono che viene da Dio. A Lui, «che in tutto ha potere di fare molto più di quanto possiamo domandare o pensare, secondo la potenza che già opera in noi» (Ef 3, 20), rivolgiamo con fiducia la nostra supplica, per intercessione di sant’Andrea e di san Pietro, suo fratello.
Con questi sentimenti di sincero affetto in Cristo Signore, rinnovo i miei cordiali auguri e scambio con lei, Santità, un abbraccio fraterno.
Dal Vaticano, 23 novembre 2012


BENEDICTUS PP. XVI

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(Traduzione Osservatore Romano)

Santo Afonso Maria de Ligório : Sobre a Confissão freqüente

UTILIDADE DA CONFISSÃO FREQÜENTE




Sobre a Confissão freqüente
Por
Santo Afonso Maria de Ligório

"A verdadeira dor não está em senti-la mas em querê-la
Todo o mérito das virtudes está
na vontade!"
"Não falamos aqui das confissões das pessoas incursas em pecados mortais. Entretanto não deixaremos de dar muitos avisos concernentes às ocasiões próximas e às confissões sacrílegas. Mas queremos falar principalmente das confissões das almas timoratas, que amam a perfeição e procuram purificar-se cada vez mais das manchas dos pecados veniais.

UTILIDADE DA CONFISSÃO FREQÜENTE

Refere Cesário que um santo sacerdote mandou da parte de Deus a um demônio que lhe tinha aparecido, lhe dissesse o que mais o maltratava; e o
inimigo lhe respondeu que nada o contrariava nem o desgostava tanto, como a confissão freqüente. - Mas ouçamos o que Jesus Cristo disse a Sta. Brígida: "Aquele que quer conservar o fervor, deve purificar-se freqüentemente com a confissão na qual se acuse de todos os seus defeitos e negligências em servir-me." - Cassiano ensina que a alma que aspira à perfeição, deve cuidar de ter uma grande pureza de consciência, porque assim é que se adquire o perfeito amor de Deus, que não se dá senão às almas puras; de sorte que o divino amor corresponde à pureza do coração.

- É preciso, porém entender que nos homens, segundo o estado presente, esta pureza não consiste em uma isenção absoluta de toda a falta; porque, exceto nosso divino Salvador e sua divina Mãe, não houve nem haverá no mundo nenhuma alma sem suas manchas. Todos nós nascemos em pecado e caímos em muitas faltas, diz S. Tiago.

- Consiste em duas coisas, que são
velar atentamente para que não entre no coração nenhuma falta deliberada, por leve que seja, e ter cuidado de purificar-se imediatamente de qualquer falta que nele possa ter entrado.

- Estes são justamente
os dois bons efeitos que produz a confissão freqüente.

Primeiramente, pela confissão freqüente, uma pessoa se purifica das manchas contraídas. - A este propósito, narra
S. João Clímaco que um jovem, desejando corrigir-se da má vida, que levava no século, foi-se fazer religioso em certo mosteiro. Antes de recebê-lo, o abade quis prová-lo; e lhe disse que, se queria ser admitido, fosse confessar em público todos os seus pecados. Deveras resolvido a se entregar inteiramente a Deus, o jovem obedeceu; mas, enquanto expunha suas faltas diante da comunidade, um santo religioso que fazia parte desta, viu um homem de aspecto venerando, que a medida que o moço ia declarando seus pecados, os apagava de um papel que tinha na mão, onde estavam escritos; de sorte que, acabada a confissão, todos estavam apagados.

-
O que, neste caso, aconteceu visivelmente, sucede invisivelmente toda a vez que um se confessa com as devidas disposições.

-
A confissão, porém, além de purificar a alma de suas máculas, dá-lhe também força para não recair. - Segundo o doutor angélico, a virtude da penitência faz que a falta cometida seja destruída e também que não volte mais.

- A tal propósito
S.Bernardo refere um fato da vida de S. Malaquias.Uma mulher tinha o hábito de se impacientar e de se irritar a tal ponto que se tornara insuportável. S. Malaquias, ouvindo dela mesma que nunca se houvera confessado de tais impaciências,excitou-a a fazer uma confissão exata dessas faltas. Depois disto, tornou-se tão paciente e tão branda, que parecia incapaz de se enfadar por qualquer trabalho ou mau trato que a importunasse.É por isso que muitos santos, para adquirirem a pureza de consciência, costumavam confessar-se todos os dias. Assim praticavam Sta. Catarina de Senna, Sta. Brígida, a Beata Collecta, e também S.Carlos Borromeo, Sto. Inácio de Loiola e muitos outros. S. Francisco de Borgia não se contentava com uma só vez,confessava-se duas vezes por dia.

-
Se os homens do mundo tem horror de aparecer com uma mancha no rosto diante de seus amigos, que se há de estranhar que as almas amigas de Deus procurem purificar-se cada vez mais, para se tornarem cada vez mais agradáveis aos olhos de Nosso Senhor.- De resto, não pretendemos aqui obrigar as religiosas que freqüentam a comunhão, a confessar-se toda a vez que comungam. Entretanto é conveniente que se confessem duas vezes ou ao menos uma vez por semana, e além disso quando houverem cometido alguma culpa com advertência.

DO EXAME, DA DOR OU CONTRIÇÃO E DO BOM PROPÓSITO

- Sabe-se que,
para fazer uma boa confissão, três coisas se requerem: O exame de consciência, a dor de ter pecado, e o propósito de se corrigir.

1.
Quanto ao exame, aos que freqüentam os sacramentos, não é necessário que quebrem a cabeça em indagar todos os pormenores das faltas veniais. É preferível que se apliquem mais a descobrir as causas e raízes de seus apegos e de suas negligências.Digo isto para as religiosas que vão se confessar, com a cabeça cheia de coisas ouvidas na grade, e não fazem outra coisa que repetir, de cada vez, a recitação das mesmas faltas, como uma cantilena, sem arrependimento e sem propósito de emenda.Para as almas espirituais, que se confessam amiúde e tem cuidado de evitar os pecados veniais deliberados, o exame não exige muito tempo; pois não têm necessidade de indagar sobre as faltas graves, porque se a sua consciência estivesse sobrecarregada de um só pecado mortal, este se daria logo a conhecer por si mesmo. Quanto aos pecados veniais, se fosse plenamente voluntários, se manifestariam também de um modo sensível de pena que causariam; aliás não há obrigação de confessar todas as faltas leves que se tem na consciência, e por conseguinte também não há obrigação de fazer um exame exato e menos ainda de escrutar o número e circunstâncias, ou se recordar como e porque se cometeram.Basta declarar as faltas leves que pesam mais e são mais opostas a perfeição, e acusar as outras em termos gerais.

-
Quando não há matéria certa depois da confissão última, diga-se algum pecado da vida passada, de que se tenha mais dor, por exemplo: Eu me acuso especialmente de todas as culpas cometidas no passado contra a caridade, a pureza ou a obediência.

- É bastante consolador o que sobre este ponto escreve
S. Francisco de Sales: "Não vos inquieteis, se não vos lembrardes de todas as vossas faltinhas para confessá-las; porque assim como muitas vezes cais sem advertência, assim também muitas vezes vos levantareis sem percebê-lo; a saber, pelos atos de amor ou outros atos bons que as almas devotas soem fazer".

2.
É necessária, em segundo lugar, a dor ou contrição, e é o quese requer principalmente para obter a remissão dos pecados. As confissões mais longas não são as melhores, mas as em que há mais dor. O sinal de uma boa confissão, diz S. Gregório, não se acha no grande número de palavras do penitente, mas no arrependimento que demonstra.

- De resto, as religiosas que se confessam amiúde e tem horror até as culpas veniais, desfazem as dúvidas se tem ou não verdadeira contrição. Quereriam, cada vez que se confessam, ter lágrimas de enternecimento; e como apesar dos seus esforços e de toda a violência que fazem, não podem tê-las, estão sempre inquietas sobre suas confissões. É preciso que se persuadam que a verdadeira dor não está em senti-la mas em querê-la.
Todo o mérito das virtudes está na vontade. É por isso que Gerson, falando da fé, assegura que aquele que quer crer, algumas vezes tem mais mérito do que aquele que crê.

- Mas
S. Tomás ensinou a mesma coisa antes dele, falando precisamente da contrição. Diz ele que a dor essencial, necessária para a confissão, é a detestação do pecado cometido, e que esta dor não está na parte sensitiva, mas na vontade; visto que a dor sensível é um efeito do desprazer da vontade o que nem sempre está em nosso poder, porque a parte inferior nem sempre segue a parte superior.

Assim, pois,
toda a vez que, na vontade, a displicência da culpa cometida é acima de todos os males, a confissão é boa.

-
Abstende-vos, portanto, de fazer esforços para sentir a dor. - Falando dos atos internos, sabei que os melhores são os que se fazem com menor violência e maior suavidade, visto que o Espírito Santo ordena tudo com doçura e tranqüilidade.

Pelo que, o santo rei Ezequias, falando do arrependimento que tinha de seus pecados, dizia
sentir deles dor muito amarga mas em paz.

Quando quiserdes receber a absolvição, fazei assim:
No aparelhar-vos para a confissão, começai por pedir a Jesus Cristo e a Virgem das Dores uma verdadeira dor de vossos pecados; em seguida fazei brevemente o exame, como acima dissemos; e depois, para a contrição, basta que façais um ato como este: "Meu Deus, eu vos amo acima de todas as coisas; espero, pelos merecimentos do sangue de Jesus Cristo, o perdão de todos os meus pecados, dos quais me arrependo de todo o coração, por ter ofendido e desgostado a vossa infinita bondade, e os aborreço mais do que todos os males; e uno este meu aborrecimento ao aborrecimento que deles teve o meu Jesus no horto de Getsêmani. Proponho não vos ofender mais, com a vossa graça".Uma vez que tenhais querido pronunciar este ato com sinceridade, ide tranqüilamente receber a absolvição, sem temor e sem escrúpulo. - Sta. Teresa para tirar as angústias a este respeito, dava um outro bom sinal de contrição: "Vede, dizia ela, se tendes um verdadeiro propósito de não cometer mais os pecados que ides confessar. Se tendes este propósito, não duvideis de ter também a verdadeira dor".

3.
É necessário enfim o bom propósito. O propósito exigido para a confissão, para ser bom, deve ser firme, universal e eficaz.Primeiramente, deve ser firme. Há alguns que dizem: eu não quereria cometer mais este pecado; eu não quereria mais ofender a Deus. - Mas ai! este eu quereria denota que o propósito não é firme. Para que o seja, é necessário dizer com vontade resoluta: Não quero mais ofender a Deus deliberadamente.Em segundo lugar,deve ser universal, isto é, deve o penitente propor-se a evitar todos os pecados sem exceção. Isto, porém, só se entende dos pecados mortais.

Quanto aos pecados veniais, basta, para o valor do sacramento, que o arrependimento e o propósito recaiam sobre uma só espécie de pecado; mas
as pessoas mais espirituais devem propor se evitar todos os pecados veniais deliberados; e quanto aos indeliberados, visto que é impossível evitá-los todos, basta que se proponham fazê-lo quanto for possível.Em terceiro lugar, deve ser eficaz, isto é,capaz de determinar o penitente a empregar os meios necessários para não cometer mais as faltas de que se acusa, e especialmente a fugir das ocasiões próximas de recair. Por ocasião próxima se entende aquela em que a pessoa caiu muitas vezes em pecados graves, ou, sem justa causa, induziu outros a caírem.Neste caso não basta propor-se somente evitar o pecado, mas é necessário também propor tirar a ocasião, aliás as suas confissões serão todas nulas, embora receba mil absolvições; pois não querer remover a ocasião próxima de pecado grave já é por si culpa grave. E assim como temos demonstrado na nossa obra de teologia moral, quem recebe a absolvição sem o propósito de tirar a ocasião próxima, comete um novo pecado mortal de sacrilégio."

(Santo Afonso Maria de Ligório -
A Verdadeira Esposa de Jesus Cristo)

S. ALFONSO MARIA LIGORIO : Breve trattato della necessità della preghiera

– DELLA NECESSITÀ DELLA PREGHIERA
Quantunque fu bestemmia quel, che dissero Lutero, e Calvino,

cioè, che l'osservanza della divina legge sia renduta impossibile agli uomini dopo il peccato di Adamo; e fu errore anche condannato dalla Chiesa quel, che disse Giansenio, che alcuni precetti erano impossibili ancora a' giusti secondo le presenti forze, che hanno, e mancava anche l'aiuto divino per adempirli; avendo dichiarato1 il sagro Concilio di Trento (Sess. VI, cap. 11), che Dio non comanda cose impossibili ma ci ammonisce a fare ciò che possiamo colle forze della Grazia presente o almeno2 a chiedere la Grazia più abbondante, che si ricerca per adempire ciò, che non possiamo, ed allora egli già dà l'aiuto acciocché possiamo: Deus impossibilia non iubet (son parole del Tridentino), sed iubendo monet et facere quod possis, et petere quod non possis, et adiuvat ut possis

(L. c.); dal che insegnano molti gravi Teologi3 (Haberto, Theol. Graecor.

P P. l. 2, c. 6. n. 1 et c. 15, n. 2 et 3, il quale cita Gammacheo, Duvallio Isamberto, Perezio, Limonio ed altri: ed insieme asserisce esser questa sentenza comune delle scuole, e precisamente della Sorbona, Tommasino, Theol. Dogm., tr. 2 de Gratia, c. 14, Du Plessis, in Diss. de mult. gen. div. Gratiae. Tournely, Praelect. Theol. p. 2. q. 9, a. 4 concl. 5) che Dio dona, o almeno offerisce a tutti o la grazia prossima per osservare i precetti, o pure la grazia rimota dell'orazione, colla quale poi ciascuno ottiene la prossima ad osservare in effetto i precetti divini;4 è certo, che



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l'osservanza della legge nello stato presente della natura corrotta è molto difficile, anzi è moralmente impossibile senza un aiuto di Dio (oltre il comune) speciale, e maggiore di quello, che bisognava nello stato dell'innocenza. Or questo aiuto speciale Dio non lo concede, ordinariamente parlando, se non a coloro, che lo dimandano. Insegna Gennadio, Autore antico (che va fra l'opere di S. Agostino) che, eccettuate le prime grazie eccitanti, le quali vengono a noi senza di noi come la chiamata alla fede, o alla penitenza, tutte l'altre, e specialmente la grazia della perseveranza, non si donano se non a coloro, che pregano:5 Nullum credimus ad salutem, nisi Deo invitante, venire: nullum invitatum salutem suam nisi Deo adiuvante, operari: nullum nisi orantem auxilium promereri. Lib. de Eccl. Dogm. c. 56.6 Ed in altro luogo lo stesso S. Agostino suppone per certo: Deum nobis dare aliqua etiam non orantibus, ut initium fidei: alias nonnisi orantibus praeparasse. Lib. de Persev. c. 5.7

Da ciò concludono i Teologi8 (Suarez, Habert, Layman, il P. Segneri, ed altri con S. Clemente Alessandrino, S. Basilio, S. Agostino, e S. Giovan Grisostomo) che la petizione agli adulti è necessaria di necessità di mezzo; viene a dire, che di provvidenza ordinaria un fede e senza raccomandarsi a Dio, e cercargli le grazie necessarie alla sua salute, non può salvarsi. Dice S. Giovanni Grisostomo, che conforme e necessaria l'anima al corpo per vivere, così è necessaria all'anima l'orazione per conservarsi nella divina grazia. Ciò vuol dire quella sentenza di Gesù Cristo: Oportet semper orare, et nunquam deficere. Luc. 18. 1. Oportet, è di necessità il sempre pregare. Ciò vuol dire quell'altra di S. Giacomo: Non habetis, propter quod non postulatis Iac. 4. 2. Ciò vuol dire, quel che in due parole il nostro Salvatore disse: Petite et accipietis. Luc. 11. 9.9 Se dunque (dice S. Teresa) chi cerca ottiene: chi non cerca, non ottiene.10 Dio vuol salvi tutti: Deus vult omnes homines salvos fieri, 1 Tim. 2. 4, ma vuole che gli cerchiamo le grazie, che ci son necessarie per salvarci. Neppure questo vogliamo fare? Terminiamo questo primo punto,



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conchiudendo da ciò, che si è detto, che chi prega, certamente si salva; chi non prega, certamente si danna. Tutti i Santi si sono salvati, e fatti santi col pregare. Tutti i dannati si son dannati, per non pregare; se pregavano certamente non si sarebbero perduti. E questa sarà la maggior loro disperazione nell'inferno l'aversi potuto salvare con tanta facilità, con chiedere a Dio il di lui aiuto, ed ora non esser più a tempo di cercarlo





1 [12.] avendo dichiarato) sì perché ha dichiarato NM BR.





2 [14-15.] presente o almeno a chiedere la grazia) NM BR om.





3 [19-24.] Cfr. Gran mezzo della preghiera, P. II, c. IV, p. 145-149.





4 [27.] divini; è certo che) divini. Con tutto ciò non ha dubbio che NM BR.





5 [10-14.] Testi comuni: SEGNERI, Cristiano istruito, P. III, Rag. II, 20; HABERT, De orat., ed. cit., 443-444; SCARAMELLI, Dirett. ascet., ed. cit., tr. I, art. VI, c. I, n. 216; SARNELLI, Mondo santif., ed. cit., 263, 264.





6 [10-12.] De eccles. dogm. (attribuito a GENNADIO DI MARSIGLIA, sec. V; GLORIEUX, n. 42), c. XXVI; PL 42, 1218.





7 [13-14.] S. AGOST., De dono persev., c. XVI; PL 45, 1017.





8 [15-17; 20-22.] Cfr. Del gran mezzo della preghiera, P. I, c. I, p. 11 (16-17); 14 (4-10; 15 (20-21).





9 [26.] Corr.: Io, 16, 24.





10 [27.] S. TERESA, Lettere, I, Lett. VIII, ann. 10, p. 35.









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quinta-feira, 29 de novembro de 2012

S. Alfonso Maria de Liguori Apparecchio e ringraziamento…messa

S. Alfonso Maria de Liguori
Apparecchio e ringraziamento…messa

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  • AFFETTI PER LO RINGRAZIAMENTO - dopo la messa.
    • RINGRAZIAMENTO V. PER IL GIOVEDÌ


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RINGRAZIAMENTO V. PER IL GIOVEDÌ


O Dio d'infinita maestà, ecco a' piedi vostri il traditore che tanto vi ha offeso. Voi tante volte mi avete perdonato, ed io, non ostante le grazie e i lumi che mi avete dati, ho tornato ad offendervi. Gli altri han peccato tra le tenebre, io ho peccato in mezzo alla luce. Ma ascoltate questo vostro Figlio che vi ho sacrificato questa mattina, e che ora sta nel mio petto; egli vi cerca pietà e perdono per me. Perdonatemi per amore di Gesù Cristo, mentre io mi pento con tutto il cuore di avere offeso voi, bontà infinita.


Io so che voi per amore di Gesù Cristo vi compiacete di placarvi co' peccatori: Complacuit per eum reconciliare omnia in ipsum 1. Per amore dunque di Gesù Cristo placatevi ancora con me. Ne proiicias me a facie tua: Non mi discacciate dalla vostra faccia come io meriterei; perdonatemi e mutatemi il cuore: Cor mundum crea in me Deus. Fatelo almeno per onor vostro, giacché mi avete fatto sacerdote, vostro ministro, destinato a sacrificarvi il vostro medesimo Figlio. Fatemi vivere da sacerdote. Datemi un cuore che vi ami da sacerdote. Deh! consumate colle fiamme del vostro santo amore, e distruggete in me tutti gli affetti di terra. Fate ch'io viva grato da oggi innanzi a tante grazie che mi avete fatte, ed a tanto amore che mi avete portato. Se per lo passato io ho disprezzata la vostra amicizia, ora la stimo più che tutti i regni del mondo, ed antepongo il vostro gusto a tutte le ricchezze e piaceri del cielo e della terra.


O Padre mio, per amore di Gesù Cristo staccatemi da tutto. Voi volete che i vostri sacerdoti sieno in tutto separati dal mondo per vivere solamente a voi e all'opera della vostra gloria: Segregate mihi Saulum et Barnabam, in opus ad quod assumpsi eos 2. Lo stesso io so che volete ancora da me: io propongo di farlo; ma voi aiutatemi colla vostra grazia. Tiratemi tutto a voi. Datemi pazienza e rassegnazione ne' travagli e nelle cose contrarie. Datemi spirito di mortificarmi per amor vostro. Datemi spirito di vera umiltà, con giungere a compiacermi d'essere stimato vile e difettoso. Doce me facere voluntatem tuam: Insegnatemi a fare la vostra volontà, e poi ditemi che volete da me, ch'io tutto voglio farlo. Accettate, o Dio mio, ad amarvi un peccatore che per lo passato vi ha troppo offeso, ma ora vi vuole amare da vero, ed esser tutto vostro. O Dio eterno, io spero d'amarvi in eterno. E perciò anche voglio amarvi assai in questa vita, per amarvi assai nell'eternità.


E perché vi amo, vorrei vedervi da tutti conosciuto ed amato. E perciò, Signore, giacché mi avete fatto vostro sacerdote, datemi la grazia di faticare per voi e di portarvi anime. Tutto spero per i meriti vostri, o Gesù Cristo mio, e per la vostra intercessione, o madre mia Maria.







1 Coloss. 1. 19.





2 Act. 13. 2.

S. Alfonso Maria de Liguori Affetti al sacro Cuore di Gesù

S. Alfonso Maria de Liguori
Affetti al sacro Cuore di Gesù

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  • Sul Cuore di Giesù

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Sul Cuore di Giesù


1. Disse Giesù a S. Caterina da Siena, che dopo la morte egli volle ricevere la ferita della lancia nel cuore, acciocché l'uomo comprendesse, ch'egli l'amava più di quello, che l'aveva dimostrato colle pene esterne; mentre le pene di Sua Passione erano state finite, ma l'amore Suo era infinito. Onde le facea vedere quel Suo Cuore ferito per farle intendere, ch'egli l'amava più di quello, che intender Ella potesse dalle pene sofferte.


2. Essendosi communicata un giorno la V. Maria Vola Monaca Cisterciense parvele, che Giesù le prese il cuore e ponendolo nel Suo Costato lo strinse talmente col Suo Cuore Divino che di due se ne fece un solo, acciocché gli affetti desideri ecc d'allora innanzi fussero l'istessi. Un'altra volta parvele che Giesù l'invitasse ad entrare nel Suo Costato aperto con dirle: Esci sposa diletta da ogni terreno affetto: Entra qui e riponi l'anima tua sopra il mio cuore. E subito intese estinguersi ogni amor proprio, e accendersi dell'istesso amore, di cui ardeva il Suo Giesù, e sfavillava nel petto di lei. In modo che pareala poi, che ogni Altare dove stava Giesù Sacramentato, ardesse come fornace. March: 8a: Qu. 23. 24. 7bre.


3. Santa Francesca Romana dopo aversi communicata vide su di un prezioso Tabernacolo un candidissimo Agnello, a cui facean riverenze e lodi due schiere di bianchi agnellini: Vide che usciva una limpidissima fonte dal suo aperto Costato, in cui compariva come un Sole il suo Divino Cuore, il quale replicava quelle parole spesso: Chi ha sete venga a me: chi ha sete venga a me. Boss. Merc. T. 1 n. 13.





 

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CONSID. V. PER IL GIOVEDÌ

In Omnibus divites facti estis in illo.

(1. Cor. 1. 15.)


Considera come per mezzo della santa messa Dio meglio esaudisce le preghiere de' sacerdoti. Iddio in tutti i tempi, sempre ch'egli è pregato per li meriti di Gesù Cristo, dispensa le sue grazie, ma dice s. Giovan Grisostomo, che nel tempo della messa le dispensa con più abbondanza alle preghiere del sacerdote; poiché queste vengono allora avvalorate ed accompagnate dalle preghiere dello stesso Gesù, ch'è il principal sacerdote che in questo sagrificio offerisce se stesso, affin di ottenere a noi le grazie.


Secondo parla il concilio di Trento, il tempo in cui si celebra la messa, è appunto quel tempo in cui sta il Signore in trono di grazia, a cui ci esorta l'apostolo di andar con confidenza per ottenere la divina misericordia e ritrovare le grazie: Adeamus ergo cum fiducia ad thronum gratiae, ut misericordiam consequamur, et gratiam inveniamus in auxilio opportuno 3. Dice il Grisostomo 4, che ancora gli angeli aspettano il tempo della messa per intercedere con più efficacia a nostro favore; e soggiunge che quel che non si ottiene nella messa, difficilmente si ottiene in altro tempo.


Oh che tesori di grazie può ottenere un sacerdote per sé e per gli altri, pregando il Signore con fiducia, quando sta celebrando sull'altare!



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Diceva il venerabile p. Antonio de Colellis: Io quando celebro e tengo in mano Gesù Cristo mio, ne ottengo quel che voglio.


Dice in somma s. Paolo, che in Gesù Cristo noi otteniamo ogni ricchezza, ogni grazia, se per li meriti suoi la domandiamo al Padre: In omnibus divites facti estis in illo… ita ut nihil vobis desit in ulla gratia 1. Ma specialmente ciò vale quando il sacerdote sta onorando Iddio, e compiacendolo con sacrificargli il suo medesimo Figlio. E se il Padre, questo stesso Figlio a lui sacrificato, egli poi lo dona a noi nel ss. sacramento, appunto per mezzo della messa; come mai, donandoci il Figlio, potrà negarci alcun'altra grazia? Quomodo non etiam cum illo omnia nobis donavit 2?




Affetti


O miserabile ch'io sono stato! quante grazie, o mio Dio, io m'ho perdute per la negligenza di non cercarvele nelle messe che ho celebrate! Ma giacché me ne date la luce, non voglio in ciò esser più trascurato. Unisco dunque, o eterno Padre, le mie preghiere con quelle di Gesù Cristo, e per amore di questo vostro Figlio, che questa mattina vengo a sacrificarvi, vi prego per prima a concedermi il perdono di tutti i miei peccati, di cui mi pento con tutto il cuore. E poi fatemi conoscere il merito infinito che voi avete d'essere amato, e l'obbligo immenso che ho io d'amarvi per la vostra bontà, e per l'amore che voi mi avete portato; e datemi forza a staccarmi da tutti gli affetti di terra, e ad impiegare il mio cuore in amare solamente voi, sommo bene, che tanto mi avete amato. Vi prego ancora a dar luce a chi non vi conosce, ed a chi vive privo della vostra grazia. Date a tutti il dono della vostra grazia. Date a tutti il dono del vostro santo amore. O amore infinito del mio Dio, fatevi conoscere e fatevi amare.


E voi, mio caro Salvatore, fatemi tutto vostro prima che io muoia, e non permettete ch'io m'abbia a separare più da voi. Ah Gesù mio, che sino che vivo io sto in questo pericolo! Io non vi voglio perdere più. Pregate voi il vostro Padre, che mi mandi la morte, prima ch'io vi abbia di nuovo a voltare le spalle. Pregate che coll'amore sempre più mi stringa a voi che tanto mi avete obbligato ad amarvi. Gesù mio, voi siete l'amor mio e la speranza mia. Fate che ogni volta ch'io vi miro sull'altare vi dica con tutto il cuore quel che vi dicea s. Filippo Neri vedendovi nel ss. sacramento: Ecco l'amor mio, ecco l'amor mio, ecco tutto il mio amore. Maria ss., pregate voi ancora per me. Son sacerdote. Rendetemi colla vostra intercessione qual dev'essere un sacerdote, tutto di Gesù Cristo.







3 Hebr. 4. 16.





4 Hom. 3. de incompr. Dei.
1 1. Cor. 1. 5.





2 Rom. 8. 32.




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quarta-feira, 28 de novembro de 2012

Bento XVI “Muitos comentários dão a impressão de que tudo mudou desde o Vaticano II e que tudo aquilo que o precedeu não tem nenhum valor ou, no melhor dos casos, não pode ter valor se não for à luz do Vaticano II... Muitos, aliás, o interpretam como se ele fosse um ‘superdogma’ que tira toda a importância de todo o resto

Na antevéspera do cinqüentenário de sua abertura, uma oportuna reavaliação do Concílio Vaticano II


 
José Antonio Ureta
Na História da Igreja Católica, houve 21 concílios ecumênicos, ou seja, reuniões gerais de todos os bispos sob a direção do Papa ou de um representante seu.
Diferentemente dos concílios anteriores, o Concílio Vaticano II (1962-1965) coloca para os analistas (teólogos, historiadores, etc.) um problema novo. É que todos os concílios anteriores exerceram, com e sob o Papa, um Magistério solene, definindo verdades de fé e moral e tomando medidas de caráter disciplinar, enquanto juízes e legisladores supremos. O Concílio Vaticano II, contudo, não deliberou nem propôs, de modo solene e definitivo, nenhuma verdade de fé ou moral. Isso favoreceu a discussão sobre a natureza magisterial de seus documentos, o modo como eles foram postos em prática no pós-Concílio, e a relação entre o Concílio e o pós-Concílio.

 
Tal discussão está no cerne do atual debate sobre a verdadeira interpretação (“hermenêutica”, na linguagem especializada) do Vaticano II.
O Papa Bento XVI pavimentou o caminho para esse debate de alto nível ao afirmar, no Natal de 2005, a necessidade de uma “hermenêutica da continuidade” dos documentos conciliares. O que equivalia a admitir, implicitamente, que no texto deles há passagens menos claras ou quiçá ambíguas, que devem ser interpretadas conforme à Tradição bimilenar do Magistério da Igreja.
Até há pouco prevalecia, em numerosos meios eclesiásticos, a tendência a hipervalorizar o aggiornamento conciliar, promovendo a idéia de que o Vaticano II foi um novo começo que fazia tábula rasa do passado da Igreja e exigia ainda mais novidades. Erigido em “superdogma”, o Concílio passava a ser um evento intocável e aquele que exprimisse a menor reserva a respeito do seu alcance corria o risco de ser considerado “reacionário”, rebelde às orientações da Hierarquia.
De um tempo a esta parte, o descrédito das correntes progressistas promotoras dessa “ruptura” com o passado — no estilo da Teologia da Libertação que grassou na América Latina — favoreceu a emergência de um juízo mais sereno e objetivo a respeito do Concílio Vaticano II. Esse progresso da objetividade foi patenteado, entre 16 e 18 de dezembro p.p., no significativo Congresso de estudos sobre a Magna assembléia “para uma justa hermenêutica à luz da Tradição da Igreja”, organizado, em Roma, pelo Seminário Teológico Immacolata Mediatrice do Instituto dos Franciscanos da Imaculada.
A iniciativa, com o título Concílio Vaticano II. Um Concílio pastoral – Análise histórico-filosófico-teológica, contou com a participação de destacados representantes da Cúria Romana, da Hierarquia e do mundo acadêmico: o Cardeal Velasio de Paolis (Presidente da Prefeitura dos Assuntos econômicos da Santa Sé), D. Luigi Negri (Bispo de Marino-Montefeltro), D. Atanasio Schneider (Bispo auxiliar de Astana no Kazakistão), Pe. Nicola Bux (Consultor do Bureau de Celebrações do Sumo Pontífice e Professor no Instituto ecumênico de Bari), Mons. Brunero Gherardini, ex-decano da Faculdade de Teologia da Pontifícia Universidade Lateranense e professor emérito dessa universidade, o Pe. Ignacio Andereggen (professor na Universidade Pontifícia Gregoriana), o Pe. Florian Kolfhaus, funcionário diplomático da Secretaria de Estado, os padres Rosário M. Sammarco, Paolo M. Siano, Serafino M. Lanzetta e Giuseppe Fontanella (professores no Seminário Teológico Immacolata Mediatrice), o Prof. Roberto de Mattei da Universidade Européia de Roma. Ademais, estiveram presentes em algumas sessões o Cardeal Walter Brandmüller (presidente emérito do Conselho Pontifício das Ciências Históricas) e o Secretário da Pontifícia Comissão Ecclesia Dei, Mons. Guido Pozzo, e ainda outros membros da Cúria Romana.
Trecho de discurso de Bento XVI “Por que a recepção do Concílio, em muitos círculos da Igreja, até agora ocorreu de modo tão difícil? Pois bem, tudo depende da justa interpretação do Concílio ou como diríamos hoje, de sua correta hermenêutica, da justa chave de leitura e de aplicação. Os problemas da recepção derivaram do fato de que duas hermenêuticas contrárias se combateram e disputaram entre si. […]
“Por um lado, existe uma interpretação que eu gostaria de definir ‘hermenêutica da descontinuidade e da ruptura’; não raro, ela pôde valer-se da simpatia dos mass media e também de uma parte da teologia moderna. Por outro lado, há a ‘hermenêutica da reforma’, da renovação na continuidade do único sujeito-Igreja, que o Senhor nos concedeu; é um sujeito que cresce no tempo e se desenvolve, permanecendo porém sempre o mesmo, único sujeito do Povo de Deus a caminho”.
___________
(Discurso do Papa Bento XVI à Cúria Romana, 22 de dezembro de 2005)LER...

OS PAPAS E A CRISE APÓS O CONCÍLIO VATICANO

O que diz o Papa Bento XVI?
Não ao Vaticano II "superdogma"!
Muitos comentários dão a impressão de que tudo mudou desde o Vaticano II e que tudo aquilo que o precedeu não tem nenhum valor ou, no melhor dos casos, não pode ter valor se não for à luz do Vaticano II... Muitos, aliás, o interpretam como se ele fosse um ‘superdogma’ que tira toda a importância de todo o resto.
Esta impressão se encontra particularmente reforçada pelos fatos que se produzem com freqüência. Aquilo que era considerado anteriormente como o mais sagrado -a forma transmitida pela liturgia-, aparece de repente como aquilo que está mais proibido e como a única coisa que deve ser certamente deixada de lado. Nós não toleramos nenhuma crítica das coisas operadas desde o concílio; entretanto, onde estão em jogo as antigas regras ou as grandes verdades de fé- por exemplo a virgindade corporal de Maria, a ressurreição corporal de Jesus, a imortalidade da alma etc.- não reagimos ou bem o fazemos com moderação extrema.
Cardeal Ratzinger discurso de 13/07/88 à conferencia episcopal do Chile.
O


Papa Paulo VI
  • (30/6/1968 - Oss. Rom.) "Na Igreja também está reinando uma situação de incerteza. Tem se a sensação, de que por alguma abertura tenha entrado a fumaça de Satanás no Templo de Deus."
  • (07/12/1972 - Oss. Rom.) "A Igreja está passando por uma hora inquieta de autocrítica, que melhor se diria de autodestruição e igual a um transtorno agudo e completo, que ninguém teria esperado após o Concílio. A Igreja parece se suicidar, matar a si mesma."

O Concílio Vaticano II foi intencionalmente ambíguo e responsável pela crise atual


 
No livro extremamente esclarecedor “O Reno se lança no Tibre”, do Pe. Ralph Wiltgen S.V.D., que acompanhou o Concílio na qualidade privilegiada de jornalista, há alguns trechos extremamente esclarecedores sobre a perversidade da tática modernista da ambiguidade (os destaques são meus):
Foi então que um dos liberais extremistas cometeu o erro de fazer referência por escrito a algumas das passagens ambíguas e de esclarecer como seriam interpretadas após o Concílio. O documento caiu nas mãos do grupo de cardeais e superiores maiores de que acabamos de falar, e seu representante foi levá-lo ao Sumo Pontífice. Compreendendo então que se tinham aproveitado dele, Paulo VI caiu em si e chorou.
Ralph Wiltgen S.V.D.; O Reno se lança no Tibre; Editora Permanência; pág 244-245
“Desde a segunda sessão”, esclarecia [o padre Schillebeeckx], “dissera a um especialista da Comissão de Teologia que se sentia irritado ao ver exposto no esquema o que parecia ser o ponto de vista liberal-moderado sobre a colegialidade; pessoalmente, ele era favorável ao ponto de vista liberal-extremo.” O especialista lhe havia respondido: “Nós nos exprimimos de modo diplomático, mas depois do Concílio tiraremos do texto as conclusões que estão nele implícitas.” O padre Schillebeeckx achava esta tática “desonesta”. Durante o último mês da terceira sessão, dizia, bispos e teólogos tinham continuado a falar da colegialidade “em um sentido que não estava de forma alguma consignado no esquema”. Sublinhava que a minoria tinha compreendido perfeitamente que o fraseado vago do esquema seria interpretado em um sentido mais forte depois do Concílio. (…) A maioria, dizia, tinha recorrido a uma terminologia deliberadamente vaga e excessivamente diplomática e ele recordava que o próprio padre Congar tinha bem cedo protestado contra a redação deliberadamente ambígua de um texto conciliar.
Ralph Wiltgen S.V.D.; O Reno se lança no Tibre; Editora Permanência; pág 244-245LER...

A liturgia católica vive “uma certa crise” e Bento XVI quer dar vida a um novo movimento litúrgico, que volte a trazer mais sacralidade e silencio na Missa, e mais atenção à beleza no canto, na música e na arte sacra.

Entrevista ao Cardeal Cañizares

 
O Cardeal António Cañizares Llovera, 65 anos, Prefeito da Congregação para o Culto Divino, (que quando era bispo em Espanha era chamado “o pequeno Ratzinger”,) é o homem ao qual o Papa confiou esta tarefa. Nesta entrevista a Andrea Tornelli, publicada em Il Giornale, de 24.12.2010, (o “ministro” da liturgia de Bento XVI) revela e explica programas e projectos.
Enquanto Cardeal, Joseph Ratzinger tinha lamentado uma certa precipitação na reforma litúrgica post-conciliar. Qual é sua opinião?
A reforma litúrgica foi realizada com muita pressa. Havia óptimas intenções e o desejo de aplicar o Vaticano II. Mas houve precipitação. Não se deu tempo nem espaço suficiente para apanhar e interiorizar os ensinamentos do Concílio; de repente se mudou o modo de celebrar.
Recordo bem a mentalidade então difundida: era necessário mudar, criar algo novo. Aquilo que tínhamos recebido, a tradição, era vista como um obstáculo. A reforma foi entendida como obra humana, muitos pensavam que a Igreja era obra das nossas mãos e não de Deus. A renovação litúrgica foi vista como uma investigação de laboratório, fruto da imaginação e da criatividade, a palavra mágica de então.
Como Cardeal, Ratzinger tinha auspiciado uma “reforma da reforma” litúrgica, palavras actualmente impronunciáveis inclusivamente no Vaticano. No entanto, parece evidente que Bento XVI a desejaria. Pode falar dela?
Não sei se se pode, ou se convêm, falar de “reforma da reforma”. O que vejo absolutamente necessário e urgente, segundo o que deseja o Papa, é dar vida a um novo, claro e vigoroso movimento litúrgico em toda a Igreja. Porque, como explica Bento XVI no primeiro volume de sua Opera Omnia, na relação com a liturgia se decide o destino da fé e da Igreja. Cristo está presente na Igreja através dos sacramentos. Deus é o sujeito da liturgia, não nós. A liturgia no é una acção do homem mas é acção de Deus. LER...