UMANESIMO CRISTIANO DEL BEATO FERRINI
Nel 1973 don Divo Barsotti ha scritto di Ferrini, mettendo in risalto le due caratteristiche del suo umanesimo cristiano: il sentimento della natura e il culto dell'amicizia. Ferrini è andato a Dio soprattutto attraverso queste due ali.
Ferrini vive la bellezza della natura, l'incontro con Dio nella contemplazione dei monti, del lago, del mare. Forse, fra i santi italiani, dopo S. Francesco, nessuno ha sentito la natu-ra come rivelazione di Dio quanto il Ferrini. L'unico suo riposo era, dopo aver studiato sui polverosi codici di diritto romano, lasciare tutto e salire sulle Alpi e vivere lassù di-nanzi allo spettacolo delle nevi eterne. La purezza del pae-saggio, la luminosità del cielo, tutto richiama Ferrini alla visione di Dio. La creazione è per lui il segno privilegiato della presenza divina, se non la più alta rivelazione di Dio. I suoi maestri nella scoperta della natura, della creazione come rivelazione di Dio, come elemento di elevazione spiri-tuale, sono stati - come egli ha scritto - gli autori dei Salmi. Nello scritto composto a Pavia nel 1879 per l'amico Paolo Mapelli, egli afferma: "Oh, quante volte dalle ardue vette della Zeda e del pizzo Marona ho mirato con infinito piace-re lo sterminato panorama che si distendeva ai miei piedi!
Con quanto diletto ho passato le lunghe ore sui ghiacciai di Macugnaga, tra gli abeti e le cascate alpine! Erano quei pa-norami, quegli abeti, quelle candide vette che si imporporavano al sole nascente, era il raggio mite della luna che scherzava nella tacita notte, riflesso dalla increspata su-perficie del lago, che risvegliavano in me il sentimento reli-gioso e l'odio e lo schifo per ogni bruttura". Al capitolo III del medesimo opuscolo scrive: "Il sentimento della natura dovrebbe avere una grandissima parte nella nostra educazio-ne".
Queste parole lapidarie sono importanti: l'anima religiosa si forma al contatto con la bellezza, più che sui libri. L'uomo sente respirare Dio in questa bellezza! Dio si fa vicino all'uo-mo e gli parla nello splendore dei monti, nella limpidezza delle acque, nella bellezza del cielo.
Alcuni anni dopo (1887), quando insegnava all'Università di Messina, scriveva: "Fra questi monti, in riva a questo mare, lungo i sentieri perdentesi tra i boschi di aranci illuminati dalla luna, avremmo parlato così dolcemente di tante speran-ze!".
La sua anima è aperta non soltanto alla bellezza dei monti ma anche a quella del mare, e aperta a ogni rivelazione di Dio attraverso la natura.
In Italia una spiritualità di questo tipo sembra del tutto singo-lare, giacché, indubbiamente, nei santi italiani scopriamo un umanesimo cristiano, ma in nessun altro è cosi scoperto.
Il secondo elemento della spiritualità del Ferrini, e costituito dall'amicizia. Il sentimento della natura e l'amicizia non sono elementi di una vita che può essere propria di tutti? Per lui il contatto con la natura è sempre stato una contemplazione di Dio. Per lui l'amicizia è stata sempre il sacramento della sua unione intima con il Signore: vivere in unione con gli altri l'unione con Dio, ecco quello cui egli ha ispirato, quello che ha cercato, quello che di fatto ha vissuto.
L'amicizia è un valore umano, uno dei valori umani più gran-di. E uno di questi valori era il rapporto umano. Come egli viveva il suo rapporto con gli altri?
Ancora studente scrive a Ettore Cappa: "Io pregherò arden-temente anche per tua sorella, e Lui che ci ha fatto stringere questo vincolo soave di forte amicizia, come potrà non ascol-tare la preghiera per l'amico del mio cuore? Egli non guar-derà la mia indegnità, ma i suoi meriti, Egli non ascolterà che la voce della tua ineffabile tenerezza. Tu mi raccomandi a Lui, amiamolo con tutto il cuore, che lo merita tanto!" (10 aprile 1878)
La virtù dell'amicizia in Contardo è forza che solleva imme-diatamente a Dio tutti quelli che ama e l'unità degli amici e il Cristo medesimo: il rapporto con l'altro è stabilito dal-l'unione dell'uno e dell'altro con Dio.
A Paolo Mapelli, che diverrà l'amico del cuore, scrive: Fatti dunque coraggio e offri al Signore questo calice, mentre noi non possiamo altro che dirti che ti vogliamo bene, e tanto, e che tu disponga di noi in tutto quello che credi" (10 marzo 1879). A Vittorio Mapelli, fratello di Paolo: "Sta sollevato, va fiducioso alle tue prove e non temere. Ricordati di me con tanto affetto. Lo sai, vero, che ti voglio bene? Contardo". Sono espressioni di amicizia tenerissima e si trovano fra le lettere della sua giovinezza. A distanza di anni egli sentirà ugualmente l'amicizia, la esprimerà in termini di dolcezza e intimità. I suoi amici saranno gli stessi: soprattutto Vittorio e Paolo Mapelli.
L'intimità pura e profonda e la fedeltà sono i caratteri distin-tivi di questi rapporti umani che ebbero tanta parte nella vita del Ferrini. Anche nei momenti più grandi di elevazione spi-rituale ritorna in lui l'immagine e il ricordo degli amici più cari: non può vivere l'unione più intima col Signore che nel ricordo di coloro che ama.
Egli sale a Dio, ma siccome ama i suoi amici e non li abban-dona; nel salire verso Dio li trascina tutti con sé.
Non è senza ragione che, quando egli parla dell'amicizia, non può farlo che parlando con Dio, parlando della preghiera, ricordando i momenti più felici e più grandi della sua vita; i momenti di più intima unione con gli amici sono stati mo-menti di intensa preghiera: insieme hanno pensato a Dio, in-sieme hanno contemplato nella bellezza dei monti le vestigia di Dio, insieme hanno aspirato ad un vivo desiderio del cielo. Nel mese di settembre dell'anno 1902, in compagnia di ami-ci, fece la salita di San Martino, in Valle Anzasca; stanchi e assetati sostarono e bevvero a una fonte le cui acque erano passate attraverso prati concimati: "Ci venne subito il sospet-to di un inquinamento - scrive l'avv. Albasini nelle sue me-morie - io non ne soffersi; a Contardo una quindicina di gior-ni dopo, si sviluppò il tifo".
Il cinque ottobre fu assalito da febbre molto alta che gli tolse la lucidità, eppure anche nel delirio appariva la santità di quel-l'uomo tutto di Dio, come attestano le suore dell'ospedale di Pallanza che gli prestarono costanti cure.
Negli intervalli di lucidità pregava continuamente; gli erano vicini il parroco di Suna che lo confortò con i Sacramenti ed il Prevosto di Pallanza, suo confessore.
Qualche ora prima di spirare, riacquistò conoscenza e quel-le furono le ore di vivissimo desiderio di abbracciare il suo Signore, amore e speranza di tutta la sua vita.
Mori il 17 ottobre 1902 alle ore 11 e mezzo, "virgineo fragrans odore".
Il volto conservò il sorriso che gli era abituale e apertamente venne detto: "E' morto un santo".
I funerali si svolsero a Madonna di Campagna il 20 ottobre e fu sepolto nel cimitero di Suna.
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