terça-feira, 12 de setembro de 2017

Barsotti e Luzi, un inno alla vita

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In occasione della Pasqua un faccia a faccia tra il teologo padre Divo Barsotti, e il poeta Mario Luzi, entrambi novantenni. Un dialogo a tutto campo: dall'elogio dell'umiltà, al rapporto con il mondo islamico, dall'analisi del terrorismo al senso della poesia. Il 25 aprile, giorno del novantesimo compleanno, don Divo Barsotti sarà festeggiato da centinaia di amici e soprattutto dai suoi «figli» che hanno organizzato un incontro al Teatro «Saschall» di Firenze; tra gli ospiti d'onore, anche l'amico Mario Luzi.
DI ANDREA FAGIOLI
Barsotti e Luzi, un inno alla vita
di Andrea Fagioli
LUZI. Il peso delle cose umane si attenua, tutto si relativizza. Accadono cose gravissime, ma non ci turbano come avrebbero potuto fare in un'altra fase della vita e in un altro momento dello spirito. Lei, don Divo, ci ha insegnato ad aspirare di provarci…
BARSOTTI. Ho sempre sentito che fra questo mondo e l'altro mondo c'è una separazione di carta, non di più.
LUZI. È vero.
BARSOTTI. Penso che la salvezza è sempre molto vicina, nonostante tutto. Non dobbiamo mai scoraggiarci, non dobbiamo mai perdere la fiducia. Non solo come cristiano, ma anche come semplice uomo, io devo testimoniare ai miei fratelli che, in fondo, tutto il male ha sempre qualcosa di relativo. Se poi crediamo, sappiamo invece che il bene ha sempre qualcosa di assoluto. Il bene viene da Dio e in Dio ci conduce. Il male non si riesce mai fino in fondo a spiegarlo, a giustificarlo.
LUZI. Il male, però, caro don Barsotti, c'è: è sempre lì. Che sia il maligno o che sia altra cosa, il male c'è e c'è il confronto continuo tra male e bene.
BARSOTTI. Ma noi non possiamo giudicare. Noi dobbiamo credere e credere è più bello che sapere.
LUZI. Ma è difficile.
BARSOTTI. È difficile, ma dà a noi una sicurezza, una pace…
LUZI. Ripeto: è molto difficile. Credere è bello, ma il dubbio…
BARSOTTI. È inerente.
LUZI. La fede è fatta di dubbi, si potrebbe dire. Dubbi superati di volta in volta. È un difficile cammino.
BARSOTTI. Mi ricordo che lei una volta mi disse: «Che cosa sarebbe il cristianesimo se dovessimo rinunciare all'Incarnazione del Verbo?». Se noi crediamo che veramente Dio si è fatto uomo, come possiamo temere? Rimane sempre il dubbio, come dice lei, perché la fede non lo esclude, dal momento che la ragione non arriva mai a giustificarlo.
LUZI. Il nostro perimetro celebrale è ristretto e certe cose non possiamo presumerle. Io mi sono fatto la convinzione che viviamo in un angolino che è il nostro cervello.
BARSOTTI. Quello che mi dispiace in tanti uomini di cultura è che loro si mettono al posto di Dio. Credono di poter giudicare, di capire le cose. Tutto invece ci sfugge. Non possiamo essere noi a dare un senso alle cose, un senso alla vita.
LUZI. È bellissimo quello che dice. Io trovo che l'umiltà è il punto più alto che può raggiungere un uomo saggio, un uomo che ha pensato, che ha vissuto.
BARSOTTI. Chiunque abbia una certa dimensione umana non può che essere umile. Quello che noi possiamo pensare e dire è un nulla di fronte ai problemi che si impongono all'uomo.
LUZI. Più uno sa, più si apre il non sapere. L'umiltà è la condizione prima.
BARSOTTI. È la condizione per essere intelligienti.
LUZI. Ma anche per concludere quello che uno crede di avere imparato.
BARSOTTI. Il concludere nasce dal fatto che noi pensiamo di essere coloro che danno il senso alle cose. Invece dobbiamo capire che il nostro apporto rimane così relativo mentre i problemi sono più grandi di noi per cui l'unica cosa intelligente è quella di rimetterci ad una sapienza più grande.
È difficile interrompere questo dialogo tra Divo Barsotti e Mario Luzi, il grande teologo e il grande poeta, entrambi toscani, entrambi novantenni. Abbiamo combinato quest'incontro in collaborazione con padre Serafino Tognetti, il superiore della Comunità dei Figli di Dio fondata da don Barsotti. All'inizio sembrava quasi impossibile, ma poi si è concretizzato.
Il faccia a faccia (che esce in contemporanea su Avvenire) si è svolto a casa di Luzi, a Firenze, non senza qualche difficoltà per le condizioni di salute e di movimento dei due grandi vecchi, che appena si sono incontrati hanno cominciato a dialogare tra di loro. Ne è venuto fuori quell'elogio all'umiltà appena riportato. Ma con loro volevamo affrontare anche i temi d'attualità, a partire dal terrorismo di cui, proprio con Luzi, avevamo discusso all'indomani dell'11 settembre e che ora ci ritroviamo ad affrontare dopo l'11 marzo.
Il poeta, dopo l'attentato alle Torri Gemelle, nel 2001, parlò di cataclisma. E oggi?
LUZI. È un'altra fase della stessa contesa, che è cominciata molto tempo fa e di cui l'11 settembre non rappresenta l'origine ma solo un momento. È un cataclisma che ancora, purtroppo, non è finito e chissà come finirà.
Don Barsotti, i terroristi rivendicano una radice religiosa, ma si può uccidere in nome della religione?
BARSOTTI. Purtroppo sì, perché l'uomo è portato a dare a Dio il massimo del potere. E quando l'uomo non ha una fede in un Dio come il nostro, si affida a un Dio che è onnipotenza non per il bene e per gli altri, ma onnipotenza per coloro che vivono di questa loro fede. L'errore più grave dell'Islam è proprio quello di pensare che Dio è a servizio della loro religione. Ma per quanto riguarda i disastri, noi dobbiamo cercare di relativizzare. In tutta la vita del mondo noi abbiamo soltanto una sequela di misfatti, di rovine, di disastri immani. Tutto questo, però, non ha inciso nella vita del cosmo. Stamani sono andato nell'orto e ho visto fiorire i giacinti, si aprivano i tulipani: il mondo continua e l'uomo non è così diverso dalle montagne, dai laghi, dai fiori. Non siamo da più di loro.
LUZI. È molto bello quello che dice don Barsotti: bisogna relativizzare, ridimensionare la presunzione. Tutto si svolge secondo una misura che non è la nostra. Non conosciamo la regia e nemmeno conosciamo la parte che ci è data: dobbiamo viverla, dobbiamo cercare di sostenerla, ma non sappiamo quale sia realmente.
A suo giudizio, il mondo islamico riuscirà a trovare una collocazione nel resto del mondo?
LUZI. È un po' difficile perché il mondo islamico è veramente un mondo che ha una sua cultura e un suo sentimento delle cose e della vita che non è il nostro. Quello che è stato detto dopo gli attentati di Madrid («Voi siete per la vita, noi siamo per la morte») non è da trascurare: è una concezione addiritura di tipo mistico. Per alcuni, morire è il colmo del privilegio.
È possibile che un uomo possa preferire la morte alla vita?
LUZI. Perché noi chiamiamo morte quella che per loro non è morte.
BARSOTTI. Ma la morte è sempre qualcosa di accidentale nei confronti di qualcosa che invece è essenziale al mondo, ovvero la vita. Quello che distingue il mondo non è la morte. Se tu preferisci la morte alla vita non sei seguace di quel Dio che ha creato il cielo e la terra, quel Dio che invece ha dato a te di vivere. Come si può chiamare religione quella vita che implica di per sé un'offesa e un misconiscimento della ragione e della creazione? La creazione per noi è gratuita. Dio non deve dare ragione di quello che fa. Noi non possiamo giudicarlo, anche se a volte sembra che ci conduca per una strada sbagliata. Dio non potrà mai essere negativo nelle sue operazioni.
Non per essere pessimisti, ma questo terzo millennio non rischia di iniziare peggio del secolo scorso nel quale il male è pur stato fortemente presente?
LUZI. Peggio di così, almeno secondo il nostro criterio, non poteva cominciare.
Quali sono stati i grandi mali, ma anche i grandi beni del secolo che tutti e due avete vissuto quasi per intero?
LUZI. È più facile nominare gli aspetti negativi, mostruosi, inimmaginabili che ci ha fatto conoscere il Novecento. Ma ci sono state anche acquisizioni importanti per l'uomo: nella medicina, nell'arte, nelle lettere…
BARSOTTI. Per me è un grande fatto anche una morte sola ed è un bene anche la nascita di un solo bimbo. Il bene e il male sono sempre legati alla vita. È la vita che giudica il bene, è la vita che giudica il male. Il male dell'Europa di oggi è la perdita della fede in un Dio. Di conseguenza, non riconoscendo che la vita ha un fondamento, non si capisce più il perché della vita stessa. Quando l'uomo ha perduto il senso che la vita ha un senso, tutto è male.
Parliamo di poesia, un argomento che in forme diverse interessa entrambi: esiste una poesia religiosa o tutta la poesia è in qualche modo religiosa?
LUZI. L'ho sempre detto e lo ripeto: non c'è una delimitazione tra poesia religiosa e poesia «laica». Considerarle divise è di un'astrattezza incredibile. Per me la poesia è tutta religiosa. Può essere religiosa esplicitamente, come quella di don Barsotti, o molto meno esplicita, come quella di Montale.
Per lei, padre, cos'ha rappresentato la poesia?
BARSOTTI. È una bella presunzione parlare di poesia davanti a Mario Luzi. Qualcosa però, pur non essendo poeta, la posso dire anch'io. La poesia dice la gratuità della vita, dice che tutto è miracolo, tutto veramente è qualcosa che tu non puoi dominare. Tu sei dominato: dominato dalle cose, dalla bellezza, dai fatti. Se vivi questa tua dipendenza nell'angoscia, anche questa può essere trasferita nella poesia, ma è soprattutto nella meraviglia, nello stupore che senti che il mondo è più grande di te.
LUZI. Nella poesia del Papa su Michelangelo c'è una intuizione meravigliosa e cioè che la Creazione non è stata completa finché non è stata vista. E chi ha dato sostanza in questo senso alla Creazione? Michelangelo. Quando entra nella Cappella Sistina, il Papa vede Michelangelo come colui che è stato delegato a dare la visione della Creazione. Questo è molto bello, splendido. La bellezza è la verità: senza verità non c'è bellezza. La poesia è gratitudine al miracolo dell'esserci.
Vogliamo chiudere questa conversazione con un augurio per la Pasqua?
BARSOTTI. L'augurio è questo: che gli uomini finalmente imparino ad amare la vita. Dobbiamo chiedere a Dio che ci doni di amare la vita che ci ha dato, di amarla sempre, di amarla per ogni cosa, di non turbarci nemmeno della morte, non perché la morte è contro la vita, ma perché per noi che crediamo in un Dio dobbiamo anche credere che Dio non toglie la vita. E come diceva Dostoevskij: «Se tu ami la vita, sei già salvo». Se crediamo nella vita, Dio rinnova la nostra giovanizza, come diceva l'antica Messa di San Pio V («O Dio che rinnovi la nostra giovinezza»). Ho novant'anni, non mi sembra di esser vecchio, mi sembra di giocare ancora e credo di giocare ancora perché è così bello vivere.
Che regalo vorrebbe per i 90 anni?
BARSOTTI. Null'altro che questa serenità, questa gioia, questa fede nell'essere amato ed io mi sento amato. Il dono che il Signore può farmi è di darmi la vita, non di vivere ancora, ma la vita di credere nel suo amore perché anche la morte non significhi la fine ma l'aprirsi a una nuova esperienza che ancora non conosco.
Il messaggio di speranza è dunque quello di invitare ad amare la vita in ogni caso?
LUZI. Anche recuperando la vitalità, che mi pare un po' spenta. Bisogna ritrovare il senso della vita vissuta nella sua elementare pienezza. Va riconsiderato il senso del vivente e non solo della vita in senso metafisico. Proprio in occasione della Pasqua, dobbiamo pensare al Cristo come Dio incarnato e di conseguenza alla nostra vita come una vita a cui è appartenuto e si è inserito il divino.
La scheda
Barsotti: mistico, fondatore della Comunità dei Figli di Dio e autore di 150 libri
Don Divo Barsotti è nato il 25 aprile 1914 a Palaia, in provincia di Pisa, diocesi di San Miniato. Teologo e poeta (ha scritto 150 libri), è conosciuto soprattutto per i suoi studi di spiritualità e le meditazioni sui misteri cristiani. Settimo di nove figli (di cui un altro prete), è entrato in seminario a 11 anni e ordinato sacerdote il 18 luglio 1937 nel duomo di San Miniato. Dopo avere insegnato teologia nel proprio seminario ed essere stato rettore «della Calza» a Firenze, nel 1948 getta le basi di quella che sarà la Comunità dei Figli di Dio, un'associazione (non un ordine) con carattere contemplativo. Attualmente ne fanno parte 1350 consacrati laici in tutta Italia, oltre a 250 «simpatizzanti». La Comunità, che ha avuto il riconoscimento canonico dell'arcidiocesi di Firenze come associazione pubblica di fedeli, è strutturata in quattro rami. Del primo fanno parte anche le persone sposate che si impegnano soprattutto nella preghiera; il secondo riguarda gli sposati ma con voti di povertà, obbedienza e castità matrimoniale; al terzo accedono coloro che emettono anche i voti di castità perfetta e vivono nel mondo; il quarto riguarda i «fratelli» e le «sorelle» che vivono una forma di vita monastica divisi tra le loro case. I «fratelli» in tre case (due in Toscana e una in Piemonte): quella «madre» di San Sergio a Settignano, quella del Santuario della Madonna del Sasso e quella di San Gregorio a Vigliano Biellese. Le «sorelle» in altrettante case, tutte in Toscana: a Settignano (Casa della Trasfigurazione e Casa delle Beatitudini) e a San Donato in Poggio.
Don Barsotti, già da tempo, ha lasciato la responsabilità di superiore generale a don Serafino Tognetti, per cui a Casa San Sergio, dove vive dal 1955, il «padre», come lo chiamano i suoi, è solo un «fratello».
Il 25 aprile festa grande al «Saschall» di Firenze per i 90 anni del «padre»
Il 25 aprile, giorno del novantesimo compleanno, don Divo Barsotti sarà festeggiato da centinaia di amici e soprattutto dai suoi «figli» che hanno organizzato un incontro al Teatro «Saschall» di Firenze. L'appuntamento è alle 9,30 per la recita delle Lodi a cui seguirà una riflessione del «padre». Alle 11 la Messa festiva concelebrata con i sacerdoti presenti. Nel pomeriggio, alle 14,30, è previsto un intervento di Mario Luzi su «La poesia di don Barsotti», seguito dalla lettura di alcuni versi tratti dal volume «Oltre la parola» e dalla presentazione del libro «La fuga immobile», scritto da don Barsotti nel dopogruerra, con la prefazione di Von Balthasar, esaurito da tempo e per l'occasione ristampato dalla San Paolo. La giornata si concluderà con la recita dei Vespri.
Luzi, il professore di francese con la passione per i versi e la bellezza di Pienza
Mario Luzi è nato a Castello, alle porte di Firenze, il 20 ottobre 1914. A 21 anni, nel 1935, pubblica la sua prima raccolta di poesie: La barca. Nel 1938 inizia l'insegnamento, dapprima a Parma, poi a San Miniato e a Roma. Nel 1940 pubblica un'altra raccolta di poesie: Avvento notturno. Collabora a numerose riviste e, nel 1953, fonda con Carlo Betocchi «La Chimera». Dal 1955 al 1985 è professore di letteratura francese all'Istituto di scienze politiche di Firenze. Nel 1959 pubblica Dal fondo delle campagne a cui seguirà Nel magma e la collaborazione con l'Università di Urbino diretta da Carlo Bo. Agli inizi degli anni Settanta si dedica al teatro con Ipazia, Al fuoco della controversia e Per il battesimo dei nostri frammenti. Nel 1988 esce da Garzanti la raccolta integrale Tutte le poesie. Dieci anni dopo, nel 1998, tutta l'opera poetica esce anche nei «Meridiani» Mondadori. Tra le altre opere più significative degli anni successivi va ricordata La Passione, meditazione in versi per la Via Crucis del Papa al Colosseo il Venerdì Santo del 1999, poi pubblicata da Garzanti. In un primo momento voleva rinunciare a confrontarsi con la Passione di Cristo («Non mi sentivo all'altezza»). Poi l'intuizione: l'unica cosa possibile un monologo di Gesù che si rivolge al Padre. «L'idea – spiega Luzi – era quella di Gesù che riflette e parla con il Padre della sua esperienza sulla terra, del suo rapporto con gli uomini, della sua sofferenza, ma anche della sua speranza. Un testo in cui il divino e l'umano presenti in Cristo si confrontano e quasi si confliggono davanti alla prospettiva del sacrificio».
Luzi, che abita a Firenze, è cittadino onorario di Pienza, città in cui da trent'anni trascorre i mesi estivi. «Prima ho scoperto San Quirico – racconta il poeta – poi, grazie a Leone Piccioni, ho scoperto anche Pienza». Qui ha coltivato una lunga amicizia, oltre che con Piccioni, con don Fernaldo Flori, poeta e mistico, amico di scrittori e critici letterari.