DISCERNERE
Uno sguardo profetico sugli eventi
Omelia - Casa San Sergio 2 maiana. Don Divo Barsottirzo 1984 (1 Pt 4, 7-13)
Siamo quasi alla fine della Prima Lettera di san Pietro. Nella pericope che abbiamo ascoltato stamani, l'apostolo ci dice quella che dev'essere la nostra vita nella Comunità cristiana e quello che noi dobbiamo invece sopportare con gioia da parte del mondo.
Tutti e due gli atteggiamenti propri del cristiano sono determinati dalla prossimità della fine. È perché l'anima è cosciente di essere nell'imminenza dell'incontro con Dio che la sua vita non può essere che preghiera, un'attesa di desiderio, un'attesa nell'amore di questo incontro divino. È poi la carità che ci unisce.
È sempre questa, in fondo, la vita di ogni uomo e perciò anche la vita religiosa: rapporto con Dio, rapporto con gli altri, rapporto con noi stessi. E il rapporto con Dio non può essere che la preghiera, una preghiera che è, sì, già una comunione di amore, ma non può prescindere dal desiderio di una comunione più perfetta e pienamente sperimentata; è la manifestazione ultima della gloria che l'anima attende. Pur vivendo nel mistero, già una unione con Dio, questa unione con Dio nel mistero non può ancora beatificarci perché tocca soltanto l'apice della nostra anima, del nostro spirito, mentre la nostra esperienza psicologica e anche la nostra vita nel corpo, ci impediscono di fruire pienamente di questa immensa gioia che ci deriva dal dono che Dio ci fa di Se stesso. È in quanto Dio già vive in noi che noi lo desideriamo. È proprio nella misura che Egli si è fatto in qualche modo presente in noi che Egli alimenta la nostra fame, il nostro desiderio di Lui. Viviamo dunque questa preghiera, che è la preghiera della sposa, come dice l'Apocalisse nell'ultimo versetto: "E l'anima e lo Spirito dicono: Vieni!". "Amen, sì, vengo presto", risponde Gesù.
E poi la carità fraterna, una carità che è fatta anche di piccole cose, ma implica soprattutto l'ospitalità. Che cos'è questa ospitalità? In fondo oggi non viviamo più come al tempo di san Pietro, così estranei gli uni agli altri, senza possibilità poi di avere un minimo di conforto, dovendo andare lontano; e d'altra parte è anche vero che invece tutte le case sono più chiuse. Ma lasciamo da parte questo; può darsi anche che tutto questo non sia un male (può darsi; non lo so); ma la cosa importante mi sembra che sia un'altra: è l'ospitalità, è l'abitare negli altri e il far sì che gli altri abitino in noi. Siamo troppo egoisti. Tante volte, anche semplicemente ascoltando chi parla, si avverte subito che colui che parla non fa altro che girare intorno a se stesso e che gli interessano soltanto le cose che lo toccano; mai che veramente viva i problemi degli altri, mai che viva, non dico le pene, ma anche le gioie degli altri. Si ha bisogno di fare il vuoto riguardo a ciò che interessa i fratelli per non far presente agli altri che noi stessi; si parla di noi.leggere...
Tutti e due gli atteggiamenti propri del cristiano sono determinati dalla prossimità della fine. È perché l'anima è cosciente di essere nell'imminenza dell'incontro con Dio che la sua vita non può essere che preghiera, un'attesa di desiderio, un'attesa nell'amore di questo incontro divino. È poi la carità che ci unisce.
È sempre questa, in fondo, la vita di ogni uomo e perciò anche la vita religiosa: rapporto con Dio, rapporto con gli altri, rapporto con noi stessi. E il rapporto con Dio non può essere che la preghiera, una preghiera che è, sì, già una comunione di amore, ma non può prescindere dal desiderio di una comunione più perfetta e pienamente sperimentata; è la manifestazione ultima della gloria che l'anima attende. Pur vivendo nel mistero, già una unione con Dio, questa unione con Dio nel mistero non può ancora beatificarci perché tocca soltanto l'apice della nostra anima, del nostro spirito, mentre la nostra esperienza psicologica e anche la nostra vita nel corpo, ci impediscono di fruire pienamente di questa immensa gioia che ci deriva dal dono che Dio ci fa di Se stesso. È in quanto Dio già vive in noi che noi lo desideriamo. È proprio nella misura che Egli si è fatto in qualche modo presente in noi che Egli alimenta la nostra fame, il nostro desiderio di Lui. Viviamo dunque questa preghiera, che è la preghiera della sposa, come dice l'Apocalisse nell'ultimo versetto: "E l'anima e lo Spirito dicono: Vieni!". "Amen, sì, vengo presto", risponde Gesù.
E poi la carità fraterna, una carità che è fatta anche di piccole cose, ma implica soprattutto l'ospitalità. Che cos'è questa ospitalità? In fondo oggi non viviamo più come al tempo di san Pietro, così estranei gli uni agli altri, senza possibilità poi di avere un minimo di conforto, dovendo andare lontano; e d'altra parte è anche vero che invece tutte le case sono più chiuse. Ma lasciamo da parte questo; può darsi anche che tutto questo non sia un male (può darsi; non lo so); ma la cosa importante mi sembra che sia un'altra: è l'ospitalità, è l'abitare negli altri e il far sì che gli altri abitino in noi. Siamo troppo egoisti. Tante volte, anche semplicemente ascoltando chi parla, si avverte subito che colui che parla non fa altro che girare intorno a se stesso e che gli interessano soltanto le cose che lo toccano; mai che veramente viva i problemi degli altri, mai che viva, non dico le pene, ma anche le gioie degli altri. Si ha bisogno di fare il vuoto riguardo a ciò che interessa i fratelli per non far presente agli altri che noi stessi; si parla di noi.leggere...