Stefano M. Manelli FI. Il 'Summorum Pontificum' per la crescita della vita religiosa
Carissimi,
Introduzione
I sei ordini religiosi maschili più consistenti nel 2005 (e certamente ancora oggi) erano i Gesuiti (19.850 membri), i Salesiani (16.645), i Frati Minori (15.794), i Cappuccini (11.229), i Benedettini (7.798) e i Domenicani (6.109). I medesimi però nel 1965 avevano ben altri numeri: 36.038, 22.042, 27.009, 15.838, 12.070, 10.091.
PRIMA PARTE
I. Vita religiosa e liturgia
2. Vita religiosa e Santa Messa
3. Vita religiosa e Ufficio Divino
62 GIACOMO BIFFI, Quando ridono i cherubini. Meditazioni sulla vita della Chiesa, Bologna, 2006, p. 114.
63 JOSEPH RATZINGER, La mia vita: ricordi, 1927-1977, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo, 1997, p. 112.
64 JOSEPH RATZINGER, Introduzione allo spirito della liturgia. Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo, 2001, p. 16.
65 Ibidem.
71 LUDOVIC COLIN, Il Culto dei voti, Ed. Padri Redentoristi, Torino Roma, 1952, p• 15.
72 Ivi, p. 23.
una recente preziosa citazione di Luisa e il
dipanarsi della vicenda dei FI con i frequenti riferimenti a Padre Manelli, mi
ha richiamato alla memoria l'occasione in cui ho avuto la gioia spirituale di
ascoltarlo, nel corso del 2° Convegno Summorum Pontificum, nell'ottobre
2009, di cui potete leggere qui il mio resoconto di allora, corredato di alcune
immagini.
Un intervento di grande spessore quello di P.
Manelli, che ci dà la possibilità di cogliere molte luci ed ombre del momento
presente. Ne inserisco di seguito uno stralcio della Prima parte, tratto del
volume degli Atti pubblicati da Fede e Cultura (p. 75-85) e aggiungo il video
con la presentazione di p. Nuara.
IL MOTU PROPRIO SUMMORUM
PONTIFICUM
PER LA CRESCITA DELLA VITA RELIGIOSA
P. STEFANO M. MANELLI, F.I.
(Fondatore e Ministro Generale dei Francescani dell'Immacolata)
PER LA CRESCITA DELLA VITA RELIGIOSA
P. STEFANO M. MANELLI, F.I.
(Fondatore e Ministro Generale dei Francescani dell'Immacolata)
Introduzione
Per la conoscenza della Divina Rivelazione noi
abbiamo le pure acque dell'unica "sorgente", la Sacra Scrittura, che formano il
grande "fiume" della perenne tradizione in cammino lungo i secoli e i millenni
della vita della Chiesa: tradizione perenne, espressa in maniera mirabile
soprattutto dai Padri della Chiesa.
Tra questi Padri della Chiesa, sant'Ambrogio,
nel suo Esamerone, scrive così: "La Chiesa, come la luna, ha frequenti i suoi
smarrimenti e le sue rinascite, ma proprio in virtù dei suoi smarrimenti crebbe
e meritò di ampliarsi... Rifulge la Chiesa non di luce propria ma della luce di
Cristo e trae il suo splendore dal Sole di giustizia" (IV, 32).
Parlare dell'immagine e della realtà della
"luna" applicata alla Chiesa è certo cosa sconosciuta alla cristianità moderna e
potrebbe suonar forse irriverente agli orecchi di chi ad essa guarda come alla
luce suprema che illumina il mondo. Ma il santo Vescovo di Milano con la sua
penetrante e sorprendente parola aiuta a conoscere più in profondità il mistero
ecclesiale.
Due considerazioni occorre trarre dal pensiero
ambrosiano. La Chiesa non brilla di luce propria ma, come la luna, riverbera gli
splendori del Signore Crocifisso e risorto. Una Chiesa che non propagasse più la
luce del suo Fondatore non sarebbe più la "sua" Chiesa, ma altro. La
"lunaticità" della Chiesa, espressione adoperata dal Card. Biffi, non deve
sorprendere.
Ancora sant'Ambrogio di Milano, con la sua
intelligenza chiara e amorosa, scrive che la Chiesa è "ex maculatis immaculata",
è senza macchia, ma fatta da uomini peccatori: essa, che non è mai senza
peccatori , è sempre in se stessa senza peccati. Nella sua compagine umana
dunque essa non può non essere "lunatica" poiché riflette la fragilità e la
debolezza dell'umanità decaduta in cammino verso il regno dei Cieli.
"La 'lunaticità' della Chiesa" scrive appunto
il Cardinale Giacomo Biffi "si manifesta soprattutto nelle continue oscillazioni
davanti a noi della sua luminosità. Come la luna, anch'essa è in sé sempre allo
stesso modo `rivestita di sole', ma non allo stesso modo appare al nostro
sguardo. Arrivano momenti in cui il fulgore è sottile come una lama e basta
appena a indicare una presenza, e momenti in cui ogni luce pare addirittura
inghiottita dalla notte: c'è un'ora delle tenebre, anche se non c'è una loro
vittoria definitiva"[62].
Memori delle parole e del pensiero del santo
Vescovo di Milano, volgiamo ora il nostro sguardo alla realtà ecclesiale nella
quale viviamo: diciamo pure, anzitutto, che non è certamente difficile
ammettere, oggi, che lo splendore della Sposa di Cristo sta attraversando
un'eclissi di proporzioni forse uniche nella sua storia bimillenaria.
Questa crisi, che abbraccia tutta intera la
vita della Sposa di Cristo, secondo il Santo Padre Benedetto XVI, "dipende in
gran parte dal crollo della liturgia"[63] avvenuto non nel Concilio, ma nel
post-concilio.
Tali parole, riprese in un altro suo testo, si
estendono persino al di là dei limiti della Chiesa, per costituire un elemento
fondamentale dell'intera vita e di tutto l'ambiente umano: "II diritto e la
morale non stanno insieme" scrive ancora il Papa "se non sono ancorati nel
centro liturgico e non traggono da esso ispirazione [...]. Solo se il rapporto
con Dio è giusto anche tutte le altre relazioni dell'uomo - quelle degli uomini
tra di loro e dell'uomo con le altre realtà create - possono funzionare
"[64].
Ma dove risiede il fondamento di questa
influenza del culto liturgico sulla vita umana in generale? Con parole di luce
superna. il Cardinale Ratzínger risponde nel seguito del testo citato:
"L'adorazione, la giusta modalità del culto, del rapporto con Dio, è costitutiva
per la giusta esistenza umana nel mondo: essa lo è proprio perché attraverso la
vita quotidiana ci fa partecipi del modo di esistere del `cielo', del mondo di
Dio, lasciando così trasparire la luce del mondo divino nel nostro mondo [...].
(Il culto) prefigura una vita più definitiva e, in tal modo, dà alla vita
presente la sua misura. Una vita in cui manca tale anticipazione, in cui il
cielo non è più abbozzato, diverrebbe plumbea e vuota"[65].
Per il Papa, dunque, la liturgia della Chiesa
diviene il canale privilegiato del governo divino sulla terra, e possiede di per
sé una potenza demiurgica che plasma sul suo modello gli eventi mondani,
facendosi "misura" alla "vita presente"[66].
Se la liturgia ha un impatto vitale su tutta la
vita ecclesiale, si può facilmente immaginare l'incidenza primaria che essa
esercita sulla vita religiosa in particolare. La confusione liturgica
postconciliare, infatti, si è ripercossa sulla vita religiosa con una tale forza
devastante che non di "crescita della vita religiosa" (secondo il titolo della
relazione) occorrerebbe parlare, ma piuttosto di "ripresa" e ancor più di
"recupero" o di "salvataggio" della vita religiosa. Senza dilungarci su questa
tristissima situazione, lasciamo parlare le statistiche perché, per dirla con
l'Aquinate, "contra factum non valet argumentum".
Il religioso clarettiano Angel Pardilla,
professore al "Claretianum", in un accuratissimo studio dal titolo I
religiosi ieri, oggi e domani (Editrice Rogate, Roma, 2007), ha fatto il
punto in modo pressoché esaustivo sul primo quarantennio postconciliare, ossia
sul periodo 1965-2005, riguardo alle perdite totali e percentuali degli Istituti
maschili di diritto pontificio, soffermandosi in modo particolare sui canonici
regolari, i monaci, i cosiddetti Ordini Mendicanti, i chierici regolari, le
Congregazioni religiose clericali e laicali, e gli Istituti di vita apostolica.
Ebbene queste sei tipologie di vita religiosa hanno tutte, senza alcuna
eccezione, avuto dei cali drammatici in entrata e dei più o meno grandi
abbandoni: gli uni e gli altri non di rado superiori al 50%!
Facciamo
alcuni esempi significativi.I sei ordini religiosi maschili più consistenti nel 2005 (e certamente ancora oggi) erano i Gesuiti (19.850 membri), i Salesiani (16.645), i Frati Minori (15.794), i Cappuccini (11.229), i Benedettini (7.798) e i Domenicani (6.109). I medesimi però nel 1965 avevano ben altri numeri: 36.038, 22.042, 27.009, 15.838, 12.070, 10.091.
Se i religiosi in totale erano 329.799 nel
1965, quarant'anni dopo la chiusura del Concilio ne restavano 214.903. Circa
115.000 religiosi, più di un terzo di tutti i religiosi sono venuti meno in
questi quarant'anni di post-concilio: per rifare i 115.000 religiosi perduti in
soli quarant'anni, ci vorranno forse diversi secolì[67]
Si aggiunga, infine, che il triste cammino di
questa mortifera "retromarcia" continua oggi disastrosamente, sapendo che, ad
esempio, i Frati Minori stanno diminuendo di circa 300-400 frati ogni anno, i
Gesuiti di circa 400-500 ogni anno. Né ci sono segnali d`inversione" di questa
mortifera retromarcia[68].
Orbene, di fronte a questa impressionante
ecatombe della vita religiosa, che è avvenuta e che sta ancora avvenendo, il
Motu Proprio Summorum Pontificum sembra voler esser davvero un'ancora di
salvezza per recuperaree il preziosissimo patrimonio liturgico e spirituale che
la tradizione degli Istituti religiosi ha gelosamente custodito per secoli e
secoli, manifestando appunto la vitalità e la fecondità perenne del Vetus Ordo
sia con la crescita vocazionale negli Istituti, sia con il dono di una teoria di
Santi donati alla Chiesa, sia con la fioritura della grande arte sacra (pittura,
scultura, architettura), della grande musica, della grande poesia e letteratura:
tutto per la gloria di Dio e per l'edificazione del Corpo di Cristo.
È indubitabile, infatti, che esiste un rapporto
strettissimo, di primaria necessità e fondamentale valore, fra la vita religiosa
e la liturgia, per cui la vita religiosa di ogni istituto non può non dipendere,
e quindi essere radicalmente condizionata dalla liturgia, sia nel suo avanzare
come nel suo retrocedere.
E se in questo avanzato quarantennio
post-concilare la vita religiosa è stata ed è in rovinosa retromarcia, per non
dire autodistruzione, non si può nascondere le concrete responsabilità di una
liturgia in deficit di consistenza in quello che dovrebbe essere il suo
connaturale compito di alimentare e sostenere la vita
religiosa.
Riflettiamoci brevemente.PRIMA PARTE
I. Vita religiosa e liturgia
La vita religiosa è la consacrazione a Dio di
tutta la persona, e manifesta nella Chiesa la mirabile istituzione voluta da
Dio, quale segno escatologico della vita futura. Ogni religioso porta a
compimento la sua totale donazione come sacrificio offerto a Dio, e per questo
l'intera sua esistenza, quale offerta-sacrificale, diviene un ininterrotto culto
a Dio nella carità. Tale ininterrotto "culto a Dio" trova appunto la sua
manifestazione più piena e completa nella sacra liturgia, che regola e anima
ogni giornata della comunità religiosa, con la Santa Messa e con la celebrazione
del Divino Ufficio che scandisce le ore stesse della giornata.
In ogni istituto religioso, infatti, la
preghiera, nei tempi chiave della giornata, deve occupare sempre il primo posto
e deve essere esemplare e fervida in ogni sua espressione. Amare la preghiera,
vivere di preghiera, aspirare alla preghiera continua, come comanda il Signore:
"Bisogna sempre pregare" (Lc 18,1), come insegna san Benedetto: "Ora et
labora" come raccomanda il serafico Padre san Francesco: "Pregare sempre,
con cuore puro" (Regola, cap. X), è dovere fondamentale e vitale.
È importante però tener presente che la
preghiera più perfetta della Chiesa, e la preghiera più propria dei religiosi, è
appunto la sacra liturgia[69].
Basterebbe qui ricordare, fra i molti e santi
autori, il beato Dom Columba Marmion, celebre Abate di Maredsous (Belgio),
autore di pregiatissime opere spirituali e liturgiche, il quale, nel suo libro
dedicato alla vita religiosa, Cristo ideale del monaco, pone il suo
accento precisamente sull'importanza fondamentale della vita di preghiera nella
vita monastica, e in particolare della preghiera liturgica, evidenziando
l'importanza ineludibile non solo della Santa Messa, ma anche dell'Ufficio
Divino. Egli afferma infatti che "la recita dell'Ufficio Divino, da san
Benedetto chiamato 'Opus Dei', è la preghiera della Chiesa per
eccellenza, e ha un privilegio inalienabile e incomunicabile, perché è l'opera
dì Dio, compiuta con Gesù Cristo, in suo nome, dalla Chiesa che è la sua Sposa.
Per codesta lode, [...] la Chiesa non si accontenta del culto comune a tutti i
suoi figli, ma, come sceglie alcuni tra i suoi figli per associarli,
particolarmente e con preferenza, al Sacerdozio eterno del suo Sposo, così
affida a un'eletta porzione di essi la lode più importante e più apprezzata:
sono i sacerdoti e i religiosi che compiono le funzioni in coro. La Chiesa ne fa
i suoi ambasciatori presso il trono divino; li sceglie per deputarli al Padre in
nome suo e dello Sposo"[70].
La preghiera liturgica, quindi, è la preghiera
più propria dei Religiosi, tanto che, si può ben dire, ogni ora della giornata
monastica, o della fraternità religiosa, è scandita da essa. Negli Istituti
religiosi, infatti, ciò che abitualmente è intesa come "vita comune" comprende
come sua prima e speciale espressione proprio la "preghiera in comune", ossia la
preghiera liturgica, che diviene l'anima della comunità religiosa. Raccolti in
coro, uniti in una sola voce, i religiosi, per l'intera umanità, rendono a Dio
il culto che Gli è dovuto.
2. Vita religiosa e Santa Messa
Sicuramente il motivo spirituale ancor più
profondo che lega la vita religiosa alla liturgia è, in particolare, la
preghiera liturgica per eccellenza, ossia la Santa Messa. Lo stato religioso
infatti, seguendo il pensiero di autori spirituali di primaria importanza quali
il P. Ludovic Colin e il beato Columba Marmion, ha un legame particolarissimo
con il Santo Sacrificio dell'altare.
"Che cosa è ìl religioso?" sì chiede P. Ludovic
Colin. E risponde: "Un'ostia. E la vita religiosa? Una messa mistica"[71].
Per ogni religioso, infatti, l'emettere i tre
voti significa salire sul Calvario, essere con-crocifisso con Gesù! Il
religioso, in realtà, vi deve salire per rendersi una cosa sola col suo Signore
Crocifisso, e ogni volta che il sacrificio della croce sì rinnova sull'altare,
allora anch'egli rinnoverà il suo sacrificio e si metterà nuovamente sull'altare
con la Vittima divina.
L'uomo, in quanto consacrato e votato
totalmente a Dio, poiché muore al mondo per vivere in Dio, compie un sacrificio,
un vero olocausto. Questo sacrificio, dopo la Messa e il martirio, è il più
perfetto, il più gradito a Dìo e il più fecondo per ìl tempo e per l'eternità.
E, di fatto, nello stato religioso noi possiamo ritrovare tutti gli elementi
costitutivi del sacrificio dell'altare, ossia: oblazione (all'offertorio),
immolazione (alla consacrazione), consumazione della vittima (alla
comunione).
Il religioso che fa voto di povertà, di castità
e d'obbedienza, non solo offre se stesso a Dio, ma la formula stessa
dell'offerta vuol essere anche un atto di consacrazione, con cui avviene,
potrebbe dirsi, la trasformazione del cristiano in religioso per essere una
vittima spirituale e un'ostia santa.
Il religioso, in realtà, con la professione,
donandosi, si consacra da se stesso al servizio divino: Dio, a sua volta,
ratifica e conferma per l'eternità questa consacrazione. Come è stato
giustamente osservato, la professione religiosa è insieme opera dell'uomo e
opera di Dio. Dio prende, per così dire, nelle sue mani l'anima che gli si
offre, e la benedice: "Accepit in manus suas et benedixit". Questa
benedizione non è una parola priva di senso, ma un atto. un'opera di
santificazione e di consacrazione.
E la consacrazione comporta l'immolazione e la
consumazione totale della vittima. È questo l'aspetto più austero e splendido,
il fulcro dello stato religioso. Di fatto, il religioso è, per vocazione. un
essere sacrificato, un'ostia viva che si consuma interamente in olocausto
d'amore per la gloria di Dio e per la salvezza delle anime.
"Non si tratta d'immolazione cruenta: qui il
sangue dell'anima sta in luogo di quello delle vene; per un sacrificio
spirituale basta una morte mistica. Così scrive ad esempio san Francesco di
Sales ad una figlia spirituale: «Eccovi, mia cara figlia, in spirito sull'altare
consacrato per esservi sacrificata, immolata consumata in olocausto al cospetto
del Dio vivente»"[72].
E il nostro Sommo Pontefice, Benedetto XVI, per
la celebrazione dell'Anno Sacerdotale in corso, volendo affiancare a: santo
Curato d'Ars, modello per i preti, anche un modello di santo sacerdote, per i
religiosi, ha scelto san Pio da Pietrelcina, santo dei nostri tempi, Francescano
Cappuccino, stimmatizzato sanguinante per cinquanta lunghi anni di vita, da Papa
Paolo VI definito felicemente "Rappresentante stampato delle stimmate di Nostro
Signore Gesù Cristo", straordinario sacerdote che soprattutto nella celebrazione
della Santa Messa appariva, come san Francesco d'Assisi, vera "immagine di Gesù
Crocifisso" (dal prefazio della Messa di san Francesco
d'Assisi).
3. Vita religiosa e Ufficio Divino
Le preghiere liturgiche superano in valore ed
efficacia qualunque altra lode o preghiera od opera buona. E verità
incontestabile, e i santi l'hanno ben compresa. Santa Maddalena de' Pazzi, ad
esempio, stimava la recita delle Ore canoniche più di qualunque altra devozione
privata. Quando una religiosa chiedeva dispensa per attendere all'orazione,
rispondeva: "No, figliuola; la ingannerei se glielo permettessi; perché potrebbe
credere che codesta sua devozione particolare più onori Iddio e la renda più
accetta a sua Divina Maestà; mentre essa è poca cosa comparativamente
all'Ufficio che recita con le consorelle".
Così pensano i santi, così parla la fede:
l'Ufficio Divino vale più di qualsiasi altra opera; è veramente l'opera di Dio
per eccellenza; le altre sono "opera hominum", mentre l'Ufficio Divino è
da Dio, come omaggio di lode che da Dio proviene per il Verbo Incarnato,
presentato dalla Chiesa in nome di Cristo.
L'Ufficio Divino può diventare, e tale è
sovente per alcuni, un vero sacrificio; e allora può dirsi nel senso completo:
"Sacrificium laudis" (Sal 49,23). Ciò può avvenire per diversi motivi:
anzitutto perché la recita dell'Ufficio (soprattutto l'Ufficio antico) segue
norme e cerimonie ben precise a cui bisogna attenersi fedelmente. E ciò
costituisce l'aspetto penitenziale della lode di Dio. Inoltre, occorre dominare
la mente con un'attenzione amorosa alla divina Salmodia e, a tal fine, sono
necessari ripetuti sforzi per vincere l'apatia e la naturale leggerezza. Sono
tutti sacrifici graditi a Dio.
A ciò si aggiungono, di solito, le sofferenze
occasionate dalla vita comune. Se è uno spettacolo edificantissimo vedere i
religiosi riuniti nella preghiera corale, bisogna anche ricordare che ciò
importa molti sacrifici, inevitabili e spesso rinnovati, pur non volendo:
"Sumus homines fragiles... qui faciunt invicem angustias"[73].
Sull'esempio del divin Maestro, che fu orante
fra gli strazi indicibili della crocifissione, il religioso deve saper lodare
Dío non solo quando è ripieno di consolazione, ma anche, e soprattutto, quando
soffre. Le anime amanti seguono Gesù dappertutto, e lo seguono più volentieri al
Golgota che al monte della Trasfigurazione.
Chi restò infatti con Gesù ai piedi della
Croce? La Vergine Madre, che lo amava con amore pienamente disinteressato; la
Maddalena, la peccatrice alla quale Gesù aveva perdonato molto perché molto
amava; e san Giovanni, che aveva la scienza del cuore divino. Tutti e tre
rimasero là, al loro posto, quando l'anima del Pontefice supremo, Cristo,
offriva per la salvezza del mondo il suo cantico doloroso; gli altri apostoli,
invece, e anche san Pietro che aveva fatto tante proteste d'amore a Gesù, erano
lontani dal Calvario, pensando magari al monte Tabor dove, invece, sarebbero
stati bene: "Bonum est nos hic esse; si vis, faciamus hic tria
tabernacula" (Mt 17,4).
La Santa Messa e l'Ufficio Divino, dunque,
costituiscono, in sostanza, l'anima della vita religiosa, la divina sorgente a
cui ogni giorno il religioso s'abbevera e con cui si rafforza per crescere nella
sua vita d'unione col Signore Crocifisso, fino alla perfetta conformità con Lui
(cfr. Rm 8,29). Si comprende bene dunque l'importanza che hanno la Messa e
l'Ufficio Divino nella vita religiosa in genere e nella vita del singolo
religioso in particolare.
______________________62 GIACOMO BIFFI, Quando ridono i cherubini. Meditazioni sulla vita della Chiesa, Bologna, 2006, p. 114.
63 JOSEPH RATZINGER, La mia vita: ricordi, 1927-1977, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo, 1997, p. 112.
64 JOSEPH RATZINGER, Introduzione allo spirito della liturgia. Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo, 2001, p. 16.
65 Ibidem.
66 D. VENTURA, "Papa Benedetto XVI e la
Liturgia", conferenza tenuta a Bologna, presso la chiesa di S. Maria della
Pietà, il 22 febbraio 2009, in occasione del III` anniversario dell'apertura
della causa di beatificazione del Servo di Dio Tomas Josef M. Tyn O.P. In linea
e in armonia con il pensiero di Papa Ratzinger si vedano gli studi di alto
profilo di D. VON HILDEBRAND, Liturgia e Personalità, Brescia, 1948, e di
MARTIN MOSEBACH, L'eresia dell'informe, Ed. Cantagalli, Siena,
2009.
67 Questi dati sono anche da mettere in
relazione con l'aumento dei battezzati nello stesso periodo, con l'innalzamento
contemporaneo, non così lieve, della vita media, per cui, oggi, una buona parte
dei religiosi appartengono alla terza età.
68 E le cose vanno ancora peggio nei riguardi
delle "religiose", secondo un altro studio dello stesso Autore, ANGEL PARDILLA,
Le religiose ieri, oggi e domani, Libreria Editrice Vaticana, Città del
Vaticano, 2008.
69 La preghiera liturgica, infatti, come scrive
il celebre Abate di Solesmes, Dom Prosper Guéranger, "è la preghiera per
eccellenza che riunisce in un solo coro tutte le molteplici voci dei fedeli, è
la più gradita all'orecchio e al cuore di Dio, e perciò la più potente. Beato
dunque colui che prega con la Chiesa, che unisce i propri voti particolari a
quelli di questa Sposa, diletta dallo Sposo e sempre esaudita!" (D.P. GUÉRANGER,
L'Anno Liturgico, Introduzione, Alba, 1956). Ugualmente, con parole
ardenti, il beato Cardinale Ildefonso Schuster scrive che la preghiera liturgica
è "un poema sacro, al quale veramente hanno posto mano e cielo e terra, e in cui
l'umanità redenta nel Sangue dell'Agnello senza macchia, sulle ali dello
spirito, si libra a volo altissimo, spingendosi sin presso al trono di Dio
[...]. La sacra liturgia non solo rappresenta ed esprime l'ineffabile e il
divino, ma per mezzo dei Sacramenti e delle sue formule eucologiche lo produce,
a dir così, e lo compie nelle anime dei fedeli, ai quali comunica la grazia
della Redenzione. Si può anzi dire che la stessa fonte della santità della
Chiesa è tutta compresa nella sua liturgia, cosicché senza i divini Sacramenti,
la passione del Salvatore, nella presente economia istituita da Dio, non avrebbe
su di noi alcuna efficacia, per mancanza di istrumenti atti a trasmettercene i
tesori" (I. SCHUSTER, Liber Sacramentorum, Torino-Roma, 1929, p.
1).
70 COLUMBA MARMION, Cristo ideale del monaco, Piemme, Padova,
1961, p. 319.71 LUDOVIC COLIN, Il Culto dei voti, Ed. Padri Redentoristi, Torino Roma, 1952, p• 15.
72 Ivi, p. 23.
73 Basta riflettere poco, infatti, per capire
che in paradiso, la Lode di Dio si celebra nell'armonia eterna della gioia
traboccante; quaggiù, in questa valle di lacrime, invece, avviene nella
sofferenza. Gesù cantò le lodi del Padre non soltanto sul Tabor, ma anche sulla
Croce; e sant'Agostino dice apertamente che, sul Golgota, Nostro Signore recitò
il Salmo 21 che comincia con le parole: "Deus, Deus mens, respíce in inc: quale
me dereiiquisti"; salmo messianico commovente, il quale esprime non solo le
circostanze della Passione, ma i sentimenti del nostro Salvatore benedetto.
Nelle tenebre del Calvario, fra torture indicibili. Gesù recitava l'Ufficio; e
ben più che sul Tabor, Egli dava infinita gloria al Padre, perché
soffriva.